Pieces of you

-2-


Los Angeles, Agosto 2001

“Guardia!”
Urlò Faith.
Il cuore le batteva forte in gola, così forte che la ragazza aveva paura di rimanerne soffocata.
Stille di sudore freddo le inumidivano la fronte, le gote.

<B. è viva! B. è viva!>

E le sue mani si stavano stringendo con forza, troppa forza, attorno alle sbarre.

“Guardia, per favore!”
Disse a voce più alta, ignorando le proteste delle altre detenute.
Era considerata una detenuta modello: un po’ solitaria e con la passione per il buio forse, ma tranquilla.

Nessuno immaginava il tormento che le si agitava dentro, nessuno immaginava la forza che le bruciava sottopelle perennemente in attesa di essere liberata.

“Guardia, devo fare una telefonata!”
Urlò Faith, la voce strozzata, mentre ancora le immagini del suo sogno le affollavano la mente, il cuore, l’anima.

<B. è viva! B. è viva!>

Sentì i passi della guardia avvicinarsi alla sua cella, e non poté trattenere un sospiro.

“Ti rendi conto di che ore sono?”
Domandò la donna.

“Lo so…ma devo fare una telefonata…per favore…per favore!”
Non era stata abituata a chiedere.
Non era stata abituata a pregare.

Aveva sempre preso quello che voleva, incurante dei rischi e delle conseguenze.
Le cose erano cambiate.
Lottava ancora, ogni giorno della sua vita affinché cambiassero.

“Sai che è contro le regole” Disse la guardia.

Faith annuì.
“Lo so! Ho diritto alla mia telefonata settimanale, però. Per favore!”

La guardia l’osservò per qualche istante prima di scuotere la testa ed aprire la cella.
Solo allora Faith lasciò andare una delle sbarre, senza notare che nella foga l’aveva leggermente piegata.

Le mani tremavano, quando sollevò il ricevitore e piano compose un numero che conosceva a memoria.

“Agenzia investigativa Angel, aiutiamo i disperati”

Faith chiuse gli occhi.
No.
Non lui.
Non la sua voce gentile.
Una voce che aveva sentito distorta dal dolore.
Dolore che *lei* aveva inferto.

“Pronto?”
Disse Wesley Wyndam Pryce.

Era stato il suo osservatore.
L’aveva tradita.
L’aveva consegnata al Concilio.

E lei lo aveva colpito.
E dopo, quando le aveva offerto aiuto, lo aveva torturato, lo aveva umiliato, lo aveva ferito.

“Wesley”
Sussurrò Faith, aggrappandosi alla cornetta, mentre il fiato le si fermava in gola.

<Ti prego non riagganciare.
Mi dispiace. Mi dispiace. Mi dispiace.>

“Faith”
La voce di Wesley era più dura ora.
E Faith si ritrovò a combattere contro l’ondata di orgoglio, contro le difese che rapidamente le si stavano costruendo attorno al cuore.

Sarebbe stato facile usare il suo miglior torno beffardo e far finta che non fosse accaduto nulla.

Ma non poteva.
Perché qualcosa era accaduto.

<Ti dispiace?>

“Wesley…ho bisogno di parlare con Angel.”
Disse e deglutì.
“Riguarda Buffy.”

Passò qualche secondo prima che Wesley parlasse e quando lo fece la sua voce era fredda.
“Non credo che parlare di Buffy aiuterebbe Angel…soprattutto in questo momento.”

“No, invece! Ascoltami”
Esitò.
Come poteva spiegare le sue sensazioni?
Come poteva spiegare il fatto che sentisse chiaramente che Buffy era ancora viva?

<Diglielo maledizione!>
Pensò.

“E’ proprio questo il punto, Wesley! Buffy…io credo che sia ancora viva!”

Trattenne il respiro, mentre attendeva la reazione dell’ex osservatore.
Chiuse gli occhi quando per un solo istante, immagini del suo sogno si confusero ai suoi ricordi, al volto di Wesley tumefatto per le sue torture.

Non aveva urlato Wesley.
Anche quando il suo sangue aveva cominciato a scorrere e le aveva macchiato le mani…l’anima.
“Faith? Faith sei ancora lì?” Domandò l’uomo e Faith sussultò.

