Fuoco e ghiaccio

- work in progress...


AUTORE: Pedistalite
SPOILER: Btvs generali
PAIRING: Spike/Willow
RATING: per tutti
DISCLAIMER: I personaggi delle serie "Buffy the vampire slayer" e "Angel" appartengono a Joss Whedon, la WB, la UPN e la FOX.
L'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.
Sfortunatamente sono di mia proprietà unicamente Kate Meg e Liz.
Insieme a tutti gli altri personaggi che tirerò fuori dal mio magico cilindro.
Ma se qualcuno tanto fortunato da possedere David o James fosse così gentile da pensare a me per un regalo, sarei davvero contenta!
Enjoy!

 

Fuoco e ghiaccio

Si era guardata bene allo specchio quella mattina.

Non sparivano.

I segni.

Quelli che la sua magia le aveva marchiato a fuoco sulla pelle.

Molti dei quali non erano visibili. Alcuni neanche lei riusciva a vederli ancora bene.

Eppure sapeva che c’erano. Così come sapeva che difficilmente qualcun altro l’avrebbe guardata con abbastanza attenzione da farci caso.

Distolse lo sguardo irritata: un’altra giornata stava iniziando. Sarebbe dovuto essere un buon giorno: fuori splendeva il sole. Ma lei non riusciva a vederlo: era ancora immersa nelle tenebre.


§§§


Fuori splendeva il sole, ma non poteva vederlo.

Eppure quella non era una novità.

Spike scagliò il boccale di birra contro il muro.

L’anima dannata. La sua. Aveva il potere di torturarlo, di renderlo debolmente umano ma non di permettergli una banale passeggiata diurna. Come una persona normale.

Come una persona. Dio, lui non era una persona! Un vampiro, un vampiro, un maledettissimo vampiro! Un demone, un essere immondo che doveva strisciare nell’ombra.

Afferrò la bottiglia di bourbon e ne versò un po’ in un bicchiere, ci ripensò e attaccò direttamente la fonte. La finì in un paio di sorsate e la gettò a terra, ormai vuota.

Ne prese un’alta sperando di stordirsi.

§§§


Il volo diretto Londra-Sunnydale sola andata era stato orribile.

Non voleva tornare, ma era un pensiero che non aveva messo a fuoco.

Almeno non fino a quando aveva rivisto quel cartello odioso di benvenuto dal vetro sporco del pullman che la riportava a “casa”, dai suoi “amici”.

Si guardò le unghie, le aveva recise con i denti. Non le era mai successo, perché non si era mai sentita tanto nervosa. Eppure non aveva motivo, giusto? Tornava alla sua vecchia vita, da quelli che l’amavano! Perché il pensiero le era così insopportabile? Forse le mancava Tara?

No, le sarebbe mancata in eterno, le mancava perfino quando era ancora viva.

E non si era mai domandata cosa questo significasse.

Allora cosa? Forse il fatto che tornava ad essere la vecchia se stessa? Ignorata completamente dal resto del mondo? Ora non aveva più nemmeno la magia a renderla interessante, a farla sentire forte, diversa…pericolosa. E poi le mancavano davvero, loro, gli altri?

Le cose che aveva detto su Buffy… non le costava una gran fatica ammettere che le pensava davvero. Non era mai stato facile rassegnarsi ad essere la comprimaria, la seconda, la spalla.

Ma era confortante il potere dell’abitudine.

Mentre adesso… bè aveva assaggiato il potere, c’era forse qualcosa di meglio? –nonono- si riscosse dai suoi pensieri. –non ci cascare. Attentaattentaattenta-

afferrò la sua valigia, mentre scendeva dal pullman.

E si sentì incredibilmente stupida. E sola.

Era notte, ormai. E i suoi amici non c’erano.


§§§


Scagliò l’ennesima bottiglia contro il muro.

Dannazione! Reggere l’alcol così bene non era mai un vantaggio in momenti come quello.

E fu allora che la vide. Richiamata dal fondo della sua mente. E del suo cuore.

E fu sicuro che fosse uno scherzo crudele dei suoi desideri.

Perché dall’angolo buio Buffy Summers gli sorrideva.

Buffy sorrideva mentre copriva la distanza che c’era tra lei e il vampiro con pochi passi sinuosi.

Gli arrivò proprio di fronte beandosi del suo sguardo incredulo.

“ciao Spike” gli carezzò la pelle lasciata scoperta dalla camicia sbottonata regalandogli un sorriso falsamente perfetto.

“non dovresti sparire così! Potrei quasi iniziare a preoccuparmi…”

cominciò piano a sfilargli la blusa.

Spike riassunse un minimo di autocontrollo. “perché, dov’ero andato? Sono sempre stato qui. E tu a quanto pare la strada te la ricordi molto bene.”

“oh” lei assunse un’adorabile aria imbronciata “non sei più venuto a trovarmi dopo quella volta…” si riscosse fissandola glaciale “quale? Quella in cui mi chiedevi di sparire? Sono stato un gentiluomo, e ho accontentato una signora”

la fissò divertito mentre lei lo squadrava famelica “…ma forse Buff ho sbagliato. Dimentico sempre che tu non sei una signora” e la baciò.

Ma per lei era troppo.

Seguendo gli ormoni impazziti di una caccia infruttuosa aveva pensato di sfogare su di lui la sua frustrazione, incurante di ciò che lui avrebbe potuto pensare.

Spike era un mostro, non poteva giudicarla.

Lei era l’eroina, quella che si sacrificava.

Quella che moriva.

Che diritto aveva uno, che squartava e distruggeva invece di proteggere, di considerarla una…puttana?

Lo allontanò mandandolo a sbattere contro il muro.

Percorse con passi calcolati la distanza che la separava dalla porta, contando nella sua mente.

Uno, due, tre…convinta che l’avrebbe fermata, come sempre.

Che avrebbe ceduto.

Si preoccupò quasi quando arrivò al quattro.

Di solito a quel punto lo stavano facendo già da un pezzo! Col cuore in gola pensò

–cinque-

mentre allungava la mano sulla maniglia, preparandosi a odiarlo con tutta se stessa per quanto l’aveva fatta cadere in basso.

Ma la sua mano, sconfitta, come sempre bloccò quella di lei un attimo prima che potesse uscire. Nascose la soddisfazione sotto uno sguardo arrabbiato.

Voleva la capitolazione totale. “non toccarmi!”

sembrava la sua frase preferita a giudicare dall’insistenza con cui la ripeteva!

Eppure era sempre lei a iniziare quel gioco che si faceva via via sempre più faticoso.

“andiamo Buffy lo sai… fatico sempre a tenere chiusa questa fogna!”

lo vide alzare lo sguardo su di lei quasi implorante.

Disposto a degradarsi fino in fondo pur di ricevere un po’ di… amore.

Gli toccò nuovamente il petto marmoreo, compiacendosi di sentirlo fremere sotto di lei.

Puttana?

No!

Lei era solo una giovane e bella ragazza americana che si divertiva un po’.

Che male c’era a sfruttare a proprio vantaggio il suo fascino sicuro? No, quella sera non aveva voglia di litigare. Quella sera aveva altre voglie.

“sta zitto e baciami!”

le recriminazioni… bè, ci sarebbe stato tempo, dopo…


§§§


Aveva aspettato qualche minuto, non veramente ingenua al punto da credere in un ritardo.

Si erano dimenticati che sarebbe arrivata.

Evidentemente neanche loro erano troppo entusiasti.

Oppure… forse…si, ma certo! Qualche demone! Talmente minaccioso che gli avrà impedito di… si forse più di uno! Quattro, cinque…dieci demoni!

–ma chi prendi in giro?-

oppure magari Buffy sarà occupata con Down e Xander col suo lavoro, o con… Anya.

Allora a questo punto Buffy potrebbe essere “impegnata” con…Spike?

–ma ti importa veramente?-

scosse la testa a rispondersi da sola in quel bislacco dialogo con se stessa e si incamminò.


§§§


Se n’era andata sbattendo la porta. Che si dimostrava sempre più resistente.

Aveva finto di dormire per rendere quella separazione meno stomachevolmente finta.

Eppure era talmente sintonizzato su di lei da vederla vestirsi con calma alla luce delle poche candele anche con gli occhi chiusi. Si era alzato di scatto e gettato in terra le coperte, indifferente al freddo che lei gli lasciava sulla pelle. Come Drusilla,o, probabilmente molto peggio.

–ti usa, vecchio mio!-

ah! Stava diventando ripetitivo.

Quante volte se lo era detto? –mandala a farsi una doccia fredda- prima di incontrare la sua bocca e il sapore dei suoi baci –la prossima volta!- e poi cedere con rabbia –mi accontento anche di questo, posso accontentarmi!-

s’infilò di fretta un paio di pantaloni e una maglietta sdrucita, afferrò al volo lo spolverino.

Uscì.


§§§


Non le era per niente mancata Sunnydale. Lo doveva riconoscere.

E, dopo tutto quello che aveva visto, non le faceva più nemmeno paura.

Il che non era molto intelligente.

Era nella sua fase –sono potente nessunomibatte hodimenticatodinonaverepiùpoteri-

anche per questo aveva scelto di passare vicino al cimitero –è la strada più breve-

inconsapevole che era molto meglio perdere più tempo durante il cammino, ma arrivare viva a destinazione; che affrettarsi e non arrivarci affatto.

Non li sentì nemmeno, i vampiri. Accerchiarla.

Però li vide. Quando ormai era troppo tardi.

Gettò la borsa sul terreno e si piegò sulle ginocchia per evitare il peso morto che la caricava. Schivò quello, ma non gli altri due, che la gettarono a terra.

E se anche fosse riuscita per un qualche miracolo a liberarsi di loro, c’erano sempre gli ultimi tre a guardare compiaciuti il compagno che si rialzava.

“ti ha fatto la bua?”

“la ragazzetta da del filo da torcere!” esclamò l’altro vedendo Willow gettare una manciata di terra negli occhi di uno dei suoi due assalitori.

L’ultimo quello che sembrava essere il capo, e il più forte, fece un cenno ai due che la tenevano. “prima i più anziani! Ragazzi, rispettate la gerarchia!”

i due le serrarono le braccia e lei si preparò mentalmente a sentire la trafittura mortale.

Si era avvicinato abbastanza da disgustarla col suo fetore di marcio.

Ma non abbastanza da rendere impossibile che qualcuno si frapponesse tra lui e la sua cena.

“ah si? Allora dovresti levarti dai piedi Rider! Perché io sono molto più vecchio!”

si voltò un attimo verso di lei per controllare che quei due presi dal panico non facessero idiozie.

Si voltò di nuovo verso di lui “scusa,idiota. Dammi un momento!”

con velocità e grazia di predatore felino fece schioccare l’osso del collo di quello alla sua destra, che si accosciò come una marionetta svuotata. Non l’aveva ucciso,

-l’ho immobilizzato, però-

ci avrebbe pensato il sole il mattino dopo.

L’altro gli lanciò Willow addosso per distrarlo il tempo necessario a una fuga precipitosa. Spike l’afferrò al volo e lei si abbandonò contro il suo petto cominciando a tremare

–bentornata sulla bocca dell’inferno-

Spike tirò fuori dalla cintura dei pantaloni l’immancabile paletto e prese la mira

“ti dice male amico! Stasera non mi va di essere magnanimo!”

il paletto lo raggiunse a cinque metri di distanza centrando il cuore dopo avergli spezzato in due la spina dorsale. Si girò verso i quattro rimasti tenendola ancora stretta.

“il prossimo?”

a quelle parole il più giovane, quello che Willow aveva schivato, prese a correre nella direzione opposta alla loro.

Spike fissò la sua schiena inclinando leggermente la testa.

Willow lo vide afferrare un altro paletto

–ma da dove li tira fuori?-

“mi dispiace amico, ma come ho già detto stasera non sono dell’umore!”

lo guardarono tutti puntare, lanciare e centrare il bersaglio.

Come se niente fosse si spolverò i pantaloni con la mano libera.

A quella vista il capo, quello che Spike conosceva gridò qualcosa.

Ma Willow non capì bene –che ha detto?-

gli ultimi due rimasti, incitati dal loro sire si gettarono verso di loro.

Spike la guardò un momento e come se quegli idioti non stessero per piombargli addosso, le rivolse un sorriso “risolvo questa cosa e ti accompagno a casa, va bene?”

la fece sedere sul terreno e si mise in posizione di difesa. Incredibilmente velocemente.

-risolve…questa cosa…???...-

lo guardava con gli occhi sbarrati mentre sprecava l’ultimo paletto per raggiungere il petto del secondo vampiro e lasciare che il pezzo appuntito rotolasse fino a lei. Lo fissò, catatonica.

“allora Rider, a quanto pare siamo rimasti io e te!” l’altro vampiro gli lanciò uno sguardo di odio puro, ma era chiaro che stava valutando una via di fuga possibile.

Adocchiò Willow poco distante, che ancora non si era ripresa dallo stato di semi incoscienza in cui era scivolata. Spike intercettò il suo sguardo “lascia stare la ragazza!”

Rider lo fissò crudele “e perché? Una volta, se non ricordo male avevi una predilezione per le rosse! Poi…poi i gusti sono cambiati.”

Lo stava studiando e cercava di distrarlo, continuò “sai, si vocifera nell’ambiente che tu abbia fatto un viaggetto. Beato te! Posti nuovi, bellezze esotiche! Però pare anche che ti abbia rammollito Spike” sibilò il suo nome con disgusto.

Facendolo veramente incazzare. “io non mi preoccuperei dei pettegolezzi!”

“ hai ragione!” provò ad assecondarlo “E poi vedi, che ti eri rammollito lo si sapeva già prima! Anima, o non anima!” gli si gettò addosso mandandolo a sbattere con la schiena su una pietra dura.

