True colors

9 Rivelazioni

AUTORE: Phoebes
SPOILER: prime tre stagioni di BtVS, con riferimenti specifici a “Revelations” (“Rivelazioni”), puntata numero 7 della 3ª stagione.
PAIRING: nessuna in particolare (accenni Buffy/Angel).
RATING: G; AU, quindi probabili out of character.
TIMELINE: terza stagione di BtVS.
SUMMARY: a volte ritornano… e mano male!
DISCLAIMER: i personaggi (tranne Silvia) purtroppo non mi appartengono, ma ap-partengono a Joss Whedon, David Greenwolt la Warner Brothers, la Mutant Enemy Production, la UPN e la Fox. L’autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.
FEEDBACK: sì sì sì, sempre graditissimo! Scrivete pure per qualsiasi cosa: compli-menti, insulti, chiarimenti.
NOTE: Ho avuto poca fantasia nel titolo, lo so, ma mi sembrava adatto quello della puntata!
Spero di non essere stata eccessivamente sdolcinata… forse ho esagerato un po’ coi pianti e gli abbracci!
Il flashback con cui inizia la ff è raccontato da un narratore esterno, con i pensieri di entrambi i personaggi, anche se in realtà è il ricordo di uno dei due, quindi in teoria non avrebbe dovuto sapere cosa pensava l’altro, pe-rò... che vi devo dire? Mi piaceva di più così!
Come immaginerete, do sempre per scontato che le puntate sono già cono-sciute, per cui ci sono solo alcuni accenni per le cose che sono andate come nella puntata reale.

Ultima, solita, nota tecnica:
« » indicano i discorsi
< > indicano i pensieri
* * indicano qualcosa detta con enfasi



Questa fanfic la dedico alla mia carissima Eleonora, che legge sempre le mie “opere” in anteprima, mi aiuta a correggerle e a scegliere i titoli, e soprattutto sopporta tutte le mie manie buffyesche!
 

Rivelazioni


You’re the best friend
that I ever had
I’ve been with you such a long time
you’re my sunshine… […]
I’ve been wandering round
but still come back to you
in rain or shine
you’re stood by me girl
I’m happy at home
you’re my best friend.

Tu sei la migliore amica
che io abbia mai avuto
siamo stati insieme per tanto tempo
sei la mia luce del sole… […]
Ho vagabondato per un po’
ma poi torno ancora da te
con la pioggia o con il sole
tu sei stata al mio fianco, ragazza
sono felice a casa
tu sei la mia migliore amica.
(“You’re my best friend”, Queen)

PRIMA PARTE
RICORDI


Dachau (Germania), 1903
Angelus era arrivato in città da quasi due mesi. Era stato un periodo piuttosto tranquillo, non aveva trovato nessun demone, nessuna lotta, nessun tumulto. A parte quello che si portava dentro.
Quella notte, però, mentre se ne andava in giro per le strade addormentate, sentì provenire da dentro un edificio fatiscente i rumori inconfondibili di un combatti-mento. Si avvicinò. Era un vecchio magazzino in rovina, senza finestre, coi muri scrostati e per metà coperti da rampicanti. La porta stonava col resto del fabbricato, perché non era così vecchia: il legno era perfettamente integro, non consumato, e i cardini parevano nuovi di zecca, così come la serratura; però era sfondata. Angelus entrò. L’ambiente era molto grande, formato da un’unica stanza. Il pavimento era ingombro di calcinacci, pietre e altro materiale in rovina. Non c’era il minimo accen-no di arredamento, ma probabilmente era un covo di vampiri, un rifugio, senza nes-suna pretesa di eleganza. Non si fermò a lungo a criticare la mancanza di gusto de-gli inquilini (come invece avrebbe fatto un tempo), ma si concentrò subito sulla lot-ta. In un angolo del magazzino mancava un pezzo di soffitto, e quello era l’unico punto in cui entrava un po’ di luce. Lì alcuni vampiri combattevano contro una ra-gazza. Angelus si avvicinò lentamente, notando distrattamente che altri vampiri erano sdraiati a terra privi di sensi: tutta la sua attenzione era concentrata sul com-battimento. In particolare non riusciva a togliere gli occhi di dosso alla ragazza. Do-veva essere molto giovane, poco più di una ragazzina, ma il suo sguardo era più adulto, sembrava una bambina cresciuta troppo in fretta. I suoi occhi, soprattutto: avevano l’espressione di qualcuno che aveva vissuto parecchio… e non se l’era pas-sata molto bene. Dopo un po’ che l’osservava, all’improvviso Angelus si rese conto che la ragazza, da sola, stava affrontando cinque vampiri, due dei quali davvero molto grossi. Ma non sembrava in difficoltà. Catturato da quello sguardo senza età, non si era accorto della foga con cui la sconosciuta si stava battendo con i suoi av-versari. Ne colpiva uno con una gomitata, subito un altro le era addosso, ma lei lo schivava, e con la spada, l’unica arma che aveva, tagliava la testa del terzo che aveva cercato di attaccarla alle spalle.
Fulminea, precisa, letale. Perfetta.
Angelus pensò che probabilmente era andata lì apposta: sapeva che era un covo di vampiri, di parecchi vampiri, ed era andata lì per ucciderli. Di notte. O era molto sicura di sé, o molto stupida. Oppure… Fissò di nuovo lo sguardo sul suo volto: < Oppure non le importa di vivere o morire. >
Combatteva come una furia, un demonio. Ma non c’era traccia di rabbia in lei. I li-neamenti erano contratti per lo sforzo, ma privi di qualunque sentimento. Uccideva per dovere, per abitudine. Una cacciatrice, forse. Ma non gli sembrava. C’era qual-cosa di demoniaco in lei, qualcosa di oscuro. E di familiare. Angelus era quasi spa-ventato dal suo furore e dalla sua violenza. Era spietata. Rimase ad osservarla na-scosto, finché non la vide in difficoltà. Ad attaccarla erano rimasti ormai solo due vampiri, e lei si difendeva bene. Ma non si era accorta che, poco lontano, uno di quelli che aveva atterrato poco prima aveva ripreso conoscenza, e le stava puntan-do contro un fucile. Angelus gli fu addosso appena in tempo per deviare la sua mira. La ragazza si voltò verso lo sparo, e si distrasse. Uno dei vampiri la disarmò. Ange-lus, intanto, polverizzò quello col fucile, e si avventò sugli altri due. La ragazza lo guardò stupita, e si allontanò. Il vampiro uccise velocemente i due avversari, trafig-gendoli col paletto che aveva con sé. Rimase a guardare la cenere posarsi a terra leggera, poi sentì il rumore di uno sparo, e un altro subito dopo, e dolore alla schie-na. Cadde in ginocchio e si voltò: la ragazza aveva in mano il fucile ancora fumante, e lo guardava con ira. Ora il suo volto non era più inespressivo, il vampiro poteva scorgere odio nei suoi occhi. Odio per lui.
« Aspetta… io… volevo aiutarti. Non voglio farti del male! », le disse.
« Certo, certo. Sei di parola tu, me lo ricordo! »
« Non è come credi… lasciami spiegare… »
« Non ne ho la minima intenzione! ». Mentre parlava, la ragazza si avvicinava lentamente a lui, sempre stringendo il fucile in mano: « Tu probabilmente non ti ri-corderai delle tue molte vittime, ma io mi rammento di te. » Lo colpì col calcio dell’arma, facendolo cadere all’indietro. Lui non reagiva: cercava di capire.
« Che delusione, però! », continuò lei: « Ci rimango male! Credevo di contare qualcosa per te, visto che sono l’unica vittima che ti è sopravvissuta! »
A quelle parole lui capì: « D-dampyr… »
« Oh, allora ti ricordi! Sono lusingata! » lo colpì ancora, irritata dal fatto che lui non reagisse.
« Sei… ancora viva… »
« Spiacente di deluderti! »
« No… io… sono contento che tu non sia morta. »
« Certo! Non vuoi privarti del piacere di finirmi con le tue mani, eh? Ma stavolta mi sembri un po’ in svantaggio… » parlava con sicurezza e prepotenza, ma aveva paura. Il fatto che lui sembrasse così vulnerabile, la preoccupava: cosa aveva in mente? Conosceva la crudeltà di Angelus.
Il vampiro, intanto, cercava di spiegarsi, pur sapendo che lei non gli avrebbe mai creduto: « Ti prego… io.. mi dispiace, credimi! »
« Ti dispiace?!? »
« Io… sono diverso da… dall’ultima volta che ci siamo visti… »
« Davvero? Sì, hai ragione, adesso che ti guardo bene… », solo un secondo di pausa, mentre lo squadrava pensierosa; un secondo di speranza per Angelus, subito svanita: « Se non sbaglio… hai tagliato di capelli? »
« No… », supplicava, quasi, il vampiro. Non perché non volesse morire, no… lui voleva che lei gli credesse. Voleva che lo… perdonasse?!? Assurdo! Ma ci provò lo stesso: « Io… adesso ho un’anima. »
La ragazza rise, cercando di nascondere il nervosismo: « Oh, sì certo, come no? Potevi inventarne una migliore! » continuava a colpirlo, e lui accennava solo a una debole difesa. E tentava di parlarle: « Davvero, lo so che sembra assurdo, ma mi hanno dato un’anima, per punirmi… »
« Non so quale sia il tuo scopo, ma non mi interessa. Non sono più la ragazzina impaurita e sprovveduta di quattordici anni fa. Non vincerai tu, stavolta! » Incal-zante, come una furia, non gli dava tregua. Se lui aveva deciso di far finta di essere debole, bè, lei ne avrebbe approfittato.
Il vampiro si arrese: non l’avrebbe convinta. Si rassegnò senza troppo sforzo. Considerando la sua vita negli ultimi cinque anni, l’inferno non poteva che essere un miglioramento. Lei raccolse la spada e veloce come un fulmine la brandì contro di lui. Ma Angelus non si mosse. Inginocchiato, aspettava, quasi agognando la fine. Lei roteò la spada per colpirlo, ma la fermò a pochi millimetri dal suo collo.
« Effettivamente sembri diverso… » tirò indietro l’arma: « Mi scuserai, però, se non mi fido tanto! ». Con forza conficcò la lama nel petto del vampiro, la rigirò e la estrasse. Angelus cadde a terra senza emettere alcun suono, privo di sensi. Lei si asciugò la fronte sudata col braccio, e restò a guardare il vampiro che giaceva in un lago di sangue.
< E adesso? >