“Sì…sì” un sospiro tremulo le sfuggì dalle labbra.
“Mi ero distratta…cos’hai detto?”

“Ti ho chiesto come fai ad esserne così sicura”

“L’ho sognata.
Non ho mai capito tutte le balle mistiche sui sogni delle cacciatrici…ma questa volta è diverso.
Lo sento.”

“Capisco”
Disse Wesley.

<Ti prego, ti prego…credimi!
B. ha bisogno di noi.
Io…
Io ho bisogno che *tu* mi creda. >

“Suppongo che…”
cominciò Wesley.
“Domani è il giorno di visita, vero?”
Domandò l’uomo.

“Sì, ma tu come fai a…?”
Cominciò Faith stupita.

Solo Angel era venuto a trovarla da quando era in galera, del resto era l’unica persona che era stata dalla sua parte.

Anche più di Buffy.
Anche più del Sindaco.

Eppure…
Eppure Wesley sapeva.
Come?

“Discuteremo la cosa domani. Prima di parlarne ad Angel voglio che…”
L’uomo sospirò
“La morte di Buffy è stata un duro colpo per lui…non voglio alimentare false speranze, Faith.”

“Neanch’io Wesley.
Non farei mai del male ad Angel. ”
Si morse il labbro prima di aggiungere sottovoce.
“Ho già fatto abbastanza…”

Wesley non commentò le sue parole e Faith gliene fu grata.
Era già difficile combattere con se stessa, non aveva la forza di farlo anche con Wesley.
Non quella notte.

“A domani allora”
Disse Wesley.
“Buona notte, Faith”

“Buona notte Wesley…e grazie…”

“Non…”
Wesley tacque e Faith chiuse gli occhi, preparandosi alle parole dell’uomo.
Sapeva quali sarebbero state.
Lo sentiva.

<Non osare ringraziarmi.
Non lo faccio per te.
Non credere che io abbia dimenticato
Non dimenticherò mai.>

“Non c’è di che”
Rispose, invece, Wesley.

Faith aprì gli occhi di scatto, dischiudendo le labbra per la sorpresa.
Non vi era stato odio nelle parole dell’uomo, nella sua voce.
Non vi erano state esitazioni.

Sospirò mentre riappendeva la cornetta. Perché la vita, le emozioni, si ostinavano ad essere sempre così fottutamente caotiche?
Infilò le mani nelle tasche dei pantaloni, mentre veniva riaccompagnata in cella.

Wesley.
Avrebbe rivisto Wesley.
Per la prima volta dalla terribile notte in cui si era consegnata alla polizia.

Aveva paura, ma forse era giunto il momento di affrontare quella parte del suo passato.

Per Buffy.
Per Angel.
E per se stessa.

***

Rocko aveva avuto ragione, quella era davvero la fine del mondo.
E lei si era risvegliata in essa.
Buffy deglutì, dominando un conato di vomito, quando il corpo del demone esplose, lanciando ovunque brandelli di carne.

La bocca dell’inferno si era aperta, e i superstiti combattevano. Non per salvare il mondo.
Non vi era più un mondo da salvare.
Non in quella dimensione.

Combattevano per sopravvivere, e Rocko era un leader tra i sopravvissuti.

Rocko, così simile a Spike da farle male al cuore, ma così diverso.
Fragile, come un umano.
Perché Rocko era umano: aveva un cuore che gli batteva forte in petto, le sue ferite ci mettevano settimane per rimarginarsi, e facevano male…
…ma come Spike, non badava ad esse.
Come Spike era capace di ironizzare sul dolore.

Rocko, con quei capelli castani perennemente arruffati, e quegli occhi azzurri, proprio come quelli di Spike, seminascosti da un paio di occhialini tondi da intellettuale, che sembravano quasi fuori luogo in quel posto, in quell’inferno.

Era stato Rocko a trovarla, in un budello oscuro, pieno di sangue di uomini e demoni.
Era stato Rocko a portarla in salvo.
Passava notti intere a cercare sopravvissuti, a rubare cibo per loro, a curarli.
Era stato un medico, prima di quell’inferno.
Era un guerriero. Un guerriero col sorriso più dolce che avesse mai visto.
Dolce come il sorriso di Spike.
Non aveva mai sorriso molto Spike…eppure…
Eppure…un incantesimo era stato capace di farlo sorridere. Un incantesimo era stato capace di riempire i suoi occhi di lacrime per la felicità.
E lei aveva voluto dimenticare.