“dannazione!” –ma dov’è il paletto?- era più pesante. Molto più grosso e grasso fino all’inverosimile. E per questo più impacciato.

“lo sai Rider, credo che questa curetta ricostituente ti abbia danneggiato!” lo scalciò lontano da sé beffandosi della sua scarsa agilità.

“sei forte Spike! Pensavo di sfiancarti con un paio di mossette e invece sembra che dovrò impegnarmi di più” “col tuo peso sicuramente!” qest’ultimo commento lo rese livido di rabbia

“sai” sibilò “quando lavoravo per te credevi di essere il capo. Ma era la tua bella puttana, il capo! Niente di quello che tu decidevi si attuava senza il suo consenso! Lo sapevi questo?”

se la cosa lo colpì non lo diede a vedere.

“stai per morire, lo sapevi questo?”

Spike si preparò a colpirlo.

Si accorse una frazione di secondo troppo tardi che dalla tasca del suo ingombrante soprabito aveva tirato fuori una pistola.

E che aveva sparato. Prendendolo di striscio alla spalla destra.

E sparando una seconda volta ferendolo più seriamente appena sotto lo sterno.

“con i tempi che corrono…bisogna premunirsi, vecchio mio!”

Ignorando la macchia rossa che si allargava sotto la scapola Spike si rimise in piedi e ruggì trasformato nel demone e davvero inferocito.

Con un calcio gli fece volare dalle mani la pistola e lo gettò a terra bloccando la sua pancia prominente tra le gambe.

Gli affondò le mani nel collo grinzoso sperando di sentire da un momento all’altro lo schiocco che ne indicava la rottura. Non avrebbe resistito ancora a lungo.

L’altro si dimenava, viscido come un’anguilla “o, andiamo Spike! Io non ti avrei ucciso, le pallottole non uccidono i vampiri come noi, lo sai”

“a no?” arrancò l’altro in preda a un folle dolore al petto “e che volevi fare, un picnic?”

non riusciva più a tenerlo.

Si voltò nel posto in cui aveva lasciato Willow seduta

“strega, un paletto maledizione!”

trovandolo vuoto –ma dov’è andata?-

tornò a fissare il vampiro sotto di sé “siamo rimasti soli, a quanto pare! Meglio, sarà più divertente” sorrise ironicamente scoraggiato.

E fu allora che avvertì vicino a lui la sua presenza.

Rimase affascinato mentre la vedeva impugnare la pistola e fargli segno di alzarsi mentre manteneva l’altro sotto tiro.

“le pallottole non uccidono i vampiri, giusto?”

la vide puntare all’inguine in un misto di incredulità e ammirazione

“ma credo che faccia parecchio male? Spike tu che dici?”

lo sentì chiederglielo ma fissare il suo aggressore con ferocia “tra poco lo sapremo.”

–logico che si voglia vendicare!-

pressò con soddisfazione il dito sul grilletto e sentì il guaito animale di dolore e vide il ghigno di follia omicida dipingersi sul volto del mostro “lurida cagna!”

“ehi verme! Impara a trattare le signore!” Spike si frappose tra lei e il vampiro che si dibatteva in preda al dissanguamento come se le sue sole parole la potessero ferire.

Addolcì lo sguardo per rivolgersi a lei “andiamo”

le cinse la schiena con un braccio trattenendo un gemito.

La guardò negli occhi per cercare una qualsiasi forma di espressione.

Rimanendo profondamente deluso.

Che fine aveva fatto la streghetta dai capelli di rame e gli occhi più grandi che aveva mai visto? Quello era un mascherone di indifferenza.

Si ritrovò a chiedersi se ne avrebbe dovuto avere paura.

La strega scosse la testa e con un altro cenno gli indicò il frammento umano che si dibatteva,

“non credo tu voglia lasciarlo così” sussurrò con voce priva di espressione.

La guardò incuriosito. Come a rispondere a quello sguardo Willow gli passò il paletto.

Stupito se lo rigirò qualche istante fra le mani prima di compiere l’affondo mortale.

E vederla crollare al suolo.


§§§


Si era incantato a guardarla dormire.

Senza troppo preoccuparsi del perché.

Molto più preoccupato di averla vista crollare al suolo, subito dopo aver dato sfoggio dei nuovi tratti della sua “affascinante” personalità.

–cosa diavolo ti è successo?-

non aveva mai confidato tanto nelle sue capacità come quella notte.

Le si era avvicinata, raccattando dal suolo il corpicino svenuto e sistemandolo alla bell’e meglio sul petto. Immediatamente ricordandosi che aveva una pallottola che gli aveva trapassato lo sterno e un’altra che ci era andata pericolosamente vicino.

Quei pensieri persero subito consistenza nel momento in cui il visino infantile gli si strusciò inconsciamente sulla spalla.

Rise di sé stesso al pensiero che lei gli si stava accomodando addosso.

E che la cosa non lo infastidiva.

Il dolore tornò a pungerlo, punendolo della sua perdita di tempo prezioso.

Si stava facendo tardi. Strinse gli occhi in due fessure per non barcollare.

Non che la rossa fosse pesante

–è piacevole avere qualcosa di caldo addosso-

ma sperò vivamente di riuscire a ritrovare la strada del suo anfratto e a seppellircisi con lei prima dell’alba.

Non voleva che si svegliasse.

Sperava inconsciamente che guardandola avrebbe ritardato quel momento il più possibile.

Era bello avere qualcuno candidamente addormentato nel suo loculo.

Solo adesso lo scopriva. Lei fuggiva sempre via disgustata dopo i loro amplessi.

Questa ragazza qui, invece dormiva, come se quello fosse il posto più sicuro del mondo.

–c’è anche da considerare che probabilmente è svenuta!-

ma quel pensiero gli tolse solo un poco il buon umore.

Si fece più attento.

Tra poco sarebbe stato il momento.

Si stava deliziosamente stiracchiando.

Willow si portò una mano agli occhi sfregandoseli come una bambina.

Si mise seduta piano, come se le girasse la testa e appoggiò le palme delle mani sul materasso per sorreggersi “oh! Perché stanno girando le pareti?”

la sentì borbottare qualcosa sugli alcolici scadenti delle linee aeree.

E rizzare la schiena, irrigidendosi come se si fosse improvvisamente ricordata.

–ecco, questo è il momento!-

in cui si ricorderà che dormiva beatamente nella tana del lupo e scapperà via nauseata, gridando qualche sconnessa parola di ringraziamento mentre corre già fuori.

Willow si guardò intorno abituando i suoi occhi al buio e incontrando quelli di Spike.

–ma li ha sempre avuti di quel colore?-

arrossì involontariamente a quel pensiero che ne presupponeva molti altri, sotto lo sguardo sempre più curioso del vampiro “c-ciao Spike” almeno il nome l’aveva detto senza balbettare.

“ciao” non sembrava intenzionato a dire di più.

Incredibilmente non stava scappando e l’aveva salutato perfino con gentilezza.

Era rimasto affascinato dal rossore genuino delle sue guance.

Gli era capitato di rado di provocare una reazione simile senza ricorrere a battutine oscene.

Ed era rimasto lì, inebetito, semplicemente a fissarla.

Willow fece una risatina nervosa –mi sento un’idiota!-

ma dov’era finita la vendicatrice della sera precedente? Quella che aveva fracassato le palle del povero vampiro che aveva avuto la sfortuna di scegliere la cena sbagliata? La stessa che poi, paletto alla mano, l’aveva invitato a finirlo?

La situazione diventava imbarazzante.

Spike si ostinava a rimanere in silenzio e lei si sentiva sempre peggio.

“ok! È meglio che vada!” si alzò cercando di riassettare meglio che poté il letto sfatto in un modo che lui trovò irresistibile

“no!” si era alzato dalla poltrona ed era andato verso di lei “cioè…come stai?”

incredibilmente sollevata che lui non volesse sbatterla fuori alzò una mano sulla fronte a massaggiarsi le tempie “mi fa un po’ male la testa, in effetti”

la guardò perplesso “lo credo bene!”

“perché?” aveva alzato gli occhini, interrogativa

“bè, dopo lo show di ieri notte… credo ne dovremmo parlare!”

“di cosa Spike? Hai fatto fuori un gruppo di vampiri come chissà quante altre volte e…mi hai salvato!” si trovarono faccia a faccia

–lei non si…ricorda?-

l’espressione incredula di lui con quella sempre più nervosa di lei.

–dio e adesso che c’è? Perché mi guarda così? Forse…ma si, idiota! Si aspetta un ringraziamento! Mi ha salvato la vita e io non sono in grado che di balbettare parole sconnesse!-

“ah!” si avvicinò un altro pochino “a questo proposito Spike…grazie”

le venne spontaneo allungarsi sulle punte per lasciargli un bacino sulla guancia fredda. L’espressione incredula si trasformò in totale sconcerto. –mi sta baciando?-

un contatto da niente, durato poco più di un secondo.

Ma talmente sincero e naturale che dovette lottare contro un improvviso nodo allo stomaco che gli artigliò le viscere.

Si chinò leggermente in avanti per prolungare quel contatto mettendola in grande imbarazzo quando le loro guance si trovarono a strusciare delicatamente.

E lei abbassò la testa, incontrando il suo petto nudo.

Peggiorando, se possibile la situazione.

–mi chiedo di che colore sono diventata-

e rise di nuovo istericamente pensando che il viso le si stava praticamente accendendo.

Riprese in extremis il controllo di se stesso, cercando di salvare la faccia “bè.. si…prego!”

–si bravo idiota, stordiscila con la tua eloquenza!-

“non c’è di che!” rispose lei con troppa enfasi sentendosi stupidamente sempre più afflitta.

–okkei!! Cambia discorso! Metti quattro parole in fila!- “tu come stai?”

non era preparato a rispondere a quella domanda. Di solito nessuno si interessava delle sue condizioni né fisiche, né tanto meno psichiche.

Che dire? “sto bene!” accennando un sorrisetto che sottintendeva –sono indistruttibile-

“sicuro? No perché mi sembrava che ti avesse sparato!”

non riusciva neppure a nominarlo quell’essere immondo che aveva cercato di…-lasciamo perdere!- “allora non ti era sfuggito!” “perché…cosa mi è sfuggito?” “ bè.. ti sei trasformata per un certo tempo in dark-Willow sparando alle p… in un certo posto a quel tipo e dopo affidando a me un paletto per finirlo”

la testa sembrò scoppiarle “io ho fatto questo?”

–nonmiricordo-

cadde in ginocchio sul pavimento torcendosi le mani.

“io ho fatto questo?” ripeté sperando che la risposta fosse diversa dal cenno affermativo di poco prima.

Spike si inginocchiò davanti a lei “su non è così grave! Hai solo sistemato un viscido che lo meritava!”cercò di consolarla.

“ma non capisci Spike? Non mi ricordo! Ho lasciato che qualcosa mi controllasse! Se non mi avessero tolto i poteri in Inghilterra li avrei usati di nuovo per fare del male… a che è servito tutto questo? Nonmiricordononmiricordo!” cominciò a ripetere come una litania.

Spike le prese le spalle “ehi strega! Non hai ucciso nessuno!” si maledisse immediatamente per quell’uscita poco felice

–ma bravo! Già che ci sei ricordale pure del tizio che ha scuoiato!-

vide i suoi occhioni pieni di lacrime partorire gemme luminose nel buio della cripta.

La strinse permettendole di poggiare il capo nell’incavo sicuro del suo petto. “ah, scusami sono un mostro!” disse serrando i denti, sperando che lei lo smentisse.

Lei sembrò calmarsi asciugandosi le lacrime col dorso

“no Spike, io lo sono!”

e allora le caddero di nuovo quei grandi goccioloni faticosamente trattenuti.

Le circondò la vita con un braccio accarezzandole piano la schiena “no, non lo sei! Io so cos’è un mostro. Ne ho visti tanti. Vivo con me stesso. E tu non lo sei. Tu sei…”

–tu sei…cosa?-

gli sorrise “bugiardo”

e affondò la testa nel suo petto, mentre veniva scossa dai tremiti.

Solo allora si accorse della larga fasciatura su cui si andavano allargando grosse macchie scure, che gli copriva gran parte del petto.

“ma tu sanguini!??!” quasi più incredula che preoccupata.

“alle volte mi capita” si alzò mentre anche lei faceva lo stesso.

Quell’attimo era finito.

Durato molto più di quanto avesse osato prevedere.

“fammi vedere!” –no, forse no-

“perché? Quello che si vede non ti basta?” chiese sfrontato e contento di poter alleggerire il clima oppressivo di pochi secondi prima

“tranquillo Spike, non ho intenzione di sfogare su di te il mio spirito da crocerossina! Solo sincerarmi che non sia grave come sembra”

“è un foro di proiettile tesoro, è grave. Ma di certo non mi ucciderà”

“no, immagino di no!”

“mi serve solo un po’ di riposo”

“allora vado!”

“sarà meglio!” cercò con lo sguardo il suo borsone

“è lì!” glielo indicò sopra una sedia. E in quel momento realizzò un’altra cosa

“Spike…ma come hai fatto…ferito a trascinare me,il borsone”

“hai detto bene trascinare…fortuna che pesi come un uccellino piccola!”

lo guardò davvero riconoscente “grazie per… per tutto, suppongo” e si avviò aprendo discretamente la porta per proteggere il vampiro alle sue spalle dai raggi di sole alto.

Scosse le spalle “non ho fatto niente!” sorrise

“Spike…” si voltò mentre era già fuori “posso…tornare a trovarti…qualche volta se…non disturbo?”

annuì debolmente incapace d’ingoiare l’emozione

-dio vuole tornare!- ma lei era già andata via.


§§§


Era arrivata a casa davvero stravolta.

Le rivelazioni di Spike l’avevano agitata parecchio, nonostante mantenesse un notevole autocontrollo, aveva troppe cose su cui concentrarsi per lasciarsi andare a momenti di isteria. Aveva paura di se stessa. Da sola, non voleva più sentirsi sola, era vulnerabile.