Dolore. L’unica percezione chiara, la prima che aveva ogni volta che si svegliava. Ma stavolta era di più. Sentiva dolore anche nel corpo, oltre che nell’anima. Provò ad aprire gli occhi, e a guardarsi intorno. Era sdraiato in un letto. Aveva il torace e il braccio sinistro fasciati e i polsi incatenati alla spalliera. La stanza era illuminata. La luce entrava da due finestre. Una, quella più vicina, aveva le tende abbassate, in modo che i raggi non colpissero direttamente il letto. L’altra invece era spalancata, più lontano, e illuminava una scrivania. Mentre studiava la stanza, cominciò a ricor-dare quello che era successo. Si stava ancora chiedendo come era arrivato lì, e so-prattutto *dove* era “lì”, quando la porta della stanza si aprì, ed entrò la dampyr.
« Buongiorno! Ti sei svegliato finalmente! »
Angelus provò a parlare, si sentiva molto debole: « Cosa.. cosa ci faccio qui? Per-ché non mi hai ucciso? Dove… che posto è questo? Io… »
« Calma, calma. Una cosa alla volta! E comincio io a fare domande. Voglio che mi spieghi bene questa storia dell’anima. In che senso è una punizione? »
« Cinque anni fa ho ucciso la figlia di un capo di una tribù di zingari, in Romania. Loro per vendicarsi mi hanno fatto una maledizione. Mi hanno ridato l’anima, e quindi il senso di colpa per tutto il male che ho fatto. »
« Mhm, interessante. Allora soffri molto. Sì, mi sembra una punizione adeguata! Ho fatto bene allora a non ammazzarti, ti avrei fatto un favore! »
« È per questo che non mi hai ucciso? »
« Sì. Anche. »
« E… perché mi hai curato? Voglio dire… sei stata tu a fasciarmi, vero? »
« Sì. Perdevi talmente tanto sangue… non volevo che mi sporcassi le lenzuola! »
« Siamo a casa tua? »
« Sì. »
« Mi hai invitato ad entrare a casa tua? »
< “Invitato” non è la parola giusta, visto che ti portavo in braccio! > pensò la ra-gazza, ma rispose soltanto: « Sì. »
« Non.. non hai più paura di me, allora? »
« Se fossi tranquilla non ti avrei incatenato al letto, non credi? O pensavi che fos-se un giochetto erotico? », disse indicando le pesanti catene che gli bloccavano i polsi.
Angelus parve all’improvviso rendersi conto di una cosa: « Dove sono i miei vesti-ti? », chiese imbarazzato.
« Bè, la camicia era da buttare, praticamente a brandelli, oltre che intrisa di san-gue. I pantaloni erano solo sporchi. »
Il vampiro abbassò lo sguardo, piuttosto a disagio.
« Ehi, piccolo, rilassati! », gli disse lei: « Te l’ho detto: non volevo mi sporcassi il letto, tutto qui. Non avevo a disposizione abiti maschili, altrimenti te li avrei dati. »
« Non… non hai nessuno… con te? Vivi sola? », chiese, tornando a guardarla.
« Sai com’è, sono piuttosto sfortunata con gli uomini della mia vita: il mio vero padre, bè, lasciamo stare; il mio padre adottivo, è morto prima di riuscire a portar-mi a casa; mi sono sposata, e subito *qualcuno* mi ha ucciso il marito; avevo tro-vato Andrej, un dampyr come me, che mi faceva da padre e da guida, e *qualcuno* me l’ha ucciso! »
Mentre parlava, Angelus aveva abbassato di nuovo gli occhi. « Mi dispiace. Dav-vero. Mi dispiace… » mormorò.
La ragazza non sapeva cosa rispondere. Aveva visto il dolore nel suo sguardo. E le era sembrata vera la sofferenza nella sua voce. Si sentiva quasi in colpa per avergli volutamente ricordato quelle cose. Però non poteva fidarsi, così, su due piedi, non ci riusciva, dopo tutto quello che quell’uomo le aveva fatto.
Ma cos’era, quella? Una lacrima?!? Incredibile: un vampiro che piange!
Doveva fare qualcosa, non poteva tenerlo incatenato al letto per sempre! Alla fine si decise: « Bè, sembra proprio che quella maledizione funzioni a dovere! ». Gli si avvicinò, e tolse il lucchetto alle catene.
Lui la guardava stupito: « Ma… non hai usato nessuna chiave! », notò.
« No, il lucchetto è rotto. Era solo per fare scena. »
Involontariamente, Angelus si lasciò sfuggire un sorriso: « Sei… strana », osservò, massaggiandosi i polsi.
« Senti chi parla! Neanche tu sei tanto normale, Angelus! »
Il vampiro sussultò lievemente. « Ti prego… non chiamarmi così. Non mi piace quel nome. »
« D’accordo, allora come vuoi farti chiamare? ». Si dette della stupida non appena ebbe formulato la domanda: < Ma devo proprio dargliele vinte tutte? Che m’importa se non gli piace il nome che si era dato quando il suo hobby preferito era torturare le persone? Tanto meglio se la cosa lo fa soffrire! Gli sta bene! >
« Non lo so. », aveva risposto intanto il vampiro: « Non c’avevo ancora pensato. »
« E come ti chiamavi quand’eri vivo? », chiese lei con tono infastidito. Era irritata con sé stessa, perché non riusciva ad essere dura con lui: < Ti ricordi tutto il male che ti ha fatto? Come puoi provare pena per un tale bastardo? >
« Mi chiamavo Liam. », rispose lui, titubante: « Ma non posso usare questo no-me. » Stette un po’ a pensare, poi disse sospirando: « Forse Angelus è l’unico che mi si addice. »
La dampyr alzò gli occhi al cielo, spazientita: di nuovo il suo sguardo sofferente le provocava rimorso. Strinse i pugni, decisa a non cedere. Tornò a guardarlo, e rinun-ciò. Finalmente capì perché non ce la faceva a prendersela con lui. Non era Angelus. Non era lo stesso vampiro che le aveva rovinato la vita. Aveva lo stesso corpo, la stessa faccia, e portava il peso dei suoi peccati. Ma non era lui.
Con un sospiro di rassegnazione, cercando di dare però alla sua voce un tono in-differente, gli propose: « Che ne dici di Angel? »
Lui la guardò corrugando la fronte, come se non avesse capito, e lei riprese fret-tolosamente: « Non è tanto diverso dal tuo vecchio nome, ma almeno non è così teatrale! »
« Io.. sì, credo… »
« Ok, vada per Angel, allora. Vado a cercarti qualcosa da metterti. Tu… non ti muovere da lì, eh? », e senza aspettare risposta, si affrettò ad uscire dalla stanza, ma lui la richiamò: « Aspetta! Tu… non mi hai detto come ti chiami, io.. non lo ri-cordo. »
Lei esitò un attimo, poi rispose: « Silvia », e uscì di corsa.
< Strana ragazza >, pensò il vampiro, una volta rimasto solo: < Strana davvero. Incredibile, direi. Prima mi spara e mi infilza, poi mi cura.
E mi ha creduto.
Angel. Sì, non è male.
Ok, vada per Angel! >
E rimase lì stupito ad aspettarla, chiedendosi cos’altro doveva attendersi da quella ragazza davvero non comune.