Aveva voluto dimenticare il sapore delle sue labbra, la sensazione delle sue braccia strette attorno alla sua vita, mentre progettavano il loro matrimonio.
Aveva voluto dimenticare il modo in cui le aveva sfiorato la pelle delle braccia con la punta delle dita.

L’aveva trattata come se fosse la cosa più preziosa del mondo.
E lei aveva creduto fosse stato tutto opera di quell’incantesimo.

Quanto si era sbagliata.

Lo aveva capito solo troppo tardi, lo aveva capito quando aveva visto il volto di Spike deturpato, per le torture subite da Glory.
Tutto per lei

Perché Spike, aveva intuito che perdere Dawn l’avrebbe distrutta. E se chiudeva gli occhi poteva ancora vedere i lividi sul volto di Spike, le cicatrici.
Poteva ancora udire la sua voce, debole ma risoluta, nello spiegarle quando aveva creduto fosse il suo robot, che Glory non avrebbe mai dovuto sapere di Dawn.
Poteva sentire le labbra di lui contro le sue.
Era stato allora che era cambiato tutto dentro di lei.
E le parole della prima cacciatrice erano state così chiare.

<Ama
Dai
Perdona >

Si passò una mano tra i capelli, e di nuovo deglutì, questa volta per scacciare il nodo che le si stava formando in gola.
Sentiva la presenza di Rocko, accanto a se, come sempre.

Mentre il cielo era rosso, e l’aria quasi irrespirabile per il tanfo di sangue, di carne bruciata, di morte.
Rocko camminava accanto a lei, tanto vicino che i loro corpi si sfioravano, tanto vicino che riusciva quasi a sentire il suo respiro.

“Stai bene?” Domandò lui.

Buffy si voltò, sorridendogli debolmente.
No, non stava bene, era lontana anni luce dallo star bene…ma come avrebbe potuto dirglielo?

Rocko aveva l’aria stanca, un grosso livido gli si era formato sotto l’occhio destro, e sangue gli scorreva copioso da un taglio su uno zigomo.
Era ferito, eppure le chiedeva se stava bene.
Era ferito, eppure le sorrideva.

La cacciatrice forzò un altro sorriso sulle sue labbra prima di dire: “Suppongo fosse un po’ presto per cominciare a combattere”

Settimane passate in quel rifugio l’avevano fatta quasi impazzire: in superficie si combatteva una guerra sanguinosa, continua, e lei non aveva potuto fare a meno di chiedere di poter dare una mano.

Che le piacesse o meno, lei era la cacciatrice.
Era un’assassina di demoni e vampiri.
Era una forza che le scorreva nelle vene insieme al sangue.

<Deve essere sempre sangue…

È ciò che ci rende forti

È ciò che ci rende non morti.>

Era la sua natura.
Più di una missione.
Più di una vocazione.

Era quello che era, la sostanza stessa del suo essere.
Ciò per cui era morta due volte.
Lei…
Beh, lei salvava il mondo…e quando non poteva…cercava di rimetterne insieme i cocci.

“Detesto dire: ‘te l’avevo detto’ ma…” cominciò Rocko.

“Lo farai, e non è vero che detesti dirlo…” Replicò Buffy.

Erano vicini al rifugio, ormai…ed albeggiava, anche se sarebbe stato difficile dirlo dal colore del cielo: passava dal rosso sangue ad una tinta quasi rosata.

Rocko si passò una mano sulla nuca, in un gesto che le ricordò tanto Spike da mozzarle il respiro. L’uomo dovette accorgersene, perché fece un passo verso di lei domandando: “Tutto bene, Buffy?”