Invece con Spike...


Per qualche settimana le cose erano andate bene.

Buffy e Xander l’avevano raggiunta il giorno dopo il suo arrivo.

“scusa piccola non ce ne siamo dimenticati apposta!”

–come se uno le cose ci si mettesse d’impegno per scordarsele-

ancora peggio lei aveva esibito uno dei suoi smaglianti sorrisi costruiti e l’aveva stretta dicendole che alcuni vampiri le avevano fatto perdere tempo durante la solita ronda.

Ci avrebbe creduto, come sempre, se non avesse adocchiato dei segni rossi poco sotto la scollatura. –Buffy Buffy, quando imparerai che la menzogna non porta da nessuna parte?-

già come se poi lei fosse una santarellina!

Cominciava seriamente a pensare che nel suo vecchio gruppo di amici tutti avevano peccatucci più o meno segreti. Tutti perfino Down.

Solo che si ostinavano a mantenere l’atteggiamento dei paladini integerrimi che non possono sbagliare e sono senza peccato.


§§§


Quella sera aveva voglia di divertirsi.

Si guardò compiaciuta nello specchio.

Il vestitino nero era davvero adatto alla sua voglia di serata particolare.

Corto e scollato.

Assolutamente non da lei.

Questa era una di quelle cose che la vecchia Willow non avrebbe mai fatto.

Ma Nina la sua amica londinese l’aveva implorata di acquistarlo perché le stava benissimo.

Ed era vero, anche se lei non ci si sentiva molto a suo agio.

Passò un ultima mano di mascara e ritoccò il gloss. Si! Era perfetta!

Una delle rare volte in cui entrare al Bronze non la agitava.

Vestita così si sentiva incredibilmente più sicura e sperava proprio che qualcuno la notasse

–ah Willow vergognati! Sembri una gatta in calore! Ma cosa ti prende stasera? Questo non è da te, forse dovrei uscire. Si… dovrei uscire e tornare di filato in camera mia e…magari, pregare! Dio ma che dico? Che sto facendo? Questi sono i risultati dei miei sbalzi di umore…saranno le vitamine? Diodiodio- venne presa da un attacco di panico –cos’è che dicevo: più sicura?- e si appoggiò al bancone.

Quando il barista su cui aveva fantasticato per anni prima…di Tara…le rivolse un’occhiata di apprezzamento, le vennero quasi meno le gambe.

Si avvicinò, riservandole uno dei suoi sorrisi migliori “prendi qualcosa?”

–se lo facessi dopo vomiterei- “meglio di no grazie” si sistemò una ciocca dietro l’orecchio “facciamo così: il primo te lo offro io, va bene?”

“no io davvero… no, grazie”

si girò frettolosamente per dirigersi all’uscita.

Andando a sbattere contro qualcuno. “scusi, scusi… mortificata” uscì all’aria fresca senza nemmeno accorgersi che si trattava di Spike.


Ma chi era quella matta che scappava dal locale? Gli sembrava di conoscerla…ma chi?

Seguì il profilo di lei che si stagliava alla luce del lampione e gli si dipinse un’aria incredula sul volto…

Stava respirando affannosamente in preda a sentimenti contrastanti.

Lei aveva tanto voluto farsi vedere con quel vestito. Quasi ci sperava in un abbordaggio, magari da qualcuno in particolare

–stupida, non pensarle neppure certe cose-

cosa non andava? La serata poteva essere divertente.

Aveva attirato l’attenzione, col vestito stava bene, e lo sapeva.

Solo la sua maledetta insicurezza… il fatto è che se sei invisibile per tanti anni…non sei più abituata che qualcuno ti noti.

Si passò le mani tra i capelli e le incrociò sul petto

–stupida! Ma cosa ti aspetti dalla vita?-

Sentì che qualcuno le toccava delicatamente una spalla.

Si voltò con un’espressione feroce sul volto pronta a infierire su quel barista insistente.

Trovandosi dietro Spike.

Per poco non finì a terra. Questa non se l’aspettava davvero.

Ma che ci faceva lì?

Era convinta che Spike andasse al Bronze solo quando ci andava Buffy, ed era risaputo che quella era notte di caccia per lei.

Cominciò a riflettere su quanto poco sapesse di lui e su quante cose aveva dato per scontate.

“non sei più venuta”

“come?” si era persa un minuto in quegli occhi ametista che sembravano assumere sfumature diverse ogni volta che lo incontrava.

Spike aveva volontariamente ignorato lo sguardo infuriato che con cui l’aveva freddato non appena si era girata. Ovvio che non fosse riservato a lui. Probabilmente qualcuno al locale l’aveva infastidita. –con quel vestito addosso…-

Aveva diligentemente cambiato discorso per distrarla e impedirle di realizzare che stava parlando con lui fuori dal “loro” locale, dove i suoi amici avrebbero potuto vederla.

“avevi detto che saresti passata a trovarmi, qualche volta. E invece mi hai evitato come la peste!”

E no! Il cambio di conversazione che brillantemente aveva progettato non si stava rivelando poi un piano tanto geniale. Aveva involontariamente assunto il tono di un fidanzato deluso.

E per poco non si era strozzato mentre a quel pensiero le sue viscere si rivoltavano.

Detestava fare la figura dell’idiota.

Lei parve sinceramente sorpresa di quel…rimprovero?

–mi voleva vedere?-

“ha-hai ragione, m-ma mi era… sembrato che t-tu non mi volessi tra i p-piedi, ecco!” aveva cercato, davvero, di dirlo senza incepparsi, ma aveva fallito.

Spike strabuzzò gli occhi. Non volerla tra i piedi?

Ma se da quando era stata nel suo letto…

dio come suonava bene quella frase…

non aveva pensato ad altro che a rivederla sbucare da dietro la porta, con il suo sorrisetto ingenuo e il rosso tiziano della chioma a fargli compagnia?

“ti sbagli dolcezza! Non ho mai disdegnato le compagnie interessanti come la tua”

–anche perché fino ad ora ne ho avute poche- si, ma questo era meglio non dirlo.

“oh allora, in questo caso, credo di aver capito male…” aveva assunto l’espressione infantile di un cucciolo sgridato per una marachella.

E Spike si era sentito perfettamente in dovere di approfittarne.

“questo significa che tornerai, giusto? Sarebbe scortese da parte tua ignorarmi una seconda volta, e poi verresti meno alla parola data!” dio perché ci metteva tutte quelle sillabe? Era ridicolo! Probabilmente, nonostante la sua padronanza lessicale, lei ora gli avrebbe rifilato qualche scusa neanche troppo dissimulata e l’avrebbe mandato al diavolo!

Perché diavolo una pecorella dovrebbe entrare spontaneamente nella tana del lupo?

Willow gli sorrise con gli occhi, mentre con la bocca diceva

“in questo caso sei libero di venire a trovarmi quando vuoi! Così se per caso dovessi “dimenticarmi” di onorare la parola data, tu potresti venire a reclamare la mia compagnia!” lo lasciò lì a fissarla con un’espressione da idiota.

Ma si rendeva conto di ciò che aveva fatto? L’aveva invitato in casa sua! Era pazza o cosa?

Lo guardò mentre cercava di spiaccicare parola “immagino che gli inviti a distanza non valgano, vero? Che stupida!” ridacchiò imbarazzata.

Spike riuscì finalmente a chiudere la bocca “no, no valgono! Solo…” solo cosa? mai nessuno era stato così stupido o …gentile da provarci?

“allora verrai, qualche volta?” disse lei sentendosi incredibilmente sfacciata. Gli sorrise di nuovo e rientrò nel locale. Ora che c’era lui non aveva più paura. Sarebbe entrato, no?

Ma come aveva fatto a ribaltare la situazione così? Un minuto lui le faceva la predica sull’ importanza di rispettare la parola data e il minuto dopo lei lo incastrava invitandolo a distanza e costringendolo a fare lui la seconda mossa! Ma stava davvero giocando, o nemmeno se ne accorgeva? –bà!- scosse la testa divertito.

Era entrata al Bronze.

Era curioso di vedere come si sarebbe evoluta la serata. La seguì.

Si avvicinò al bancone e ordinò una birra.

Spike si voltò verso la sala aspettando di vedersela comparire da un momento all’altro davanti.

Si portò il boccale alle labbra sorbendone una lunga sorsata.

Lanciò uno sguardo distratto alla ragazza alla sua sinistra che lo guardava adorante.

Scosse la testa come ad escludere quella possibilità.

Non era abbastanza carina.

E poi, forse, la serata si poteva concludere diversamente ora che aveva visto la strega.

Inutile negare: la sua compagnia non gli dispiaceva affatto.

Era l’unica che dimostrava un po’ di tolleranza verso di lui.

Nonostante i loro disastrosi precedenti…almeno in un paio di occasioni aveva cercato di ucciderla, senza contare quella volta che le aveva proposto l’alternativa della vampirizzazione.

Scosse di nuovo la testa, quante cazzate! E quanto tempo perso.

Si distrasse quando gli arrivò alle orecchie una bella risata argentina, si voltò in quella direzione e vide una giovane ragazza di colore che baciava il collo di quello che doveva essere il suo fidanzato appoggiato alla parete di fondo.

Sembravano felici.

Non era certo tipo da autocommiserarsi, ma gli venne da pensare che probabilmente lui non l’avrebbe avuta mai quella felicità.

”stai pensando a uno spuntino?” si girò dall’altra parte a fissarla

“e se anche fosse?” lei andò di nuovo con lo sguardo alla coppia teneramente avvinghiata

“penso solo che sarebbe un peccato…sembrano così felici”

“già! Triste la vita dei secondi arrivati! E tu rossa, come te la passi?”

Spike rimase un momento incantato dalle piccole labbra disegnate dal leggero lucido, mentre si muovevano a formulare la risposta, memorizzandone istantaneamente ogni movimento, e quasi desiderando di poterle sfiorare con un dito per costatare se erano davvero morbide come sembravano.

Ignorando del tutto, ovviamente, ciò che stava dicendo.

“Spike?...” “ma si, si. Certo!”

“dici davvero?” strabuzzò gli occhi incredula.

-cosa diavolo avrà detto?- “ma si ti dico!” ripetè infastidito

“oooh! E che cosa hai provato?”

“ma niente, è una cosa come un’altra”

“baciare Angel! Una cosa come un’altra dici? Dio a Buffy verrebbe un colpo se lo sapesse!”

Spike sputò il sorso di birra che stava per ingoiare rischiando di diventare il primo vampiro infartuato della storia “ehhhhhh? Ma che accidenti stai dicendo? E quando mai io avrei baciato Angel? Ma quando mai io avrei baciato un uomo??!” ma come erano arrivati a parlare di quello? “guarda che tu l’hai detto!” sbuffò indispettita

“a si? Hai sentito uscire dalla mia bocca una frase del genere? Allora dammi fuoco! Niente sarebbe peggio che baciare quell’idiota che si diverte a stendere le donne ondeggiando un cappotto!”

lo squadrò con occhietti indagatori ”a che stavi pensando?”

“come?”

“vedi, non mi ascolti! Non devi per forza avere voglia di parlare con me, ma almeno non ignorarmi! Che fine ha fatto la buona educazione inglese?”

Spike inclinò la testa di lato valutandola con quel suo modo tra l’incuriosito e lo sfacciato, facendola sentire una bambina idiota.

Si sporse col busto in avanti fin quasi a toccare col naso la tempia rosea di lei

“hai pensato che la tua conversazione potrebbe annoiarmi?”

sussurrò sfiorandole deliberatamente il lobo dell’orecchio con le labbra.

Era incredibile che in quel frastuono lui fosse talmente sintonizzato su di lei da percepire la tensione dei muscoli del volto. Sapeva che stava sorridendo.

Si spostò di nuovo per fissarla

“che hai da ridere?”

“Spike con me non attacca, sono gay ricordi? Non c’è bisogno che sfoderi il tuo fascino per dare prova di saperci fare, non l’ho mai messo in dubbio! E poi la mia conversazione non è noiosa!”

le rispose con un roco sussurro, non riuscendo ad evitarselo “a no?”

lei si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio con mano sicura e gli sorrise “allora sentiamo: cosa avrei detto?” prese a tamburellare con le dita sul bancone assumendo un atteggiamento di seducente sicurezza incredibile per lei.

La guardò sinceramente ammirato “sei forte rossa! L’ho sempre pensato che eri tu quella intelligente!”

lei scese dallo sgabello su cui si era arrampicata, sembrando infastidita da quell’osservazione.

Cosa che non passò inosservata.

“cosa?” lei gli riservò un’occhiata ferocemente avvilita “cosa ho detto? Questo dalle mie parti si chiama complimento!”

gli si mise davanti cercando di intimorirlo con modi aggressivi, senza considerare che un vampiro di un secolo e passa difficilmente si sarebbe sentito intimorito da una come lei

“no, questa dalle mie parti si chiama ovvietà! Già Willow è quella intelligente, apprezzamenti e frivolezze del genere non fanno per lei, che importa se darebbe chissà cosa pur di sentirsele dire da… dalla… persona giusta?”

Spike stava ancora assimilando le ultime parole quando notò il ragazzetto insulso alla sua destra divorarsela con gli occhi sembrando andare in estasi davanti all’apparizione di una dea.

Lei non se n’era neanche accorta.

Era voltata verso il bancone, molto impegnata a fingere di ignorarlo.

“allora ci hai ripensato?” una voce dietro di lui aveva tentato di tirar fuori il massimo della seduzione da un rauco mormorio.

Rivolgendosi a lei.

Willow per poco non si strozzò con la saliva che stava ingurgitando.

Di nuovo il barista viscido. Ma chi glielo aveva fatto fare di rientrare li dentro?