*****

Silvia si riscosse dai suoi pensieri. Erano anni che non le tornava alla mente quell’episodio. Le sembrava quasi impossibile che fosse esistito un periodo in cui non si fidava di Angel. Invece per molto tempo, dopo quel loro primo incontro, ave-va avuto un sacco di ripensamenti, faticando a dargli definitivamente fiducia. Però era così brutto stare da sola… aveva accettato subito la sua collaborazione non ap-pena lui gliel’aveva proposto. A patto però che la rassicurasse sulla storia dell’anima. Sorrideva al ricordo di quante ne aveva fatte passare al povero vampiro, quanto l’aveva tormentato con i suoi sospetti. All’inizio aveva paura che le avesse mentito, che fosse tutto un trucco di Angelus. Poi pian piano, col passare dei mesi, degli anni, l’aveva conosciuto meglio. E allora aveva temuto che potesse perdere l’anima: non c’era da fidarsi degli incantesimi! E pensare che quando lo vedeva sor-ridere, quelle rare volte, ne era così contenta! Quando avevano saputo da suo padre dell’“attimo di felicità”, invece, aveva cominciato a tormentarlo di continuo, per paura che dimenticasse il dolore. Si era scoperta incredibilmente sadica. Ma avrebbe fatto qualunque cosa, pur di non perderlo.
Angel era diventato, col tempo, la persona più importante della sua vita. Era stato per lei un padre, un fratello, un amico, un sire… la sua guida, il suo punto di riferi-mento per quasi tutta la vita: era stato la sua famiglia. E non gliel’aveva mai detto.
< Un’altra cosa di cui mi pentirò per l’eternità. Credo che la mia incapacità di esprimere i sentimenti sarà la mia rovina!
Potrai mai perdonarmi, Angel? Perché io.. non ci riesco. >
Aveva sempre contato sulla sua presenza. Anche se a volte le loro strade si erano divise, lei aveva sempre saputo che lui c’era, e se avesse avuto bisogno l’avrebbe potuto trovare, e lui l’avrebbe aiutata. Oltre al legame di sangue, li univa un affetto profondo e smisurato. Infatti le era sempre stato vicino nei periodi più difficili della sua vita. L’unica volta che aveva fatto fatica a ritrovarlo, era stato quando era lui ad attraversare un brutto periodo. Dopo che, otto anni prima, suo fratello l’aveva ra-pita, Angel era caduto nella depressione più profonda. Si era sentito inutile, fallito. Pensava di non essere stato capace di salvarla, e aveva lentamente perso ogni vo-lontà di andare avanti. Era finito con l’abitare nelle fogne cibandosi di topi. Per for-tuna lei l’aveva alla fine ritrovato, grazie a quel demone Cantastorie. Che poi li ave-va portati a conoscere Buffy. Doveva essere un modo per “redimersi”, secondo lui. E invece ora Angel non c’era più.
Silvia si asciugò le lacrime che suo malgrado le erano sgorgate, e tornò in sog-giorno. Ancora una volta si era lasciata andare alla tristezza.
« Ma perché ti fai del male? », si disse. Ogni volta che si sentiva giù entrava in camera di Angel per sentirlo vicino, e finiva sempre col deprimersi ancora di più. Ma d’altronde anche il resto della casa era deprimente, silenzioso e buio. Non che quando c’era Angel fosse tutto molto più rumoroso, ma la sua assenza era quasi palpabile.
Silvia si sentiva sola, come non lo era mai stata. Molto più sola di quando era scappata dal castello di suo padre e si era ritrovata a vagare per le strade d’Europa. Molto più di quando era morto Andrej. Molto più di quando Angel era ridiventato Angelus. Molto più sola di quando Spike l’aveva abbandonata.
Sola, perché lui non c’era più, e non sarebbe più tornato.