Lei annuì, vigorosamente: “Tutto bene”
Mormorò.
“Avanti…puoi anche dirlo: era troppo presto…”

Rocko scosse debolmente la testa.
“Sei l’unica che possa aiutarci…mi dispiace suonare egoista…ma abbiamo bisogno della tua forza…”

Buffy sospirò, appoggiandosi contro un muretto, i momenti di calma in superficie erano rari, rarissimi.
Sapeva di trovarsi in quella che un tempo doveva essere stata una metropoli, e della quale rimanevano solo macerie.
I superstiti, combattevano continuamente, dandosi il cambio, riposando solo le poche ore necessarie per non crollare.

I demoni erano tanti, enormi, sanguinari e Buffy non osava nemmeno pensare a cosa stesse accadendo nel resto del mondo…
Almeno in quella dimensione.
Si domandò per un istante cosa stesse accadendo nella sua dimensione: si domandò quanto tempo fosse passato realmente dalla sua morte.
Mesi?
Anni?
Si lasciò sfuggire un sospiro, mentre di nuovo guardava Rocko, che a sua volta stava osservandola inarcando un sopracciglio.

<Mio Dio,>
pensò.
<Perché fa così male al cuore guardarlo?>

“A volte…” disse Rocko improvvisamente
“Ti sorprendo a guardarmi…e…sembra che tu..voglia piangere…”

Buffy dischiuse le labbra, sorpresa.
Rocko riusciva a leggerla come un libro aperto, proprio come in quel momento.
“Io…”

L’uomo scosse la testa ed inaspettatamente si lasciò sfuggire una risata: “Non importa Buffy…abbiamo tutti il nostro passato”
Si strinse nelle spalle, mentre scostava dei bidoni e sollevava una botola:
“Per esempio, chi immaginerebbe che un tempo ero un medico…con la passione per l’occulto?
Jeremiah studiava filosofia.
Cathleen era una bio-chimica… ”

“E Pierce?”
Domandò Buffy avvicinandosi a lui.

“Un poliziotto…”
Aggrottò la fronte.
“Beh, nel suo caso non credo sia difficile immaginarlo…”

Anche Buffy rise.
Jeremiah…così simile ad Oz da averla fatta scoppiare in lacrime la prima volta che l’aveva visto, presa da una fitta di nostalgia per i suoi amici, per i pomeriggi passati nella biblioteca del liceo. Jeremiah che al contrario di Oz era logorroico, e che come Oz suonava la chitarra, anche se aveva pochissimo tempo per farlo.

Cathleen, che combatteva valorosamente durante il giorno e passava notti intere a cercare di creare un’arma chimica che potesse uccidere i demoni.
Cathleen, minuta, bionda, che aveva un gran senso dell’umorismo e che riusciva a far ridere tutti nel rifugio.

Pierce…
Le aveva ricordato uno dei cavalieri di Bisanzio contro i quali aveva combattuto, mesi prima.
Pierce, che ammazzava demoni e si lamentava perché desiderava una pizza ai peperoni, subito dopo.
Pierce, che sotto la sua brandina aveva libri di poesia e lattine di birra vuote.
Pierce, che guardava Cathleen con un amore, un desiderio, quasi palpabile.

Stavano diventando suoi amici, si era sorpresa a volerli proteggere a costo della sua stessa vita…

E tutti, tutti facevano riferimento a Rocko.
Il medico.
Il mago.
L’uomo che la leggeva come un libro aperto.

L’uomo che giorno dopo giorno, ora dopo ora, le faceva capire, quanto profondamente si fosse innamorata di Spike
E le faceva rimpiangere di non averglielo detto.
Di non aver parlato quella notte.
Di non averlo interrotto.
Di non averlo baciato come se non ci fosse un domani…pur sapendo che per lei un domani non ci sarebbe stato.

“Un giorno mi dirai chi eri, oh bionda fanciulla?”
Domandò Rocko mentre entravano nel rifugio.

“Un giorno…”
Replicò Buffy.

Un giorno, forse, lo avrebbe fatto…ed allora, sperava che il dolore sarebbe scomparso ed avrebbe smesso di mangiarle via l’anima.
Un giorno.
Un giorno gli avrebbe detto la verità.

Mentre si stendeva sulla sua brandina, scelse di ignorare quella voce dentro di se, che le ricordò che solo pochi mesi prima aveva pensato la stessa cosa proprio riguardo i suoi sentimenti per Spike.