Esasperata roteò gli occhi verso l’alto.

Cosa che fu debitamente ignorata

“permettimi di offrirtelo” le allungò un bicchiere di qualcosa di non troppo ben definito.

E Spike con la sua solita faccia tosta afferrò il bicchiere e se lo scolò tutto d’un fiato

“grazie amico! Avevo proprio voglia di un bourbon”

lo posò sul tavolaccio di legno con un leggero schiocco. Strizzando l’occhio a una Willow completamente allibita prima di prenderla per mano e trascinarla fuori dal locale.

Erano usciti nel vicolo.

Quella sera suonava qualche band decente visto il viavai di ragazzini infiocchettati che li circondava. Innocenti.

E vicoli bui.

Gli venne da ridere.

“immagino che dovrei ringraziarti per avermi liberata di quel tizio!” esplose lei con aria offesa

“solo se ti va dolcezza!”

“bene!” Willow si fermò incrociando le braccia

“cosa?”

“non mi va! Non mi va di ringraziarti per esserti intromesso!”

Ma era lei? Era proprio lei quella ragazza sicura, splendente nel vestito da sera?

La stessa?

Quella insignificante, che tutti dimenticavano, troppo presi da altri pensieri e…altre donne?

-cosa si aspetta che dica?-

“be sai mi dispiace rossa, non credevo fossi in cerca di appuntamenti! E soprattutto non credevo quello fosse il tuo genere!” Spike la fissava con un ghigno ironico

“il mio genere? Perché quale sarebbe il mio genere? O già certo: una donna! Se guardo un uomo sembra che sia uno shock per chiunque, mentre scommetto che se improvvisamente mi mettessi a sbavare dietro alla prima minigonna che vedo sareste tutti contenti! Bè, sai, non è così facile!”

“mai detto che lo fosse! Immagino sia strano avere tutti intorno che ti dicono –vai baby, trovati una brava ragazza!- forse dovresti cominciare a rifletterci su!”

lo scrutò indecisa mentre si tormentava una ciocca di capelli “su cosa?” chiese alla fine

“la vuoi, veramente, questa brava ragazza?”

Willow strabuzzò gli occhioni, mai nessuno aveva messo in dubbio le sue misere certezze sulla sua identità sessuale

–ma che cosa vuole dire?-

si artigliò le mani sui gomiti tremando impercettibilmente

–mio dio ma che COSA vuole dire?-

Spike avvicinatosi le tirò sul braccio un buffetto affettuoso “ah! Lascia stare! E poi non era questo che intendevo!”

“Spike ti aspetti che io riesca a seguirti?”

“il batterista! Quello taciturno, il tuo fidanzato. Com’era il nome…Boz!” “OZ!”

“si va bene, certo, lui!”

Willow sospirò “Spike qual è il punto?”

“il punto è che mi ero fatto un’idea diversa del tuo tipo ideale! Sai un tipo dall’aria perbene, taciturno, niente a che vedere col fascino diciamo…rozzo? Del barista!”

Willow rise “Spike! Possiamo cambiare argomento?” Spike rimase un momento interdetto.

Lei non stava scappando. Di più, lei voleva ancora parlare.

–vuole ancora parlare? Con me?-

Tirò fuori una delle sue espressioni più tipiche, un sorrisetto sarcastico ricco di soottointesi.

Non riuscendo proprio ad impedirselo.

“perché di cosa vuoi parlare dolcezza?” si avvicinò a lei con una camminata fluida che pareva quella di un felino.

E le mise una mano dietro l’orecchio, attirandola leggermente a sé. “sicura che vuoi solo parlare?” Ancora una volta senza poterselo impedire.

–ma cosa cazzo sto facendo?-

Willow allungò delicatamente la manina bianca sopra il collo di lui e socchiuse leggermente le labbra.

“Spike…io credo…che…”

Spike era completamente andato.

Fuori di testa.

Si ritrovò senza sapere come a fare congetture sul sapore della sua pelle fresca che odorava di buono.

E, si! Ora che erano così vicini poteva sentirlo bene.

Poteva sentire lei.

E il modo dolcemente rilassato e intimo con quale posò una mano sopra la sua spalla e salì a friccicare il collo lui lo trovò assolutamente irresistibile.

Assurdo non averci mai pensato –che idiota!-

Lei era così candida che aveva paura di poterla sporcare. La pelle del suo viso richiamava la luce del lampione sopra di loro e, forse, quella della luna.

Ma non era l’unica cosa che richiamava.

Spike si chinò verso di lei con tutto l’intenzione di spiegarle le sue teorie sulla sua presunta omosessualità, o morire nel tentativo.

O, probabilmente, perdersi nell’adorazione di quelle piccole labbra appetitose che sorridevano leggermente, senza paura.

E, una volta tanto nella sua esistenza, Spike non ebbe timore di venire rifiutato.

O di doversi controllare e reprimere i suoi istinti per non suscitare disgusto o turbamento.

Willow si alzò leggermente sulle punte mentre il suo sguardo si perdeva dietro la spalla di lui.

Quasi come a volerla sostenere Spike le passò un braccio dietro la schiena e la attirò a sé più fermamente.

Come diavolo era possibile che quella benedetta ragazza avesse perso la testa in modo così repentino? Spike si abbassò un pochino per permetterle di arrivare alla sua bocca, fremendo nel disperato tentativo di mantenere una parvenza di controllo.

Non era bassa Willow. Non quanto Buffy, almeno. Era dell’altezza giusta.

–giusta per cosa?-

Willow si avvicinò maggiormente al suo viso e Spike sentì dentro di sé un ruggito che assomigliava vagamente alla soddisfazione.

Le loro bocche quasi si sfioravano.

E a lui parve quasi di sentire il sapore fresco del loro contatto quando…


Willow deviò impercettibilmente la posizione della sua testa per avvicinarsi al suo orecchio

“Spike…credo che quel tizio ce l’abbia con noi!”

assurdamente Spike si era mostrato più sorpreso di quanto avrebbe dovuto.

Willow non lo aveva mai visto agitarsi durante uno scontro con le più atroci creature, figuriamoci se era concepibile vederlo innervosirsi per uno stupido vampiro imprudente e un po’ ubriaco!

Willow l’aveva visto sbucare dal buio dietro di loro.

E aveva visto il vampiro fissarla con fin troppa intensità per poterla scambiare per un’occhiata di apprezzamento. Un novellino.

Era probabile che non si fosse nemmeno accorto della presenza di un altro vampiro, di Spike.

E nonostante questo, la faccenda le pareva grave, perché erano in mezzo a una fiumana di ragazzi ignari, ma che non avrebbero esitato a gridare -al mostro- se loro si fossero esposti.

Segnalare a Spike la presenza di quell’altro senza attirare l’attenzione era la cosa più sensata da fare.

Per questo si era sollevata verso di lui, appoggiandosi al torace e scoprendolo incredibilmente solido. E per questo si era distratta qualche secondo, balbettando qualcosa di incomprensibile.

Solo quando aveva visto chiaramente oltre la spalla di Spike che il vampiro li puntava, si era ripesa dalle sue fantasie su quel corpo statuario che la stringeva e sembrava il modello del peccato incarnato.

E aveva raggiunto il suo orecchio per avvertirlo.

Spike ostentò una disinvoltura che in quel momento sicuramente non possedeva e cercò di rimettere insieme i minuscoli frammenti del suo ego tramortito su cui la rossa era passata sopra come uno schiacciasassi.

Lei non voleva, era più giusto dire, non aveva nemmeno pensato di avvicinarsi a lui in senso strettamente fisico

–baciarmi-

voleva solo avvertirlo del pericolo in maniera ingegnosamente discreta. Avrebbe dovuto esserle grata per la sua furbizia, invece che infastidito

–deluso?-

si trasformò automaticamente mostrando i canini.

Ma Willow gli prese il volto con entrambe le mani per nasconderlo agli occhi di una comitiva e di quanti altri sarebbero passati di là.

“che vuoi fare, sei impazzito?”

Spike la fissò adirato, ma non respinse il tocco delle sue dita. Aveva ancora il volto della caccia.

E lei pareva non averci fatto caso.

“hai un’idea migliore di una pubblica scazzottata tesoro?”

Willow ignorò volutamente il fatto che quel *tesoro* era stato pronunciato digrignando i denti. “in…in effetti no! Ma credo sia controproducente attirare la curiosità di questi adolescenti galvanizzati dagli ormoni che poi grideranno, faranno accorrere curiosi e faranno domande!”

gli indicò con lo sguardo un gruppetto di cinque sagome che si avvicinavano.

“ci metti troppe sillabe!”

lo guardò esasperata “ma ti pare il momento?”

“certo! Bastava dire: Spike c’è gente, non fare cazzate!” sottolineò il concetto con una smorfia. Sembrava essersi calmato un poco.

“coraggio che proponi?” parlava con lei, ma fissava l’altro vampiro, che era stupido, ma non al punto di non riconoscere un suo simile.

“bè, non so, forse potremmo aspettare che vada in qualche posto più appartato e…”

“va bene rossa, ho capito! Lascia fare a me!” Spike lanciò uno sguardo d’intesa al vampiro che ormai credeva di aver capito il gioco e lo fissava.

Immediatamente dopo, con uno scatto degno dei tempi d’oro del Sanguinario, sfoderò i denti acuminati e li compresse sulla linea perfetta della giugulare di lei.

Senza nessun avvertimento.

Facendola irrigidire.

–ok aspetta a gridare, forse ha un piano… forse è tutto calcolato! Forse è pazzo! No! Dagli ancora qualche secondo, fiducia!-

si rilassò immediatamente contro il suo petto.

E semplicemente attese.

Proprio la reazione che sperava. Aveva capito.

Sveglia la ragazza, lo aveva sempre saputo.

L’altro che osservava impaziente si avvicinò. “ti faccio compagnia amico?”

Spike si sollevò di qualche centimetro dal collo di lei, ricambiando l’occhiata con l’aria di chi sta valutando una proposta “perché no? In fondo stasera lei…” la indicò con un gesto del capo “…sarebbe la quarta! Non sono poi così affamato!”

“perfetto!” l’ingordo, già la pregustava.

Si avvicinò a Spike con tutto l’intenzione di strappargli la preda dalle mani.

Preda che nonostante la tensione aveva una gran voglia di ridere. Solo che quando sentì su di sé l’altra mano gelata, che non aveva niente a che vedere con quella rassicurante di Spike, cominciò a spaventarsi sul serio.

–calma. Finirà tutto tra poco. Sta calma-

Spike spostò bruscamente la mano dalla spalla di Willow “ehi amico! So che bisogna saper condividere, ma lei è mia. Te ne lascerò un po’!”

l’altro gli rispose con uno sguardo contrito “scusa amico, sono nuovo a queste cose!”

“ti assicuro che sapere o ignorare queste cose non farà alcuna differenza per la tua esistenza!” Willow non riuscì proprio a trattenersi.

Fortunatamente quell’altro non fece neanche caso a ciò che aveva detto

“oh, ma allora questo bel bocconcino parla! Credevo ti avesse mangiato la lingua!”

sorrise disgustosamente lercio “può darsi lo faremo…dopo.”

e quel dopo presupponeva un *prima* che lei non voleva neppure prendere in considerazione.

Si era avvicinato troppo.

E Spike per allontanarla da lui la strattonò bruscamente

“ti ho detto che lei è mia”

“scusa, siete possessivi voi californiani, eh?”

Spike la trascinò per un braccio rudemente fino al retro poco illuminato del locale, aspettandosi di vedersi comparire dietro da un momento all’altro il novellino e di farlo fuori in pace.

Ma questo sembrava improvvisamente voler cominciare a rispettare la sua privacy.

–babbeo!-

mentre l’altro guardava, Spike sbatté Willow violentemente contro il muro e cercò allo stesso tempo di attutire il colpo col suo corpo.

Lei si ritrovò schiacciata tra il muro del vicolo fatiscente e il suo petto.

Sentendosi assurdamente eccitata dall’idea.

–brava piccola Willow! Ecco che succede a sprecare la giovinezza sui libri! Alla prima occasione divento una ninfomane!-

Spike abbassò la testa e cominciò a tracciare, partendo dalla tempia fino al collo, una scia di piccoli baci molto…coreografica.

Tutto un secolo passato ad apprendere l’arte dell’autocontrollo quella sera se n’ era andato beatamente a farsi benedire!

–oh, andiamo! Un po’ di scena non fa mai male! Certo, bè, non era necessaria, ma…perché privarsi di uno dei piaceri della vita in questa valle di lacrime?-

sogghignò fra sé e sé

–che bastardo che sono!-

Willow inarcò la schiena involontariamente e questo rischiò di mandare Spike fuori di testa, quando avvertì un gemito di piacere a stento trattenuto fare capolino tra le sue labbra.

Allungò le braccia ai lati della sua testa e la tenne ferma con il bacino.

“allora dolcezza cosa pensi che succederà adesso?”

tanto valeva rendere la recita più convincente.

Willow afferrò al volo e, in barba alle sue scarse capacità recitative, fece scivolare due enormi lacrimoni ai lati dei suoi occhi “n-non…ucc-idermi…ti pr-rego!”

“oh mi preghi? Ripetilo!”

le lasciò un bacio umido sulla pelle sotto il mento.

E Willow strabuzzò gli occhioni, assolutamente impreparata all’eventualità che il gioco si trasformasse in qualcosa di più serio.

“S-Spike…”

le si spinse ancora di più addosso

“shhhhhh. Ripetilo!”

“ti prego…”

Willow si aggrappò disperatamente alle sue spalle e nascose il viso in fiamme nei suoi confortanti addominali.

E lo sentì che le accarezzava la testa con fare quasi…paterno.

In un atteggiamento del tutto opposto a quello di qualche attimo prima.