SECONDA PARTE
CONFUSIONE


Sunnydale, 3 novembre 1998
Finalmente si era decisa. Erano passati più di 5 mesi dalla morte di Angel, e un mese da quando era tornata a Sunnydale. E ancora non aveva avuto il coraggio di tornare alla magione. < Sei una vigliacca! >, si era detta ogni volta che era uscita di casa diretta lì, e poi aveva cambiato idea.
Ma stavolta era diverso, stavolta era più convinta. Anzi, si stupiva delle sue prece-denti esitazioni. Cosa mai poteva esserci di così spaventoso alla magione? Di cosa poteva avere paura? Che cosa mai si aspettava di trovare?
Certo non Buffy e Angel che si baciavano! Rimase per parecchi secondi nell’incredulità più assoluta, finché Angel si accorse di lei, che era rimasta ferma sulla porta con bocca e occhi spalancati.
« Silvia! », esclamò il vampiro, stupito, ma felice. E anche un po’ spaventato, notò Buffy.
Quando si sentì chiamare, la ragazza si rese finalmente conto che non era un so-gno né un’allucinazione, e si gettò tra le braccia del vampiro, scoppiando a piange-re. Angel la strinse, accarezzandole dolcemente i capelli, senza dire nulla. Buffy si ritirò in disparte, pensando che forse avrebbe fatto bene ad andare via e lasciarli soli, ma non riuscendo a schiodarsi da lì.
Quando finalmente, dopo parecchi minuti Silvia riuscì a dominare il pianto, senza staccarsi dall’abbraccio, sussurrò: « Mi sei mancato tantissimo. »
Angel continuò a stringerla, senza parlare.
Lentamente, la ragazza si sciolse dall’abbraccio, per guardarlo negli occhi. Gli sor-rise, asciugandosi le lacrime. Era ancora confusa, vedeva il vampiro davanti a lei, l’aveva abbracciato, ma ancora non le sembrava vero: « Sei tornato… Ma… come? »
« Non lo so. », rispose lui: « Mi sono ritrovato qui, senza capire cos’era successo… non ricordavo nulla, neanche chi ero. »
« Sei tornato… », ripeté di nuovo lei, sempre incredula.
« Sì », rispose lui sorridendole.
Silvia si voltò a guardare Buffy, poi di nuovo Angel, come se stesse pian piano realizzando che era tutto vero, non stava sognando: « Sei tornato! », esclamò alla fine, per la terza volta, tornando ad abbracciarlo: « Angel! O mio Dio!! Sono così felice! Io… ma da quando sei qui? »
Angel si irrigidì leggermente alla domanda, ma lei non se ne accorse, era troppo contenta.
« Non lo so con precisione… », le rispose: « Te l’ho detto, all’inizio non capivo nulla. Credo che sia successo.. all’incirca due settimane fa. »
« Due settimane? » Silvia tornò a guardarlo in faccia, sempre sprizzando gioia da tutti i pori:« Oh, lo sapevo! Non mi ero sbagliata!! Avevo sentito che era accaduto qualcosa, quella notte! Sì, è stato quasi due settimane fa! Ti ricordi Buffy? »
La cacciatrice sussultò sentendosi chiamare: « S-sì, mi ricordo. », rispose nervo-sa: « Ne avevi parlato con Giles… »
« Sì, e lui non mi aveva creduto! », Silvia rideva, mentre parlava, tanto era con-tenta: « Chissà che dirà, adesso! Non voleva proprio crederci, neanche dopo che gli hai raccontato del sogno che… ». Si fermò all’improvviso colta da un sospetto. Il so-gno di Buffy, “molto reale, tridimensionale, in Dolby Sorround, e con gli effetti spe-ciali”. Le sue domande a Giles su come sarebbe stato Angel se fosse tornato. E lui allora era già tornato. E Buffy lo sapeva: glielo leggeva nell’espressione colpevole con cui ora la guardava.
« Buffy! », esclamò, furibonda: « Tu lo sapevi, l’avevi già incontrato, e non mi ha detto niente! »
« Silvia, ti prego », cercò di trattenerla Angel, stringendola per un braccio, ma lei si strattonò e continuò, irata, rivolta alla cacciatrice: « Sapevi quanto stavo male! Come hai potuto non dirmelo? »
« Mi dispiace… Io, volevo aspettare… »
« Ma aspettare cosa?!? »
« Silvia, non arrabbiarti… », cercò di intervenire di nuovo Angel, ma lei lo ignorò.
« Scusami! », tentava intanto di giustificarsi Buffy: « Volevo aspettare il momento giusto… »
« Il momento giusto era il momento in cui l’hai saputo! Diamine! C’ero anch’io con te quando Giles ti ha detto che pensava fosse impossibile! Hai visto quanto soffrivo! Non t’importava niente? »
Angel cercò di intromettersi di nuovo: « Silvia.. »
« Angel, per favore! », esclamò lei impedendogli di continuare: «Non cercare di difenderla come al solito! ». Poi si rivolse di nuovo a Buffy: « Non pensavo potessi farmi una cosa del genere! »
La cacciatrice non sapeva più che cosa dire per scagionarsi: « Guarda che c’è un motivo importante per cui non te l’ho detto… »
« Ma davvero! Avanti, su, dimmi il motivo per cui mi hai lasciata all’oscuro di tutto per ben due settimane! »
« Sì… ehm… il fatto è che io… non potevo dirtelo! »
« Oh, adesso mi è tutto più chiaro! »
« È la verità! »
« E perché non potevi dirmelo? »
« Per un validissimo motivo! »
« La smetti di arrampicarti sugli specchi? »
« Guarda che parlo sul serio! Ma.. non posso spiegarti… »
« Buffy, cerca di essere sincera, per una volta, e di comportarti da persona adul-ta! »
« È quello che sto facendo! »
« E ALLORA VUOI DIRMI PER QUALE ASSURDO MOTIVO MI HAI TENUTO NASCO-STO CHE ANGEL ERA TORNATO?!?! »
« Perché gliel’ho chiesto io. »
Silvia si voltò arrabbiata a guardare il vampiro, per zittirlo di nuovo, sicura che stesse solo cercando di giustificare Buffy, ma quando lo guardò negli occhi compre-se che era la verità. « Tu… », riuscì soltanto a dire, una sola sillaba carica di ango-scia e stupore. Prima che i suoi occhi ricominciassero a riempirsi di lacrime, Silvia scappò via come un fulmine. Angel non la rincorse.
Buffy gli si avvicinò, senza però toccarlo. Quello che era successo prima che arri-vasse Silvia, quando loro si erano… No! Non doveva succedere più!
« Ora che Silvia lo sa », disse: « È meglio dirlo anche agli altri. Penso che… si ar-rabbieranno. Ma prima o poi dovevamo dirglielo, giusto? ». Angel annuì, senza par-lare.
« Il guanto tienilo tu », continuò lei: « Magari l’averlo trovato rabbonirà un po’ Giles! ».
Angel continuava a tacere. Buffy sospirò e si diresse verso la porta. Prima di uscire, si voltò verso il vampiro e gli chiese: « Vuoi che provi a parlarle io? »
« No, grazie. », rispose lui con un filo di voce.
Non aggiunse altro, e Buffy lo lasciò solo.


Silvia sedeva sul divano di casa sua, al buio. Angel era tornato, ma le cose sem-bravano essere rimaste come prima. Avrebbe voluto prendersi a pugni, perché si sentiva così triste: Angel era tornato, che le importava del resto? Ma si sentiva tra-dita, non poteva farci niente.
Avrebbe avuto voglia di parlare con qualcuno, ma in questi casi si rivolgeva sem-pre ad Angel. Ora da chi poteva andare, visto che era lui ad averla ferita?
< Ma in fondo lo capisco: aveva Buffy, cosa gli importava di me? >
Si dette dell’idiota per i pensieri stupidi che le venivano in mente: < Come ho po-tuto essere così egoista? Lui è tornato, chissà dove ha passato questi ultimi mesi, chissà cosa ha sofferto… e io mio preoccupo del fatto che non è subito corso da me. Anzi, peggio! Sono gelosa di Buffy, perché lei lo sapeva! Mi sto comportando proprio come un ragazzina. Dovrei andare da lui a chiedergli scusa, invece di stare qui ad autocommiserarmi! >. Ma rimase seduta sul divano.
Bussarono alla porta. Silvia andò ad aprire ancora immersa nei suoi pensieri, e ri-mase di sasso: « Angel! »
« Ciao », la salutò il vampiro, con in viso la sua solita espressione tutt’altro che allegra.
Silvia pensò a quante volte aveva sognato quella scena: bussavano alla porta, lei andava ad aprire, ed era Angel. Ok, ogni tanto sognava che alla porta ci fosse Spike, ma questo non cambiava il fatto che Angel era tornato. Ed ora era venuto da lei. Che importava che non l’avesse fatto subito? Di nuovo si rese conto di quanto era stata idiota. Anche Angel, però, la guardava con aria colpevole.
« Scusami! », dissero contemporaneamente. Poi sorrisero.
Silvia si ricordò che Angel non aveva più l’invito: « Entra! », disse. Lui entrò, e Silvia chiuse la porta alle sue spalle.
« Non devi scusarti », gli disse: « Sei tu che sei tornato dall’Inferno, io… Io non posso neanche immaginare che cosa hai passato… e invece come una stupida mi preoccupavo solo del fatto che siccome avevi Buffy, non avevi nessun bisogno di me, ma questo non è… scusa, la cosa ti fa ridere? ».
Mentre lei parlava, Angel non era riuscito a trattenere una piccola risata. « Scusami,» le disse: « ma non avevo capito che era per Buffy che ti eri arrabbia-ta. »
« Non mi sono arrabbiata. », precisò lei.
« Ma ne avresti avuto motivo. Non avrei dovuto tenerti all’oscuro per tutto questo tempo. »
Lei si strinse nelle spalle: « Avrai avuto i tuoi buoni motivi. »
Angel non disse niente, ma si sedette sul divano. Rimase a fissare il pavimento, con le braccia appoggiate sulle gambe, e la schiena curva. Silvia gli si sedette ac-canto, in attesa. Aveva capito che lui voleva dirle qualcosa, e stava cercando le pa-role. Infatti poco dopo Angel si raddrizzò, e si voltò verso di lei: « Ho incontrato Buffy la notte dopo che sono tornato, credo. Era al cimitero. Ho un ricordo confuso di quell’incontro. So solo che la notte successiva mi sono ritrovato vicino al Liceo e ho visto che “qualcosa” la stava attaccando. Istintivamente, l’ho difesa. E poi… mi sono ricordato di lei. E ho riacquistato lucidità. »
Silvia annuì: « Credo che il “qualcosa” che ha attaccato Buffy fosse uno studente che aveva inventato una specie di pozione da dottor Jeckyll, che l’aveva fatto di-ventare un mostro. È successo un paio di giorni dopo che… io ho sentito che eri tor-nato. » Silvia si rendeva conto che Angel aveva altro da dire, perciò decise di venir-gli incontro: « È stato così anche con me? Ti sei ricordato solo dopo avermi vista? »
« No, no! », esclamò Angel, quasi scandalizzato all’idea: « Quando ho incontrato Buffy, non ero in me, e vederla mi ha fatto tornare un po’ di lucidità. È questo che intendevo. Ma mi sono ricordato di te appena ho cominciato a ricordare chi ero, e cosa era successo. E ho chiesto di te a Buffy. Mi ha detto di come sei stata male, che te n’eri andata da Sunnydale, e hai girato mezzo mondo… »
« Sono stata solo in Canada, e un po’ in Alaska, per la verità. »
« E poi sei tornata, ma… Buffy mi ha detto che non stai ancora bene. »
« È vero. Cioè… non *stavo* bene. Adesso… adesso sei tornato. »
Angel sorrise: « Silvia, ci conosciamo da tanto tempo… credi davvero che il motivo per cui ho chiesto a Buffy di non dirti nulla è che non mi importava di te? »
« No, non lo credo. Per un attimo ho avuto un dubbio ma… in effetti, io… »
« Buffy è importante per me, non lo nego. Io la amo. Ma questo non significa che quello che provo per te sia... qualcosa di meno. Lo sai quanto bene ti voglio. Lo sai quanto sei importante nella mia vita. »
Silvia sentì gli occhi riempirlesi di lacrime. Cercò di inghiottire, per mandar via il groppo che le si era formato in gola: « Lo so, Angel, lo so. », disse in un sussurro: « Scusami. » Poi scoppiò a piangere.
Angel la abbracciò, stringendola forte. Bagnandogli abbondantemente la spalla di lacrime, Silvia, tra i singhiozzi, riuscì a chiedergli: « Ma allora perché? Non capisco! Perché non mi hai voluto dire niente? Non immaginavi quanto mi mancavi? Quanto stavo soffrendo, senza di te? Io lo sentivo che c’eri, e per questo credevo di stare impazzendo, perché sapevo che non era possibile… Perché non hai voluto dirmi niente? »
Continuando ad abbracciarla, Angel cercò di spiegarsi: « Buffy non aveva detto niente agli altri, perché non avrebbero capito, mi ha spiegato. E poi mi ha chiesto se doveva dirlo a te. Io le ho detto di aspettare, che l’avrei fatto io. E in tutti questi giorni, non sai quante volte sono stato sul punto di venire qui e… non ci sono mai riuscito. Mi mancava il coraggio. Non… me la sentivo di affrontarti, non… ce la face-vo. Pensavo che mi odiassi. »
« Angel… » Silvia si staccò dall’abbraccio, troppo stupita per piangere ancora: « Perché? », chiese con la voce carica di pena: « Per quale motivo avrei dovuto odiarti? »
« Dopo quello che era successo… dopo quello che avevo fatto… soprattutto che *ti* avevo fatto… Come potevo venire da te e dirti: “Scusami se ti ho distrutto la vita per l’ennesima volta, però, sorridi! Sono tornato!” »
Silvia non sapeva se mettersi a ridere o a piangere: « Angel, lo sai che io non ho mai dato la colpa a te delle azioni di Angelus. Non hai nulla da farti perdonare. E poi, l’importante è che adesso sei qui con me! », e lo abbracciò di nuovo: « Sono così felice, finalmente! »
Rimasero per un po’ abbracciati senza parlare, poi Silvia si asciugò goffamente le lacrime, e tirando su col naso, si alzò per cercare un fazzoletto. « Come vanno le cose sulla Bocca dell’Inferno? », le chiese lui: « Qualche novità? »
« Il solito… », rispose lei, contenta di tornare a parlare di cose “normali”: « A parte i vampiri, ci sono stati gli zombie, e poi…. Ah, sì: questa te la devo racconta-re! È tornato Ethan Rayne, il vecchio amico di Giles, te lo ricordi? Non so se Buffy te l’ha già raccontato… »
« No », Angel abbassò lo sguardo: « Buffy mi ha detto solo di Scott. »
« Oh! » Silvia era sorpresa: « Mi dispiace. »
« No, no, è tutto apposto », si affrettò a rassicurarla Angel: «È giusto che sia così. Buffy deve avere un ragazzo normale, gentile e affidabile. »
« E tu cosa sai di lui? »
« So che la rende… felice. »
Silvia non sapeva se doveva dirgli o no che Buffy e Scott si erano lasciati. Se An-gel parlava così, voleva dire che Buffy non gliel’aveva ancora detto, e forse aveva fatto bene. Sapendo che lei aveva un altro, per Angel sarebbe stato più facile di-menticarla. Ed era sicuramente la cosa migliore per tutti e due.
Ma lui ne soffriva molto, questo era evidente.
Angel capì a cosa stava pensando: « So che è meglio così, e mi va bene. È di que-sto che Buffy ha bisogno. Di qualcuno su cui poter contare. »
« Sì, è vero. », convenne Silvia, ma non era convinta: « È per questo infatti che vi baciavate. »
« No, quello è stato un errore, che non si ripeterà più. », disse lui deciso: « Ho sbagliato, non dovevo. Buffy era venuta solo per il guanto. »
« Il guanto? »
« Sì, il guanto di Minegon. »
« Quindi ce l’hai tu? Oh, meno male, un problema in meno! »
« Non proprio, è ancora molto pericoloso, deve essere distrutto al più presto. »
Angel era stato ben felice di cambiare argomento, Silvia se n’era accorta. Decise di assecondarlo, parlare ancora di Buffy gli avrebbe fatto solo male: « Non sapevo fosse possibile distruggerlo! »
« Sì, esiste un incantesimo, chiamato la Fiamma Vivente, ma non lo conosco. »
« Mhm.. questo nome mi sembra familiare… credo di averlo letto su qualcuno di questi libri… », così dicendo si avvicinò alla libreria, rimase qualche secondo a scru-tare i ripiani, poi si illuminò: « Sì, eccolo! », ed estrasse dall’ultimo in basso un vo-lume dalla copertina marrone. Lo sfogliò rapidamente, e poi mostrò trionfante a An-gel la pagina con l’incantesimo della Fiamma Vivente.
Il vampiro sorrise: « Non capirò mai come fai ad avere tutta questa memoria per i libri… »
« È un dono di natura! Dove lo tieni il guanto? »
« Alla magione. »
« Bè, allora sbrighiamoci! », dette un altro sguardo al libro: « Gli ingredienti sono semplici, credo di averli tutti, non c’è neanche bisogni di passare al negozio di ma-gia! ». Porse il libro ad Angel, frugò in un paio di cassetti, e tirò fuori alcune bustine con erbe e intrugli vari: « Possiamo andare! »