Il vampiro rimasto in disparte e visibilmente eccitato finalmente si avvicinò un poco

–forza bello, ancora tre metri!-

Willow tra le sue braccia tremava.

Spike si staccò di poco da lei, tenendola stretta ora in modo protettivo e del tutto innocente.

Anche lei si accorse del repentino cambio di atteggiamento e alzò gli occhi su di lui, un po’ incredula.

“vedo che se n’è andato.”

“di che stai parlando amico?”

–ancora un metro e mezzo-

“del tuo sire che è sparito dietro quella colonna con una biondina!”

l’altro gli faceva un occhiolino “non ti sfugge niente! Non aveva trovato niente di suo gusto…sai ti sei accaparrato il piatto più ambito!” lanciò un’occhiata al fagottino tremante “cosa, amico: non ce la fai? Fare aspettare così una signora!” snudò viscidamente i denti “ti do una mano io. Permetti?” “fa pure!” gli fece il gesto di avvicinarsi, ma continuò a tenere lei sotto di sé.

Quell’altro, attento solo alla sua cena non fece caso alle sue mani che cercavano nella fodera dello spolverino l’immancabile paletto.

Prima che potesse capire come era tutto finito, e Willow si ritrovò a tossire ceneri senza più il corpo di Spike a farle da scudo.

Lo avvertì lontano da sé “torno subito piccola!”

sentì un grido, dei passi frettolosi.

Lo vide uscire da dietro una colonna.

Tornare verso di lei.


“stai bene?”

Spike inclinò la testa di lato e scandagliò il suo corpo alla ricerca dei segnali che gli avrebbero risposto indipendentemente dalle sue parole.

Era scompostamente deliziosa, con una spalla scoperta dalla giacchetta di filo scesa fino all’avambraccio.

In effetti ricordava bene di aver tentato di sfilargliela solo pochi minuti prima.

Volendo essere brutalmente onesti si era fatto prendere la mano.

Ora che rivedeva la cosa lucidamente gli sembrava assurdo.

Certo aveva compiuto una buona azione

–i miei comodi-

ma sicuramente si sarebbe potuto limitare.

Invece aveva riassunto il suo atteggiamento.

Quello del vampiro.

Che usa gli umani.

Se ne nutre.

E non li protegge.

Gli balenò chiaramente negli occhi l’intuizione di ciò che aveva fatto.

Si era nascosto dietro una buona causa per sentirsi di nuovo cattivo.

Senza sensi di colpa.

Aveva usato Willow per rivivere l’ebbrezza di essere un demone senza coscienza.

E gli era pericolosamente piaciuto.


Willow si sentiva il volto in fiamme.

Probabilmente quella notte non avrebbe assolutamente dormito.

Lo guardò senza riuscire a spiaccicare parola.

Non voleva piangere.

Certo, ora che era una donna sapeva gestire molto meglio le sue emozioni.

Non c’era assolutamente niente di male in un bel pianto, che l’avrebbe sfiancata decisamente fino al mattino dopo…non era imbarazzante, o…stupido!

Era una donna del ventunesimo secolo, e se voleva piangere, piangeva!

E un uomo…o vampiro…non avrebbe mai condizionato la sua vita!

Ma allora perché si sentiva impazzire dall’imbarazzo solo al pensiero folle di scivolare piano tra le sue braccia e rilasciare finalmente lacrime e tensione?

Andiamo, era Spike!

Spike, l’orribile Spike! Spike il mostro, che cercava di vampirizzarla, o ucciderla.

Spike innamorato di Buffy.

Spike che cercava di violentare Buffy.

Spike che andava a letto con Anya.

E con Armony.

E, probabilmente con tutto il resto della popolazione femminile di Sunnydale!

Perché diavolo quel pensiero la infastidiva tanto?

Perché diavolo non riusciva a guardarlo?


“come s-sto, dic-dici?”


Era ritornata lei.

Assolutamente deliziosa nel modo di tormentarsi le maniche del giacchino di filo.

La ragazza sicura di sé faceva capolino ogni tanto…

-è cresciuta!-

Spike cercò di incontrare i suoi occhi sfuggenti che ostinatamente si nascondevano nel buio dietro di lui.

“d’accordo rossa, così non va! Vuoi…non so…vieni dentro ti offro da bere…una camomilla credo…”

allungò lentamente una mano verso di lei per darle tutto il tempo di rifiutare quel contatto.

Non la voleva spaventare.

Si sentiva, non troppo assurdamente, molto in colpa verso di lei.

Willow non gli permise neanche di sfiorarla “no”

La guardò piccato “no, cosa?”

Lei esitò a rispondere

-domande inutili vecchio mio! No, non toccarmi…no, non mi serve il tuo aiuto…no, non lascerò mai più avvicinarti a me…dimentico niente?-

“no, non voglio entrare nel locale!”

-ecco: giusto, appunto! Graz…- sorrise senza riflettere

“niente, lascia stare!” davanti alla sua espressione di stupore

“Spike …voglio andare a casa…”

“allora andiamo!”

“andiamo? Plurale? Vuoi venire con me?”

“ovviamente no, se la cosa ti infastidisce” rispose subito sulla difensiva

lei scosse la testa “mi piacer…cioè, voglio d-dire sarei f-fel…”

prese un bel respiro “Spike, si grazie. Accompagnami”


La piccola figuretta splendente di Buffy Summers si materializzò magicamente dal buio dietro di lei

“accompagnarti…dove?” chiese con occhietti indagatori senza nemmeno salutare

Spike sobbalzò come se fosse stato sorpreso dalla cacciatrice in una situazione a metà fra un rituale di accoppiamento e una bevuta dal collo candido di una vergine

“Buffy! Cacciatrice: serata fiacca?”

Lei lo ignorò e si rivolse a Willow “è successo qualcosa?”

il suo tono preoccupato era fastidiosamente finto “qualcosa che dovrei sapere?”

Buffy memorizzò automaticamente il tremito delle sue mani.

E soprattutto il vestito da sartoria.

Stupendo.

-ma come si è conciata?-

“Willow…ma c’era una festa a cui non sono stata invitata?”

Willow si irrigidì immediatamente.

Pentendosi all’istante di essere uscita di casa quella sera…

-ma che mi è saltato in mente?-

Buffy andò un paio di volte con lo sguardo da lei a Spike e rimase interdetta

-cosa mi stanno nascondendo? Esigo una risposta!-

“Willow..” cominciò con fare tremendamente serio e la vide tremare un pochino.

Forse aveva esagerato. Meglio cambiare tattica.

“Willow…” riprese dolcemente “Will tesoro stai bene? Vuoi raccontarmi qualcosa?”

-forza su! Sputa questo rospo!-

Spike rispose per lei “non preoccuparti Buffy, non è successo niente! Le rossa è un po’ strana stasera…pensavo che sarebbe meglio riaccompagnarla a casa…”

Guardò la mano perlacea delicatamente appoggiata al suo girovita.

Come se fosse un’appendice squamata e rivoltante che le si era attaccata addosso.

Si allontanò a stento reprimendo un singulto. “nessuno ti ha chiesto di parlare”

“si, ma è c-come dice l-lui! Non mi sento bene! Meglio che vada!”

non sapeva perché, ma l’idea di raccontare a Buffy dello spettacolino di poco prima li infastidiva entrambi

–certo! Sarà una di quelle cose mai successe che fingerò di aver sognato…-

Spike allungò una mano verso di lei “aspettami strega, si era detto che ti accompagnavo io!”

E si pentì quasi per l’impulsività delle sue parole.

Soprattutto quando si accorse che Buffy accanto a lui quasi tremava

–è davvero incazzata!-

Willow sembrò ingrandire le iridi ambrate enormemente per lo stupore.

E represse un moto d’ironia triste che le saliva alla bocca

–vuole farla ingelosire…ma Buffy non si ingelosirebbe mai per me!-

Un moto di gelosia trasformò i lineamenti di Buffy in quelli di una statua di creta

“non credo sia opportuno che tu vada in giro con lei!”

“che vuoi dire Buff?”

Willow con la sua innata discrezione scivolò piano nell’ombra del vicolo.

L’ultima cosa che voleva era assistere a un litigio.

L’unica cosa che voleva era il suo letto per seppellircisi dentro fino a quando non si fosse sentita sufficientemente in grado di riguardarlo negli occhi.

Spike fissò la donna “che.cosa.vuoi.dire.cacciatrice?” ripetè. Stava cominciando a innervosirsi.

“quello che voglio dire. Spike. è che non ti lascerò gironzolare con la mia migliore amica per questi vicoli bui. Tu e quelli come te non siete famosi per il controllo dei vostri istinti!”

- Per il letto vado bene, però!-

“ci sono momenti in cui i miei…istinti…non ti dispiacciono!”

“credo di avertelo già detto: sei un maiale Spike!”

“e tu sai bene cosa sei, senza bisogno che te lo dica io!”

Buffy lo colpì alla mandibola sentendo uno schiocco.

Non si preoccupò minimamente di averlo steso.

Fece scintillare i bellissimi capelli lunghi sotto la luce artificiale del lampione, scuotendoli come una cascata luminosa.

“Will andiamo, ti accompagno io” cercò di dissimulare l’irritazione

“Will…”

Se n’era già andata.

Buffy scosse le spalle e s’incamminò.


Spike rimase ancora un momento sdraiato sulla schiena.

Si massaggiò la mandibola indolenzita e si rimise in piedi con un unico movimento fluido e scattante.

Diventava ogni giorno più difficile accontentarla.

E nasconderle la verità.

Non era più Buffy. La più forte.


§§§


Era arrivata da pochi minuti. Lì, nel suo vialetto. E non era riuscita a muovere un solo muscolo.

Troppa fatica la sola idea di cercare la chiave nella striminzita borsetta e infilarla nella serratura.

Molto meglio sedersi sull’ultimo gradino e aspettare.

Aspettare cosa, poi, non era importante.

Le forze che tornavano.

L’alba.

Il ragazzino dei giornali che passava alle sei.

Bè, no. Ancora troppo presto per quello!

Dovevano essere circa le tre meno qualche minuto.

Aspettare.

Una cosa qualunque.

Chiuse gli occhi.


“per guardare le stelle li dovresti tenere aperti! Non è un po’ tardi per concedersi soste ristoratrici sotto il portico?”

Willow aprì gli occhi con una frazione di ritardo, trovandosi Spike davvero vicino.

“ehy! C-ciao!”

“ciao a te! Allora che ci fai qui fuori?”

“ero stanca per…fare qualunque cosa, credo.”

“hai passato una brutta serata, rossa! Ma sei stata molto..” –molto cosa? un diversivo eccitante?-

“hai ragione, è stata una brutta serata! E tu che ci fai qui? V-voglio dire…passi per caso, oppure…”

“non posso per caso. Non mi è piaciuto che ci sia andata di mezzo tu. Tra me e Buff intendo!”

“fai sul serio?”

Spike annuì “vedo che è tutto a posto, sarà meglio che vai!”

Willow si alzò passandosi una mano sul retro della gonna per togliere la polvere dei gradini.

Si voltò verso di lui prima di afferrare la chiave “buonanotte”

Le rispose al saluto con un cenno del capo.

E rimase a guardarla entrare e salire le scale. Si voltò solo quando vide accendersi la luce della sua stanza. E spegnersi.

Senza sapere che lei dietro la finestra buia aveva lo sguardo fisso sul suo spolverino che ondeggiava piano al vento della sera.


§§§


Faceva fresco quella sera. Il sole era tramontato da poco.

Era seduta sul terreno umido sotto un grande olmo rugoso.

Uno dei posti che preferiva quando era piccola.

Ci andava a riflettere, a giocare con Xander.

Alle volte a piangere.

Era il posto adatto. Intimo e silenzioso.

Erano passate tre settimane. Nemmeno sapeva perché si era presa il disturbo di contarle.

In fondo che cambiava per lei se vedeva o meno Spike?

Un soffio di vento le portò davanti agli occhi un ciuffetto ribelle di capelli.

Li aveva legati quella sera. Diventavano sempre più lunghi e, stranamente, avevano preso una piega ondulata e un colore più intenso di quello che ricordava di avere.

Forse perché si vedeva più carina.

Si sentiva meglio dei primi giorni.

Riprendere la routine era stato massacrante. Non poteva più fare quello a cui era abituata.

Così aveva smesso.

Non era più andata al Bronze. O al Magic Box.

Non era più entrata in una biblioteca. Ne aveva abbastanza di mostri e doveri.

Di ricerche e misticismo.

Non c’era più gusto.

In quel campo non poteva progredire. Le era preclusa quella strada, ormai.

Doveva trovare il modo di realizzarsi in altri campi.

Voleva finire gli studi.

Soprattutto voleva viaggiare.

Sunnydale le stava così stretta!

Aveva pensato che sarebbe diventata una scrittrice, o una fotografa.

L’arte l’aveva sempre amata. Ma non voleva che si focalizzasse l’attenzione su di lei.

Era un tipo che si imbarazzava facilmente.

Invece se avesse fatto l’artista l’attenzione l’avrebbero avuta solo le sue opere.

Triste ma vero, vedeva sempre meno Buffy. E Xander.

Non riusciva più a trovare con loro un punto di contatto.

Spesso ripensava ai suoi primi anni di liceo. Quando c’erano tutti gli altri.

Oz, Cordelia, Angel, Westly. Perfino Faith.

Le mancavano quegli anni. Tutto andava meglio.

Scosse la testa.

Non sarebbero tornati.


§§§


Spike era andato da lei.

Avevano preso l’abitudine di rivedersi.

E quella sera, così come le prossime quattro, Down era dal padre.

Questo significava che lei avrebbe passato la notte nella sua cripta. Tutta la notte. Forse.

Se era abbastanza bravo.

Le voleva dimostrare che non poteva fare a meno di lui.

Doveva essere bravo.

Bussò alla porta. Una due volte. Si concentrò. La casa era vuota.