Arrivati alla magione, si accorsero subito che c’era già qualcuno. E dai rumori che faceva, pareva proprio che stesse cercando il guanto.
« Possibile che sia Lagos? », chiese Silvia sottovoce: « Come avrebbe fatto a sa-pere che ce l’hai tu? »
« Non lo so. », rispose lui. Entrarono silenziosamente per vedere chi era l’intruso, e Silvia la riconobbe: « Signora Post! »
La donna sobbalzò sentendosi chiamare. Stava colpendo con una pala il lucchetto di un baule. Si rilassò, riconoscendo la ragazza che Giles le aveva presentato come un’amica della cacciatrice: « Tu sei.. Silvia, vero? »
La ragazza annuì, poi disse ad Angel: « Queste è Gwendolyn Post, la nuova osser-vatrice di Faith. »
« E chi è Faith? », chiese lui stupito. Silvia stava per spiegargli tutto, ma Gwen la interruppe sbrigativamente: « Il signor Giles mi ha mandato a cercare il guanto. La-gos è vicino, deve essere distrutto al più presto. Non avreste dovuto lasciarlo incu-stodito! », li rimproverò. Angel la guardava dubbioso: « Abbiamo gli ingredienti per la Fiamma Vivente. », disse. Poi, rivolto a Silvia: « Il guanto è nel baule. ». Andò a prendere un braciere per preparare l’incantesimo, mentre Silvia si avvicinò alla Post, notando che il lucchetto era ormai rotto. Si chinò per aprire il baule, quando sentì un forte dolore alla testa, e perse i sensi. Angel si girò di scatto, e vide che Gwen l’aveva colpita con la pala. La falsa osservatrice si voltò verso di lui, intenzionata a metterlo fuori gioco alla stessa maniera, ma Angel parò il colpo, e le mostrò il volto da demone.
« Va bene! », disse ringhiando: « Vuoi farmi del male, cercare di uccidermi, man-darmi all’inferno? Fai pure, niente di nuovo. Ma *lei* non avresti dovuto toccarla! »
La Post si riprese dallo stupore, e rispose con sarcasmo: « Questa non me l’aspettavo! Un vampiro! Bè, allora… », spaccò con un colpo sul ginocchio il manico della pala: « penso che questo sia più efficace! », esclamò brandendo come un pa-letto il legno spezzato. Cercò di colpirlo, ma Angel schivò e le diede un pugno. La donna cadde a terra, cercò di rialzarsi, ma lui la mandò a sbattere contro il muro. Subito le fu addosso di nuovo, ed in quel momento arrivò Faith: « Signora Post! », esclamò, vedendo la sua osservatrice in difficoltà.
Il vampiro lasciò stare la donna, e si rivolse alla nuova avversaria.
« Non riesco a credere che ti ucciderò, Angel! », esordì questa.
Lui non conosceva Faith, e la credette una complice: « Non lo avrete, il guanto! », le disse.
« Vuoi scommettere? », lo provocò lei. Cercò di colpirlo con l’ascia che si era por-tata, ma lui schivò e la disarmò con un calcio. Faith gli saltò addosso, e Angel la colpì. Lei gli diede un calcio in faccia, poi lo colpì alla gamba, facendolo cadere in ginocchio, dopodiché lo scaraventò lontano. Il vampiro cadde sbattendo la testa, e perse i sensi. La cacciatrice gli fu addosso in men che non si dica, e abbassò il pa-letto per trafiggerlo. Ma qualcuno le bloccò il braccio: « Che cosa…? »
Era Buffy: « Non posso lasciartelo fare! », le disse.
« Sei confusa, oca! Adesso ti spiego: un vampiro, una cacciatrice: il vampiro muore. Quello è un vampiro! », aggiunse indicando Angel.
« Ci sono tante cose che non capisci! », cercò di convincerla Buffy.
Gwendolyn pensò di sfruttare la rivalità tra le due cacciatrici: « Faith! », chiamò: « È lei che non capisce! È accecata dall’amore! »
« Faith, no! », tentò ancora Buffy.
Ma l’osservatrice aveva avuto un’idea: « È un vampiro come tutti gli altri! Guarda: ha ucciso la vostra amica! », e indicò Silvia a terra. Buffy la guardò, non riuscendo a credere ai propri occhi. Non poteva essere. Se Angel aveva fatto del male a Silvia, allora… allora avevano ragione gli altri e lei era stata una stupida, si era lasciata in-gannare! Faith approfittò di quel momento di incertezza, raccolse da terra il paletto e corse dal vampiro. L’altra cacciatrice non riusciva a prendere una decisione, ma appena vide che Faith stava di nuovo per impalettare Angel, si precipitò un’altra volta a fermarla: nel dubbio, non poteva lasciare che lo uccidesse.
« Aspetta! », le disse, trattenendola: « Non siamo sicure, cerchiamo di capire! ». Ma Faith la colpì con un pugno, e Buffy non poté far altro che attaccare a sua volta. Le due cacciatrici lottarono senza che nessuna delle due riuscisse a prevalere sull’altra. Ad un certo punto Buffy spinse Faith contro una vetrata, che andò in frantumi. La lotta tra le cacciatrici si trasferì quindi all’esterno della magione. Gwen-dolyn Post pensò di approfittarne, ma proprio in quel momento arrivarono Willow e Xander, con l’incantesimo della Fiamma Vivente già pronto. L’osservatrice, però, non si scoraggiò. Si liberò facilmente di Xander mandandolo ad aiutare Faith, e ri-masta sola con Willow, corse al baule, e tirò fuori il guanto di Minegon: « Finalmente! », esclamò.
Willow, a qualche passo da lei, la guardava stupita: si rendeva conto che la donna si comportava in modo strano.
« Willow! Fermala! ». La ragazza si girò a guardare Silvia che si era appena ripre-sa, ma prima che potesse fare qualcosa, Gwen la colpì con il guanto, infilandoselo subito dopo. La dampyr si alzò a fatica massaggiandosi la nuca. L’osservatrice si stupì che fosse ancora viva, era sicura di averla colpita abbastanza forte da ucci-derla, ma ormai si era messa il guanto, nessuno poteva più fermarla. Lo alzò al cielo pronunciando le parole per richiamare a sé il potere: « Tar chugam a chumhacht Minegon! ». Subito un fulmine sfondò il vetro del lucernario, andando a colpire il guanto. Buffy e Faith ritornarono subito dentro, ma ormai era troppo tardi.
« Che succede? », chiese la bruna.
Quando i fulmini cessarono, Gwen si girò a guardarla: « Faith, sai cosa ti dico? Sei una povera idiota! », e rivolse verso le cacciatrici il braccio, gridando: « Attraverso me! », e subito si sprigionò dal guanto una scarica diretta verso le due ragazze, che schivarono gettandosi di lato. Poi rivolse il guanto verso Silvia, e anche lei riuscì a salvarsi con un balzo. Intanto sia Willow che Angel stavano pian piano rinvenendo, e Gwendolyn puntò subito il guanto sulla ragazza.
« Attraverso me! », gridò di nuovo, ed Angel si buttò su Willow, togliendola dalla traiettoria del fulmine. Silvia approfittò del momento di distrazione, afferrò uno dei frammenti di vetro del lucernario andato in pezzi, e lo conficcò nel braccio della donna, che urlò. La dampyr la colpì con un pugno in faccia, e tirò il guanto verso di sé. Il braccio dell’osservatrice si staccò. Mentre ancora gridava di dolore, di nuovo piombò un fulmine dal cielo, che la centrò in pieno. La violenza della folgore fece volare Silvia qualche metro più in là. Gwendolyn Post, invece, venne presto ridotta in cenere.
Quando i fulmini cessarono, pian piano tutti si avvicinarono. Il guanto era intatto, e ricopriva ancora quel che restava della signora Post. Buffy lo raccolse, mentre An-gel aiutava Silvia ad alzarsi. Faith era rimasta in disparte, e senza dire nulla andò via prima che qualcuno la notasse.

TERZA PARTE
RICONCILIAZIONE


4 novembre
« Non hai cambiato nulla… ». C’era una lieve nota di stupore nella voce di Angel, mentre si guardava intorno in quella che era stata la sua stanza.
« E cosa avrei dovuto cambiare? »
Il vampiro si strinse nelle spalle: « Non lo so. Ma visto che pensavi che non sarei mai tornato, credevo che… bè, la utilizzassi per qualche altra cosa. »
« Non credo di aver bisogno di un’altra stanza, e poi… bè, forse la verità è che ho sempre continuato a sperare che un giorno saresti tornato. »
Dopo qualche secondo di silenzio imbarazzato, Angel chiese: « Cos’è che volevi dirmi? ». Silvia gli aveva chiesto di passare da lei, dopo il tramonto, perché doveva parlargli. E doveva essere qualcosa di poco piacevole, perché la ragazza era chia-ramente in difficoltà.
Si sedettero di nuovo sul divano, come la sera prima.
« Sì, devo dirti due cose… », cominciò la ragazza: « La prima è che… bè, penso che sia giusto che tu sappia che Buffy e Scott non stanno più insieme. »
Aveva riflettuto molto su questo punto, non sapeva se doveva dirglielo o no. Ave-va pensato che fosse meglio non intromettersi, e lasciare fare a Buffy. Ma poi aveva pensato che quella era solo una scusa, era lei che preferiva non dirgli niente, perché lui si mettesse l’anima in pace. E si era ricordata di quanto la facesse infuriare quando Angel si comportava così con lei. E allora aveva deciso di dirglielo. Attese, aspettando una qualche reazione dal vampiro, ma lui sembrava indifferente: « L’avevo immaginato », disse solo.
« E… allora? »
« Allora, non cambia nulla, tra noi. Non possiamo stare insieme, ed è sempre me-glio che lei mi stia lontana. »
« Angel… »
« Non è una situazione semplice, la nostra. È troppo difficile da gestire. Troppo… pericolosa. Non possiamo fare diversamente. Non abbiamo scelta, quindi per favore, non parliamone più. »
« D’accordo. »
Rimasero di nuovo in silenzio per un po’, poi Angel chiese: « E la seconda? »
« La seconda che? »
« Hai detto che dovevi dirmi due cose. »
« Oh, sì sì, è vero… ». Non le era mai accaduto di sentirsi così in imbarazzo con Angel. E la cosa più brutta era che anche lui le sembrava a disagio. Una volta parla-vano di tutto, non c’era argomento che non se la sentisse di affrontare con Angel, eccetto naturalmente tutto ciò che riguardava Spike. Ma adesso lui non c’entrava niente, erano solo loro due. Ed erano entrambi in imbarazzo.
Dopo un sacco di ripensamenti, Silvia aveva deciso di dire a Angel se voleva tor-nare a vivere lì con lei. Avevano sempre vissuto insieme, in passato: che male c’era? Lui se n’era andato quando aveva perso l’anima, e ora era tornato, e aveva di nuovo l’anima: tornare a vivere insieme sarebbe stata la cosa più normale, no? Ep-pure non riusciva a dirglielo. Aveva paura. Che lui le dicesse di no.
< Se non glielo dici, non lo saprai mai! >, si disse: « Sì, è vero, devo dirti un’altra cosa, ma… è una sciocchezza! Volevo chiederti… »
< Forza, ormai non puoi più tirarti indietro, chiediglielo, forza! >
« Volevo chiederti… ma faccio davvero così schifo col violoncello? » < Vigliacca!!! >
Angel la guardò senza capire, poi all’improvviso si ricordò, e le fissò le mani, mentre un’ombra di sofferenza gli appariva sul volto. Silvia si sentì ancor più uno schifo, ma subito lui le sorrise: « No », rispose. « Non sei male, di solito. Però… quando provi sempre lo stesso pezzo, in continuazione… diventa un po’ seccante. »
Anche lei sorrise, rincuorata: « Non posso biasimarti, però, sai, è così che si mi-gliora! Facendo esercizi. »
« Gli esercizi vanno bene, ma delle volte esageravi, come quando ti eri intestar-dita con quel pezzo dello Schiaccianoci… »
« Il Trèpak? »
« Sì, quello. Confesso che un po’ ho gioito quando spartito e violoncello sono bru-ciati in quell’incendio. »
« Bè, sì, su quello devo darti ragione. Ma quel brano ha un significato particolare… probabilmente è destino che io non riesca mai a suonarlo. »
« Perché? »
« Oh, è.. una specie di scommessa… una lunga storia… »
« E perché non me l’hai mai spiegato? Avrei sopportato meglio i tuoi esercizi! »
« No, non credo, anzi.. penso ti saresti arrabbiato! »
« Mh. E cosa c’entra Spike con Tchaikovsky? »
« Ma chi ha parlato di Spike?!? »
« Se avevi paura che mi arrabbiassi, vuol dire che c’entra Spike. »
Silvia sospirò. Ma vide che Angel era tranquillo, non sembrava arrabbiato, come ogni volta che parlavano di Spike. Decise di raccontargli tutto: « Ti ricordi quando vivevamo a San Pietroburgo? », Angel annuì, e lei continuò: « C’era “Lo Schiaccia-noci” a teatro, io sarei tanto voluta andarci, ma ormai mi ero rassegnata. Però la sera dell’ultimo spettacolo, ho incontrato Spike, e lui mi ha portata a vederlo. »
« Spike?!? Ad un balletto? »
Silvia si strinse nelle spalle: « In effetti non credo gli interessasse, penso che l’abbia fatto solo per… farmi contenta. »
« E così tu e Spike siete andati insieme a teatro… »
« Sì. Lui mi aveva giurato che non aveva ucciso nessuno per avere i biglietti, ma io non ne ero sicura. Però ho accettato lo stesso, sai quanto desideravo andare a teatro, e quanto adoro Tchaikovsky ! »
« Sì, capisco. È stata una bella serata, immagino. »