Poteva sentirlo.


§§§


Buffy quella sera aveva voglia di ballare.

Aveva indossato quel vestito. Attillato e decisamente alla moda. Un po’ volgare, forse.

Che calamitava su di lei tutti gli sguardi.

Ma le interessava poco.

Quello che le importava era che lui sarebbe impazzito. Perché gli altri l’avrebbero guardata con evidente lussuria e desiderio davanti ai suoi occhi.

E Spike non poteva sopportarlo, che lei si abbassasse a essere di tutti piuttosto che sua.

Si sistemò meglio la scollatura quadrata e si sedette su una delle poltroncine che le avrebbero permesso di tenere sotto controllo l’ingresso in maniera disinvolta.

Non avrebbe tardato.


Spike entrò nel locale solo dopo aver provato a cercarla in due dei cimiteri che frequentava più assiduamente. Non si aspettava di vederla. Ci era andato per scrupolo.

Era quasi riuscito a convincersi che lei fosse andata con Down.

Poi si accorse che era là. Prima ancora di vederla. Gli bastava l’odore.

Come sempre.

Avanzò con passo deciso fino al tavolino. Ignorando la fitta di gelosia che gli scaldava il cervello provocata dalla consapevolezza che non era sola.

Sfoderò il migliore dei suoi sorrisi “scusa tesoro, devo essere in ritardo!”

I due amici che sedevano al tavolo con lei lo fissarono stupiti

“Buff non credevo che stasera aspettassi compagnia!” esclamò un biondino abbronzato e muscoloso

Buffy gli regalò un sorriso radioso. Quel Dave le piaceva “ma figurati, è solo Spike!”

“Spike? Che nome è? Diminutivo, amico?” chiese quell’altro dall’aria poco sveglia che Buff nemmeno guardava

Spike gli dedicò un’occhiata prima di classificarlo come idiota “no, non lo è!” esclamò a denti stretti “forte! Sembra il nome di un cane! I tuoi dovevano avere molta fantasia!”

Continuò imperterrito senza neppure fare caso all’irritazione nella sua voce

“non è il suo nome. I suoi genitori non centrano!” esclamò Buffy seccata

“ma lui ha detto…”

“si chiama William!” riprese lei senza contare che a Spike avrebbe potuto dare fastidio.

“oh, William, Will” si misero a gracchiare

Spike riservò loro un’occhiata di fuoco “statemi a sentire ragazzini…”

“Spike fammi ballare!” Buffy si era alzata e lo stava spingendo verso la pista ignorando i due rimasti imbambolati al tavolo.

Buffy si divertiva molto.

Amava ballare. Ma più di ogni altra cosa amava l’adorazione che Spike sentiva per lei.

Nel suo rapporto con Spike vigeva la regola –meglio di niente-

Aveva da tempo rinunciato a un fidanzato dai canoni tradizionali, ma certo non poteva rinunciare al sesso, o a un modo per riempire il vuoto che aveva dentro e che piano piano la fagocitava.

E Spike per entrambe le cose andava benissimo.

Non che avesse un’esperienza illimitata, ma Spike era davvero il massimo, a letto.

Certo mancava in molti altri campi, ma in fondo loro due non si vedevano molto spesso fuori dalle lenzuola.

Buffy cominciò la sua danza molto lentamente. Era ovvio che voleva Spike come complemento d’arredo, e non come compagno.

Quelle erano mosse alquanto collaudate. Ricordava che una volta, quando era più giovane e meno esperta aveva provato qualcosa di molto simile anche con Angel.

Come si divertiva a sentirlo sempre più a disagio.

Per i commenti sussurrati o meno che perfino lei poteva sentire.

Figurarsi lui cosa avrebbe percepito, con l’olfatto e il suo udito così fini.

Come si divertiva a sentirlo sempre più eccitato.

E umiliato.

Non voleva fermarla, non poteva.

Era incredibile la sua capacità di sopportazione.

Lo sentì contrarre la mascella.

Ora il colpo finale.

Prese a fissare Dave. Mentre ballava.

Ballava con Spike, ma ballava per Dave.

Una specie di offerta che gli faceva di se stessa.

Non che le interessasse poi tanto lo sbarbatello. Ma le interessava sapere fino a dove poteva spingersi. Scoprire ogni giorno che poteva andare sempre un po’ più lontano era una tale sorpresa!

E una tale gioia.

Sapere che lui era lì e sopportava stoicamente. E non giudicava.

Ed era sempre pronto ai suoi voleri.

E che addirittura l’amava.

Era una rara forma di soddisfazione per la sua povera vita.

In fondo lei non faceva nulla di male. Lei si divertiva.

Non conosceva molti modi per divertirsi.


Quella stessa sera Willow avanzò nello stesso locale fumoso.

Lo sapeva, si era ripetuta cento volte che non aveva più voglia di entrare al Bronze, ma quello era l’unico locale decente, a parte il bar dei tagliagole di Willy la spia.

Aveva insistito Xander, molto più del solito.

Così erano rimasti d’accordo di vedersi dentro.

Sospettava che le avesse fatto quell’invito a causa di una litigata con Anya, non le sembrava molto onesto. Ma voleva vedere se era possibile rimettere insieme i cocci.

Avanzò piano fino al bancone e chiese al barista una coca cola, sperando che la ignorasse.

Si stirò con le mani la gonna nera di jeans che le arrivava al ginocchio. Si sentiva comoda, ed era tra le sue cose preferite, stava deliziosamente insieme alla canottiera rosa dallo scollo rotondo.

Forse Xander era arrivato…in cerca dell’amico guardò verso la pista da ballo.

E le morì il fiato in gola.

Spike…e Buffy.

Buffy che…ballava, se si poteva dire così, come una professionista di lap dance. Attorno a lui.

Mentre guardava un altro a cui tra poco sarebbero scoppiate le coronarie.

-non può essere? Ma lei…non si rende conto. Sarà ubriaca, si lui l’avrà fatta ubriacare-

guardò Spike che aveva un’espressione indecifrabile e i muscoli contratti.

No, la situazione non gli piaceva, era ovvio.

-è impazzita!-

il ragazzo che le sedeva affianco guardava nella sua stessa direzione.

Si chinò verso l’orecchio dell’amico “una di quelle…” indicò Buffy “sembrano girare con il cartello <ti prego scopami!> e che deve fare un povero ragazzo se non accontentarle?”

l’altro gli fece l’occhiolino “che dici se andiamo a chiedere al biondino se gli servirà una mano più tardi?credo che…”

Willow si allontanò disgustata, non voleva nemmeno immaginare la fine della frase.

-Buffy…-

non era suo modo di fare intervenire in cose come questa, ma che poteva fare? Ignorare che la sua migliore amica del liceo stesse dando spettacolo di sé come una …

mio dio non riusciva nemmeno a pensarlo di Buffy.

Sicuramente c’era una spiegazione razionale, e poi in fondo rifletti Will, non sta facendo nulla di male. Sta ballando…si bè forse in modo discutibile, ma con il suo ragazzo!

Perché Spike non interviene?

Li guardò mentre Buffy accelerava il ritmo affondando negli occhi sbiaditi del giovane che sembrava essere uscito da una parodia di Baywatch. Con tanto di slippino che fuoriusciva dai pantaloni.

Mentre Spike serrava le mani e digrignava i denti.

Indeciso se strappare le palle al biondino e farle ingoiare al secondo idiota che la fissava con la bocca aperta, o schiaffeggiarla e costringerla a portargli rispetto.

Quando finì la musica Buffy ansando leggermente si voltò verso i tavoli e si apprestò con una camminata sicura a ritornare alla sua poltrona.

Ma la mano di Spike velocemente si legò attorno al suo gomito

“non mi piace quello che fai Summers!”

“nel senso che ti dispiace che mi sia fermata? Vuoi che continui? La musica è finita!”

Buffy gli sorrise ironicamente mentre gli portava le mani sulle spalle e gli accarezzava il collo con movimenti circolari.

Si leccò le labbra a sottolineare la sua facile vittoria quando lo sentì fremere sotto di lei involontariamente.

Ricordava bene cosa gli piacesse. E come usarlo su di lui.

“andiamo via Buff!”

lei lo fissò freddamente “no”


Willow avrebbe disperatamente voluto fare la persona discreta e allontanarsi.

Era così imbarazzante!

Ma non riusciva a far muovere le gambe. Da che aveva rivisto Spike il suo corpo si rifiutava di eseguire i suoi ordini, si rifiutava di allontanarsi dalla sua figura magnetica.


Buffy si divincolò dalla sua presa “io faccio quello che voglio!”

Spike cercò di controllare la rabbia “lo vedo. Ti sto solo chiedendo di venire via, con me!”

–e rispettarmi-

“non mi va” prese a camminare di nuovo verso i tavoli

“cosa ti va? Eh Buff? Avanzare fino al tavolino, sederti e cosa?

portarti a letto Brad Pitt della periferia?” le riprese il braccio

Buffy lo strattonò “senti Spike qualche volta mi fa piacere passare il mio tempo con te…ma ora voglio conoscere meglio quei due ragazzi laggiù. Due amici”

Spike strinse la mascella. Ci avrebbe scommesso che non ricordava nemmeno il nome del secondo ragazzo. Amici? Non aveva rispetto, lo voleva provocare.

Non gliene fregava un cazzo di lui.

“lo fai per me?” le chiese raggiungendola un’altra volta “non ne hai bisogno Buff, sai bene che io sarei disposto a tutto per te. Non devi ricorrere a questi giochetti con me e degradarti”

“degradarmi…degradarmi?”

lo fissò inviperita come se stesse guardando un insetto spiaccicato sulla carrozzeria della sua auto nuova fiammante. Senza nemmeno accorgersi della fortuna che aveva.

“l’unico modo in cui mi sono degradata è stato stare con te! Ma non commetterò più quell’errore!”

Spike aumentò la presa sulla sua spalla. Voleva farle male.

Ferirla per farle assaporare lo stesso dolore.

E farla ritornare da lui.

“mi stai facendo male”

“anche tu” improvvisamente la lasciò andare, guardandola quasi con deferenza

“è finita Buffy. Sono stanco.”

Lo guardò sconvolta da quella sua iniziativa.

Non diceva sul serio. Non poteva fare sul serio.

“ma che stai dicendo?” lo raggiunse lei stavolta, parandoglisi davanti in tutto il suo splendore

“è finita.” Ripetè semplicemente, tenendo gli occhi bassi

“no, lo decido io quando finisce. E poi non può finire!”

Spike sentì la convinzione nella sua voce e rialzò gli occhi pieno di speranza “perché?”

-perché ti amo-

“perché non è mai iniziata!” scosse i lunghi capelli biondi sentendosi quasi…meglio e guardandolo; aspettandosi di vederlo colpirla, alzare le mani su di lei e prendersi la sua misera rivincita.

Come un’animale.

Riconfermando così che aveva fatto la scelta più giusta.

Spike abbassò di nuovo la testa “hai ragione Buffy, hai ragione”

Si voltò e uscì nell’aria fredda della notte.


§§§


Le si era spezzato il cuore.

Ed era rimasta lì, a fissare il punto esatto in cui Buffy aveva superato il secondo di sbalordimento ed era tornata al tavolo. Dai suoi nuovi “amici”. Come se Spike non fosse mai nemmeno entrato in quello stupido locale, quella stupida sera!

Cielo, come poteva trattarlo con una simile indifferenza?

Era cieca…o stupida.

Eppure lei aveva sentito ogni parola e quando aveva incrociato i suoi occhi, aveva avuto solo il tempo di abbassarli, timorosa.

Di ferirlo, di essere invadente solo con lo sguardo.

Aveva assistito a tutto la scena, ed era stato così umiliante!

Nessuno dovrebbe lasciarsi o essere rifiutato in un locale pieno di persone rumorose e circondato dall’indifferenza.

-inutile restare qui!-

si affrettò a recuperare il suo leggero soprabito dal guardarobiere. Varcò la soglia dell’ingresso senza troppi rimorsi per Xander. Decisa a tornare a casa e infilarsi nel suo pigiama con le roselline bianche. Dormire.

Doveva essere una persona davvero pessima se l’unica cosa che voleva fare adesso era afferrare per il collo la sua vecchia amica e costringerla a vedere Spike!

Vederlo veramente, come una creatura degna di rispetto.

-Non come un passatempo dallo sguardo proibito e il corpo che cela sotto la purezza del marmo ogni perdizione!-

ma da dove veniva fuori quella roba?

Da quando Spike la faceva diventare così riflessiva e pateticamente accorata?

Probabilmente da quando aveva visto molta solitudine sotto lo smalto nero.

Oppure da quando aveva imparato a guardarlo senza pregiudizi, nonostante gli errori commessi, e la paura di dare fiducia alla persona sbagliata, o al vampiro sbagliato in quel caso!

Certo, ora che risaliva indietro con la mente non ricordava quando aveva cominciato a guardarlo con occhi diversi. Era stato quando le aveva salvato la vita e sanguinante e ferito l’aveva trascinata al sicuro?

–al sicuro? Sei una scema se ti senti al sicuro in mezzo a un cimitero! Però c’era Spike con me…-

oppure quando l’aveva stretta e sé in un vicolo e aveva finto di chiederle, no pretendere, il suo sangue?

–quando mi ha abbracciato con un fare così paterno! Ipocrita! Quando hai sentito i suoi pettorali sul tuo seno e hai disperatamente voluto che non li togliesse mai da lì.-

Dio quando era stato?

Quando aveva scherzato sulla sua identità sessuale? O quando era andata da lei per controllare che stesse bene?

O forse quando l’aveva cercata per quell’incantesimo e aveva minacciato di farla sua per sempre e lei era troppo spaventata dall’ignoto per poter accogliere con gioia quella fortuna?