Silvia era molto stupita di questo atteggiamento di Angel. Non era mai stato così. Quando c’era di mezzo Spike, finivano sempre per litigare, anche se parlavano di cose successe anni prima. Possibile che ora fossero talmente cambiate le cose tra di loro, che non riuscivano a parlare tranquillamente di nulla, se non delle cose che prima erano tabù? Ma qualunque fosse il motivo, se Angel aveva voglia di ascoltare, a lei faceva molto piacere parlarne: « Sì, è stata davvero una bella serata. Dopo lo spettacolo abbiamo camminato un po’ insieme, chiacchierando. Io naturalmente ero entusiasta, non facevo altro che parlare di quanto m’era piaciuto, dei pezzi che mi avevano colpito di più, e ho detto che mi sarebbe piaciuto tanto suonare la Danza Russa. Lui si è messo a ridere, e ha detto che si ricordava delle mie capacità come musicista. Io gli ho detto subito che ero molto migliorata rispetto all’ultima volta che lui mi aveva sentita, ma lui ha continuato a prendermi in giro, io mi arrabbiavo sempre di più, e immagino lui si divertisse a continuare a stuzzicarmi. Alla fine mi ha detto che era più facile che lui smettesse di bere sangue, piuttosto che io riuscis-si a suonare quel brano, e io gli ho detto: “Vuoi scommettere?” e lui “Sì, sono tal-mente sicuro che non ci riuscirai mai, che potrei anche farlo!”, e allora io gli ho detto che gliel’avrei fatta vedere. Poi però non ne abbiamo parlato più, e io l’avevo anche dimenticato, finché il Natale successivo ho ricevuto uno spartito della Danza Russa di Tchaikovsky per violoncello, con un biglietto anonimo che diceva: “Io la mia parte l’ho fatta, ora sta a te”. »
« Fammi capire, quindi avete scommesso? Cioè, se tu riuscirai a suonare quel brano lui… »
« No, no, no! Non era una vera scommessa. Era solo una battuta, la sua, e io… volevo fargliela vedere, non sopportavo che l’avesse vinta lui! Solo che pare proprio destino, perché, hai visto, nonostante tutti gli esercizi, non sono mai riuscita a suo-nare bene il Trepak! »
Angel sorrise, ma poi ridivenne serio, colto da un pensiero: « Silvia.... posso chie-derti io una cosa? »
« Sì, certo, di’ pure. »
Angel esitò un momento, poi domandò: «Che fine ha fatto Spike? »
« Spike? Vuoi dire dopo… Acathla? »
« Sì. Ma se non ti va di parlarne, non fa niente. »
Silvia si strinse nella spalle: « No, non è un problema, è che non c’è niente da di-re, in realtà. Niente di nuovo, almeno. Se n’è andato. Con Drusilla. »
« È andato via da Sunnydale? »
« Sì. Pare che abbia fatto un patto con Buffy, di non tornare più. »
« Sì, è vero, mi ricordo: lui e Buffy si erano alleati. È stata una bella sorpresa. An-che perché io credevo che lui fosse morto. Invece… »
« Sì, l’ho salvato io. »
Silvia aveva un’espressione molto colpevole in viso, perciò Angel si affrettò a rin-cuorarla: « Hai fatto bene: senza di lui probabilmente avrei ucciso Buffy. »
« Già », disse lei annuendo. Non voleva rimettersi a piangere per l’ennesima vol-ta, e poi lei *odiava* piangere! Ma ecco che le lacrime spingevano di nuovo per uscire, e non ce la faceva proprio a trattenerle. Angel l’abbracciò, cercando di con-solarla: « Mi dispiace che lui ti abbia lasciata. Davvero. »
Lei scosse la testa: « No, non è questo… », ma i singhiozzi le impedirono di prose-guire. Angel continuò a stringerla e confortarla, e con fatica lei riuscì a spiegarsi: « Lui me l’aveva detto che era dalla parte di Buffy, e io non gli ho creduto! L’ho pre-so in giro e l’ho picchiato, ma mi aveva detto la verità! Se mi fossi fidata, forse lui non se ne sarebbe andato, ma sarebbe rimasto con me! E soprattutto, forse tu non saresti finito all’Inferno! »
« Non dire così, Silvia, ti prego. Non devi sentirti in colpa. »
« Invece sì! Perché *è* colpa mia! È solo colpa mia, Angel, tutto quello che è suc-cesso! »
« Non è vero, Silvia, e lo sai. Tu non hai niente… », ma lei lo zittì posandogli una mano sulla bocca: « Non capisci, Angel, non è solo questo. È… Tutto! Tutto quanto è stato colpa mia! Non sapevo che stavano facendo l’incantesimo perché sono scap-pata via dall’ospedale! Non ho creduto a Spike! Non ho aiutato Buffy! Per non par-lare di tutto il casino che ho fatto prima! Ho lasciato che Drusilla uccidesse Kendra, e poi… la Calendar… L’incantesimo esisteva, hai visto? Mio padre mi aveva detto che non c’era più, invece Jenny l’aveva trovato! Io mi sono fidata di mio padre, come una cretina! Se non gli avessi creduto, se avessi insistito… Avrei potuto trovare l’incantesimo per ridarti l’anima molto prima… »
« Basta! », esclamò Angel con voce severa, facendola sussultare.
Il vampiro le asciugò le lacrime, dicendole dolcemente: « Smettila di tormentarti. Forse se avessi agito in maniera diversa, le cose sarebbero andate in una altro modo, e forse no. Ormai è passato. Io sono qui. Non sentirti in colpa, e non pensar-ci più. Hai fatto quello che potevi, nessuno può biasimarti, credimi. Perciò smettila di farlo tu. »
Silvia si era calmata, e ora lo guardava negli occhi, dubbiosa: « Quindi tu non ce l’hai con me? »
« No! Certo che no! »
Era sincero, ne era sicura. < Allora perché non vuole tornare a vivere qui? >, si chiese. Ma preferì non dirgli nulla. Ora che si erano chiariti, non voleva rischiare di rovinare tutto. Angel le aveva detto che non ce l’aveva con lei, e questo era l’importante. Per le altre cose, c’era tempo.
Si sorrisero, finalmente, tranquilli e non più imbarazzati.
Si abbracciarono ancora una volta, poi Angel le disse con tono allegro: « Allora, non mi hai ancora raccontato cos’è successo quando è tornato Ethan Rayne… »