Quando quello stesso giorno aveva riposato con la testa sulla sua spalla per qualche secondo prima di abbandonarsi a confidenze che una situazione diversa e qualche anno in più avrebbero trasformato in comiche e piacevolmente eccitanti?

Probabilmente si, già da allora se n’era accorta che lui era diverso.

Aveva sempre pensato a Spike come un guerriero metropolitano, un nemico pericoloso e intrigante.

All’inizio l’aveva letteralmente terrorizzata…ricordava ancora quella conversazione nella vecchia fabbrica…

-<che odore…il tuo collo…sono settimane che non ho una donna…> la fissò con fare improvvisamente insolente <certo se escludiamo quella commessa…>

era praticamente saltata dalla sedia <hey ti farò l’incantesimo, ma…prometti che non ci saranno più bottiglie in faccia e…nessun tipo di “avere” con me!>-

la sua risposta le rombava ancora nelle orecchie, nonostante gli anni e le scelte diverse che avevano fatto. L’aveva dimenticato per molto tempo, ma in quelle ultime settimane ci aveva ripensato spesso…

…a come le si era avvicinato e le aveva risposto semplicemente <va bene> vicino al suo orecchio in un soffio che a stento aveva udito per colpa dell’agitazione.

Rendendosi conto solo lucidamente dopo che non aveva mai sentito un’intonazione più sensuale sulla bocca di un assassino!

Assassino che poi si era trasformato in alleato obbligato e compagno di squadra.

Almeno fino a che Buffy non era risorta –tu l’hai fatta risorgere, tu!- e ne era diventato l’amante segreto iniziando la discesa verso una nuova solitudine e il disprezzo.

Si era chiamato fuori dal gruppo, perché lei non avrebbe sopportato l’imbarazzo –l’umiliazione?-

di averlo sempre intorno. Si vergognava.

E lui ancora una volta aveva capito e si era tolto di mezzo rinunciando al pezzetto di normalità e approvazione che si era guadagnato. Sempre per lei.

-se qualcuno facesse per me un decimo di quello che ha fatto lui…-

Le strade buie le facevano uno strano effetto.

Un misto di eccitazione e paura che le ricordava Spike.

Ma in effetti se ci pensava bene tutto le ricordava Spike, nell’ultimo periodo!

Il vialetto scarsamente illuminato della sua casetta le mise una strana tristezza addosso.

-vorrei già dormire!-

infilò la chiave nella toppa, ma non fece caso al fatto che sembrava accostata.

Semplicemente, con gesti meccanici la richiuse.

Si voltò e gettò distrattamente il cappottino leggero sulla sedia che aveva nell’ingresso dove lasciò anche la borsetta.

Insolitamente disordinata quella sera si sfilò le scarpe lasciandole una ai piedi della scala che portava al piano di sopra e l’altra sui primi gradini.

Troppo stanca. Davvero troppo stanca.

Entrò nella sua stanza senza accendere la luce e si avvicinò alla finestra per guardare la strada. Si sentiva ansiosa inspiegabilmente. Era come se già lo sapesse…

Distrattamente si passò una mano tra i capelli che il venticello aveva aggrovigliato.

Si, si sarebbe fatta un bagno quella sera.


La sagoma scura di Spike adagiato nel buio perfetto del suo letto la seguiva con gli occhi.

Sapeva come rendersi invisibile ed era una capacità che spesse volte aveva sfruttato a suo vantaggio…

Non sapeva proprio perché era lì.

Sapeva solo che avrebbe voluto ubriacarsi e dormire per altri cento anni e svegliarsi quando di Buffy Summers non fosse rimasto nemmeno il ricordo.

Eppure non voleva stare solo, non voleva rinchiudersi nel suo buco e soffrire solo come un cane.

Ma da chi poteva andare?

Non aveva amici, lui.

E poi si era ricordato di Willow e del suo sorriso gentile.

E dell’invito.

Poco gentilmente le aveva scassinato la porta di casa e lei pareva non averci neanche fatto caso!

Doveva insegnare a quella ragazza cos’era la prudenza…

Si passò le braccia dietro la testa e inalò un profondo respiro per assaporare tutto il profumo di lavanda e delicatezza che le lenzuola emanavano.

No, non ci aveva mai fatto caso…

S addormentò per pochi minuti, svegliandosi nel momento in cui il passo delicato di Willow si faceva strada nel corridoio e si avvicinava.


A Willow il bagno aveva fatto bene. Ora si sentiva in grado di affrontare il letto e dormire senza più tutta quell’agitazione addosso.

Scosse i capelli che non aveva bagnato, dopo aver sciolto il piccolo chignon che li aveva raccolti stringendosi nell’accappatoio rosa ciclamino.

Entrò nella camera ancora al buio strofinandosi piano la pelle per asciugarla.

Non aveva voglia di affrontare la realtà quella sera e stare allo scuro le sembrava il mezzo più adatto per evitarla.

Si gettò sul letto sfinita senza motivo, lasciando che l’accappatoio si aprisse appena sulle gambe snelle. Sospirò mentre chiudeva gli occhi.

No, quella sera non avrebbe avuto la forza di indossare il pigiama.


Spike aveva seguito tutta la scena come ipnotizzato.

Ma dove aveva avuto la testa in quegli ultimi anni per non accorgersi del suo potenziale nascosto dietro goffi maglioni?

Ma lei lo sapeva che ogni suo gesto, se opportunamente dosato, poteva ispirare esperienze peccatrici?

La vide chiudere gli occhi e abbandonare la testa sul cuscino.

-probabilmente non lo sa-

gia dormiva?

Si avvicinò furtivamente a scrutarla meglio. Com’era carina sotto la luce dei suoi occhi!

E sembrava dormire così beatamente!

Anche lui avrebbe voluto potersi godere un sonno così.

Senza sogni, senza incubi.

Rimase con il corpo appoggiato alla parete come a sostenere un peso schiacciante.

Si rilassò con le spalle e quando la guardò di nuovo vide i suoi occhi… che lo fissavano.

Aperti e limpidi.

“c-cosa ci fai…qui?” gli chiese in un sussurro

“non volevo stare solo, amore! Non stasera.” Credeva di avere una voce strascicata, e invece…

“e credi che q-questa sia la s-soluzione per…dimenticarla?”

“a cosa ti riferisci?” le sorrise impertinente mentre lei rimaneva seria “S-spike per-perché sei qui, non me lo hai detto!”

“la verità è che amo la tua compagnia!” si avvicinò di qualche passo mentre lei si tirava su a sedere

“la mia c-compagnia? Tu ed io non ci siamo mai fatti… compagnia, mi pare!”

“sono errori a cui si può rimediare dolcezza” si avvicinava a passi lenti, ma inesorabili. Avanzava senza spaventarla, senza essere cacciato.

Quando arrivò alla sponda del letto lei inaspettatamente gli prese una mano “Spike m-mi dispiace imm-immensamente c-credimi. Io ero là e…e ho visto…ho visto…andrà meglio vedrai!”

Si divincolò dalla sua stretta allontanandosi “non mi interessa sapere che andrà meglio!”

Willow si alzò e cercò la sua vicinanza “cosa ti interessa allora?” la sua manina delicata gli accarezzò una spalla. Gli sorrise “vorrei poter fare qualcosa per te”

Spike spalancò le labbra come se la meraviglia per quell’affermazione e quei modi gentili fossero troppo insopportabili. E Willow lo imitò immediatamente “c-cosa…ho detto qualcosa che n-non va?” “no” le si avvicinò divorando lo spazio tra loro e posò le sue labbra su quelle di lei ancora dischiuse per lo stupore. La baciò come se fosse l’ultimo scoglio di consapevolezza prima della follia. La baciò mentre affondava nei segreti della sua lingua candida e sentiva la vita e i misteri correre veloci sotto di lui insieme al battito del suo cuore impazzito.

La sentì aggrapparsi alle sue salde spalle come se la sua vita fosse dipesa da quell’appiglio sicuro, carezzargli il collo in un gesto intimo e rassicurante “andrà tutto bene ora che sono con te” gli disse in un momento in cui riuscì a staccarsi dalla sua bocca.

Ma Spike voleva la sua bocca e anche il resto di lei.

Probabilmente l’aveva sempre voluta senza saperlo.

Le infilò una mano sotto l’accappatoio che a causa della pressione delle sue dita cedette aprendosi completamente.

E lui rimase un momento estasiato, perso nella contemplazione di quei candidi pendii, delle morbide insenature, della pelle luminosa che odorava di buono.

Si chinò sulla sua spalla e la morse leggermente per assaporare il suo sapore di bambina e cannella, facendo ricadere l’accappatoio inutile ai suoi piedi. Si, inutile! D’ora in avanti ci avrebbe pensato lui a scaldarla, proteggerla e…asciugarla, se necessario.

La sentì circondarlo tra le esili braccine mentre il suo respiro gli accarezzava le tempie. L’aveva dolcemente costretto a chinarsi per deporre sulla fronte un bacio.

Il bacio del perdono. Per quanto tempo ne aveva desiderato uno da una donna!

Una donna che potesse amarlo.

Come disperatamente voleva sentirselo dire…

La spinse sul letto verso le coperte sfatte dal suo sottile corpicino e si preparò a creare la musica.

A trarre accordi da ogni muscolo, osso e legamento. Per guidarla verso mondi sconosciuti e inesplorati.

Per fare in modo che ricordasse quel momento fino alla fine del mondo.

Perché la sua giovane vita non provasse mai niente altro di anche solo paragonabile.

Era entrato nel suo corpo e sarebbe entrato nella sua mente, nella sua anima.

Lui lo meritava, maledizione! Voleva e meritava l’amore!

Non avrebbe mai voluto scivolare fuori da quel piccolo accogliente paradiso.

Si lasciò guidare dall’istinto e trovò in lei una compagna che comprendeva e accettava.

Che anticipava perfino i suoi desideri.

Solo quando raggiunsero insieme il piacere lui si decise a ridimensionare l’ansia che provava.

-sei vera tesoro mio!-

nell’esatto momento lei lo guardò nel blu profondo che mandava sfumature ambrate, accontentando il suo desiderio più inconfessabile

“Spike…William…io ti amo”

sentì un leggero giramento di testa, una vertigine…

…Rimase con il corpo appoggiato alla parete come a sostenere un peso schiacciante.

Si rilassò con le spalle e quando la guardò di nuovo vide i suoi occhi chiusi continuare beatamente il loro riposo…

Lui meritava l’amore, maledizione!

E si, era proprio sbronzo!

Si soffermò solo un istante sulla sua figura tranquillamente ignara.

E ricordò che tutti i suoi guai erano cominciati in modo analogo…solo con una diversa protagonista…

-oddio, o no! Non un’altra volta-

le lanciò un ultimo sguardo mentre la vedeva afferrare il lenzuolo e coprirsi per smettere di rabbrividire.

Doveva assolutamente uscire.

Scivolò tra le ombre.


Quanto tempo era passato?

Due, tre ore?

Non aveva nessuna importanza. Soprattutto se il termine di paragone era il suo malditesta che definire perforante sarebbe stato un gentile eufemismo.

Spike si mise in piedi lasciando con scarso rammarico la poltrona su cui si era accasciato solo poche ore prima. Dopo aver fatto il pieno di tutto ciò che era umanamente bevibile in una notte.

La terza che passava a sbronzarsi.

La quarta da che era uscito da casa di Willow.

E dalla vita di Buffy.

Si massaggiò il collo dolorante per la posizione scomoda che aveva usato per riposare.

Ma non gliene fregava niente del dolore fisico. O di quello mentale.

Non gliene fregava un cazzo di niente.

Perché quella volta aveva preso deliberatamente una decisione drastica. Senza esservi costretto.

Cosa decisamente insolita per il suo rapporto con Buffy. Lui non decideva mai niente.

Tutt’al più pavimento o divano.

Letto mai. Tra loro assolutamente niente di normale. Semplice o pulito.

E la cosa ridicola era che aveva sempre pensato di non farsene niente della normalità.

Di un amore puro che non sapesse di ossessione.

Lui aveva sempre creduto di cercare passione, sesso e poco altro.

Non che ci fosse qualcosa di sbagliato, anzi. Era soddisfacente per l’istinto, per il demone.

Ma non per l’uomo, forse.

Del resto l’uomo era un poeta. Un sognatore vittoriano che respirava romanticismo.

E scriveva liriche disprezzate.

Che aveva amato l’amore con tutta la forza dirompente che aveva usato dopo per sottometterlo e mercificarlo.

Si, perché aveva creduto che sarebbe stato facile sconfiggere l’amore se l’avesse nascosto e trasformato. Ossessione, coinvolgimento, corpo e mente.

Passione e devozione. Pazienza, comprensione e animosità.

L’aveva sperimentato con Drusilla che aveva assecondato e protetto. Ai limiti di quell’amore che cercava di sconfiggere. E con Buffy aveva scoperto che non era colpa della sua effimera compagna o del vampiro che c’era in lui.

Era colpa sua.

Perché se passava da un’ossessione a un’altra senza mai riuscire ad afferrare o distruggere l’amore allora c’era qualcosa di profondamente sbagliato in lui.

Assolutamente colpa sua. Uomo demone e poeta.

Scagliò l’ennesima bottiglia per l’ennesima volta contro il muro.

Non poteva per nessun motivo al mondo cascarci di nuovo.

Le scene che gli rimbombavano nella mente lo tenevano sveglio. Cosciente perfino quando scivolava nel mondo onirico dei suoi incubi.

Nella stanza buia quanto era sembrato reale sentirle dire quella frase…

Era stato sul punto di cercarla almeno un milione di volte nelle ultime ore. Arrivava fino alla porta e tornava indietro. Era giorno. E non voleva morire come un’idiota in preda a una follia.

Una bellissima follia color cannella che odorava di lavanda. E di fresco.

Ma non voleva.

Era un’idiota del cazzo?

Usciva rantolando da una fossa per gettarsi in un burrone?

Era così confuso!

Ma che diavolo ci poteva fare se amava le donne?

Amava? Era amore? Allora tutto il maledetto discorso fatto finora?

Su lui che voleva punire l’amore per averlo tanto ferito?

Su lui che trasformava l’amore e lo nascondeva sotto altri nomi perché solo così ne sarebbe stato al sicuro? Che fine facevano quelle seghe mentali?

Ci pensò un attimo e poi scosse il capo

-sangue nero che tormento le donne!-

lui non era fatto per le riflessioni!

Se ne scordava sempre. Ci cascava, cercava di analizzare!

Ma lui non era Angel, per dio!

La verità era che non ci capiva niente. E che non voleva più soffrire.

Perché provava tanto dolore…al petto…al cuore…c’era il cuore la? Poteva quasi sentirlo mentre la mano calda lo palpava fino a stritolarlo. Non sapeva di chi fosse la mano. Era di una donna.

Ma era colpa dell’amore.

Prese una sacca e la riempì di pochi indumenti alla rinfusa.

Si era fatta notte. E la sua moto lo aspettava.

Guardò lo spolverino che aveva indossato la sera prima. Il suo bottino di guerra. Non se n’era mai separato in centotrenta’anni.

Era ingloriosamente afflosciato sulla poltrona. La mattina prima l’aveva usato come cuscino.

Rise dolorosamente mentre si richiudeva la porta alle spalle.

Avrebbe voluto lasciarlo lì. Come vessillo del suo fallimento.

Anima o non anima restava quello che era sempre stato.

E doveva capire cosa. Anche se non era tipo da viaggi nelle radici. Alle origini, dentro se stesso.

Cazzate.

Aveva solo voglia di cambiare aria.

Aveva un’unica certezza. Non sapeva se avrebbe avuto voglia di tornare.


Aveva trovato la porta aperta.

Quel preciso particolare lo fece sorridere. Esattamente come l’ultima volta che era stato lì!

Quella ragazza davvero ignorava cosa fosse la prudenza!

Anche se a sua discolpa poteva dire che questa volta era in casa.

Certo Spike non si prese comunque la briga di suonare.

Entrò elegantemente nell’ingresso illuminato dal lampadario acceso, dando a vedere di sentirsi perfettamente a suo agio nella stanza. Come nel resto della casa, comunque.

La figuretta di spalle vicino ai fornelli era intenta a preparare qualcosa.

Un the avrebbe giurato dall’odore.

Spike si avvicinò con passi misurati alla schiena di Willow.

Aveva imparato negli ultimi sei mesi di detestare i movimenti bruschi. E così aveva accentuato la lentezza delle sue movenze. Camminava fluido, e spedito. Ogni gesto era perfettamente dosato.

Proprio lui che era stato un campione degli eccessi!

Perfino quando combatteva pareva danzasse. Anche se…bè quello

–danzare-

l’aveva sempre fatto, invece di combattere.

Ed era sempre maledettamente veloce.

“sorpresa di vedermi rossa?”

quando Willow sentì la sua mano sulla schiena e il suo viso a pochi centimetri di aria dal suo collo, mentre si chinava a sussurrarle quella frase con cui ormai si presentava in ogni situazione

-come se si potesse non essere sorpresi di vederlo!-

quasi le cadde la tazza di the fumante alla pesca che stava per godersi davanti al vecchio film di Gary Cooper che aveva affittato quella sera.

Quasi.

Perché ovviamente Spike, lo Spike nessunomisorprende, aveva evitato che la tazza s’infrangesse sul pavimento. Non avendo potuto evitare invece, ovviamente, che il liquido si versasse.

-Non è infallibile, dopotutto-

Bagnandoli entrambi.

“accidenti che disast… sp-Spike?” Willow si era guardata un momento la maglietta prima di recepire di chi era la voce. Prese la tazza integra dalle sue mani attentissima a non sfiorargliele nemmeno, e la mise al sicuro sul lavello.

Prima di girarsi verso il vampiro biondo che la fissava con la sua aria sorniona che sapeva di presa in giro.

“sorpresa di vedermi. Direi.”

Infatti.

“che..che…c-che ci fai qui?”

Spike la evitò mirando allo strofinaccio appoggiato sul piano dietro di lei.

“sono tornato” disse placidamente mentre prese ad asciugarsi il davanti della maglietta attillata, dedicandole di tanto in tanto occhiate distratte.

“questo lo vedo. S-sei stato via quas-quasi sei mesi!” sospirò

quanto la irritava balbettare in quel modo.

“hai sentito la mia mancanza?” il tono era il solito ironico vagamente allusivo.

E questo bastò a farla irritare

“ma si può sapere che vuoi? Sparisci per dei mesi e poi piombi qui senza bussare, dimenticando le basilari regole della buona educazione e pretendi addirittura di essermi mancato! Ma chi diavolo…”

“d’accordo tesoro, ho capito! Non ti sono mancato.” Col suo solito modo le passò lo strofinaccio.

Willow lo prese considerando la gentilezza di averglielo allungato dalla parte ancora asciutta.

“grazie” si asciugò rapidamente la canotta rosa pesca non facendo caso alla larga macchia che si estendeva sui comodi pantaloni della tuta.

“ah, sei un disastro!” Spike le prese di mano lo straccio e glielo passò sulle gambe con una certa forza per tamponare il bagnato. In un gesto che in altri momenti avrebbe avuto effetti completamente diversi. Un gesto che in altri momenti sarebbe stato dettato da motivazioni diverse.

E che invece adesso voleva essere solo gentile.

Willow si rilassò solo dopo aver percepito i suoi intenti sinceri e lo guardò con una certa sorpresa.

Soffermandosi per la prima volta sui lineamenti che avevano assunto un’aria stranamente più distesa. Intendiamoci, Spike era sempre un fascio di muscoli disegnati dalla mano di un’artista molto generoso, ma sembrava…rilassato.

La soffocante espressione di insoddisfazione e dolore che gli aveva letto negli occhi era sparita.

Le era mancato.

Anche questo notò mentre Spike si faceva spontaneamente strada fino al salottino illuminato dalla piccola lampada sul tavolino art decò. E si toglieva lo spolverino di pelle in un gesto così tipicamente suo che non poté trattenersi dal sorridere.

“che hai rossa?”

“no, no. N-niente!” Willow si sedette di fronte a lui nella sua poltrona preferita.

E Spike le si avvicinò insolentemente appoggiandosi a un bracciolo

“sei forse miope?”

Spike capì immediatamente l’antifona

“perché?” simulò un’espressione innocente

“le altre sedie…”

“o si, molto carine!”

-sfacciato!-

“e anche comode. Utili, soprattutto. Che ne diresti di usarne una? Sai, non vorrei che si offendessero” Willow si appoggiò allo schienale e raddrizzò le ginocchia, irrigidendosi involontariamente.

“cosa c’è strega? Troppo vicini?” Spike si voltò verso di lei lasciando il comodo appoggio del bracciolo che non gli permetteva di guardarla in viso.

E poggiando entrambe le mani ai lati della poltrona, chinandosi verso il suo viso che assumeva sfumature di rosso sempre più acceso.

“e adesso?”

Willow cercò letteralmente di sprofondare nello schienale, pur di allontanarsi.

Non che quella vicinanza le desse proprio fastidio, in effetti cominciava a sentire da qualche parte un leggero formicolio, ma aveva sempre detestato sentirsi braccata.

E come la braccava Spike…

-ma basta! Che mi prende? Seria. E calma. Lo posso gestire, lo posso gestire. Possogestirespike.-

Spike si allontanò con garbo mentre le tendeva una mano per farla mettere in piedi

“ti devo mostrare una cosa”

la avvicinò alla finestra e le indicò il cortile dove era parcheggiata la sua moto

“è la tua moto, non mi sembra questa grande novità!”

“hey attenta a come parli dolcezza! Quella non è una moto. È la moto.

E poi comunque non è lì che devi guardare!”

“e dove?” Willow ispezionò il suo minuscolo giardino e poi la strada isolata nonostante non fosse tardi “io non vedo altro!”

“perché non sai dove guardare” Spike le prese il mento tra pollice indice e medio e la costrinse con gli occhi in direzione del piccolo borsone sul portacarichi della motocicletta.

Willow li fissò interdetta “souvenirs?”

“è il mio bagaglio.”

“si, capisco che sia necessario avere un bagaglio, specie quando si viaggia. Altrimenti le asciugamani, i ricambi, i vestiti…tutto un genere di cose di cui un vampiro può avere bisogno e che io ignoro…dove le metti!”

“tranquilla, non le ignorerai ancora per molto!”

“in che senso?”

“nel senso…”le si avvicinò per farle sentire meglio e a Willow sembrò che volesse sillabarglielo

“…che vengo a stare qui!” replicò assolutamente convinto.

E non scherzava.


Willow sbarrò gli occhioni screziati di foresta.

“t-tu cosa?”

Spike nemmeno pensò che quella era una partita che doveva giocarsi bene.

Lei era troppo disponibile e altruista per buttarlo semplicemente fuori di casa e intimargli di scotennarlo se solo ci riprovava con una di queste belle alzate di ingegno…

“mi trasferisco.

In questo appartamento.”

Sorrise come se fosse già padrone di casa

“che tecnicamente è il mio!” cominciò a protestare Willow risolutamente

Spike continuò volutamente a ignorare che la situazione poteva farsi difficile…

“non è bello saper condividere?” le si avvicinò dopo che lei si era allontanata di qualche passo tenendogli sempre gli occhi ben piantati sopra.

Come se potesse saltarle addosso da un momento all’altro.

Cosa che –in fondo- non era poi troppo distante dalla realtà.

“Spike-“ cominciò Willow tremendamente seria

ma lui la interruppe “andiamo dolcezza…sono un ottimo compagno di stanza.

Sono discreto, e attento.

E non troverai mai il latte vuoto nel frigo.

E poi posso essere un buon confidente.

Posso aiutarti con dei lavoretti.

Ti pagherò l’affitto.

Potrei arrivare perfino a metterti i bigodini, o lo smalto…”

Si guardò le unghie vistosamente laccate di nero subito dopo di aver smesso di enumerare convinto le tesi a suo favore.

Contandole sulle dita.

“…potresti ricambiare il favore…

tutte le cose stupide che fate voi ragazze insomma!”

gettò in aria le braccia in un suo tipico gesto esasperato

“Spike-“ Willow lo ignorò per riprendere da dove aveva interrotto.

Non aveva neppure cominciato.

“tu sei qui per chiedere un favore.

Ripeto: chiedere.

Dovresti rispolverare le tue regole sulla buona educazione!”

Spike alzò gli occhi al soffitto e si rassegnò sospirando

“d’accordo! Va bene, ma almeno risparmiami la predica!

Ti…”

La guardò mentre lei sembrava stesse per tirargli fuori le parole di bocca con le tenaglie

Sospirò di nuovo. “…ti dispiacerebbe se io…

se io venissi a stare qui?”

disse alla fine come pronto a immolarsi. E la guardò speranzoso

“si!” annuì lei assolutamente convinta

“si…cosa?”

“si. Mi dispiace. Si, potresti essere più convincente!”

“rossa! Ma tu sei…”

“Spike…” Willow lo fermò con un gesto della mano

“… tu hai già un…”

-come chiamarlo? Appartamento? Residenza? Tomba? No, meglio di no!-

“posto tuo dove stare.

Per quale motivo dovresti venire qui?

La tua mi sembra una pretesa assurda, sin-sinceramente!”

L’aveva detto tutto d’un fiato e si era inceppata solo sul finale.

Lo guardò davvero soddisfatta.

Senza, ovviamente, averlo minimamente impressionato.

Spike la fissava rigirandosi i pollici con la schiena appoggiata al muro.

Anche lui si era allontanato da lei.

“pretesa assurda, eh?

Credevo che questo fosse il genere di cose che un amico può permettersi di fare con un altro amico.”

Lei lo fissò a sua volta incredula.

Spike strinse il pugno sinistro prima di appoggiarlo sul davanzale e guardare fuori.

-più difficile del previsto-

Willow avanzò stupefatta

-amica?amicaamicaamica! mi considera un’amica!-

“Spike…io…

ma tu veramente mi…”

–consideri tua amica?-

-che cosa orribile stavo per dire! Perfida Willow!!-

“…che mi…cioè che vuoi venire…dormire…stare!...

…che vuoi stare… c-con me…

-cavolo!-

…cioè a casa mia!”

Spike ridacchiò sotto i baffi. E Willow sbarrò nuovamente gli occhioni

“tu…t-tu… mi prendi in g-giro!...io…i-io sto cercando di fare un discorso serio!!sei…sei…”

rinunciò.

E lo guardò bene.

-abbagliante-

Spike provò,

già sapendo che lo aspettava il fallimento,

ad infinocchiarla con uno dei suoi migliori sorrisi

“la cosa comincia a piacerti vero?”

Willow spostò gli occhi alternativamente da lui alla finestra.

Credendo quasi di intravedere il poco voluminoso bagaglio che si apprestava a entrare con la forza nel suo nido di libertà.

Dove poteva essere se stessa senza inibizioni o paure.

Dove non era mai vissuta prima di Londra.

Dove quindi non c’erano brutti ricordi a cui fare attenzione.

Era la sua casa.

E Spike la voleva violare.

Senza mai essere stato invitato…

Una rabbia feroce e improvvisa la invase.

“spi-spiegami per quale assurdo motivo dovrei lasciarti venire a stare qui?”

avanzò minacciosa con i pugni stretti e le labbra scolorate dalla tensione

“perché ne ho davvero bisogno Willow” replicò.

Incredibilmente serio.

“hai bisogno di cosa? io..io non sono più in grado di fare niente per te.

Non sono più una strega…”

“non mi servono streghe e sortilegi. Ho bisogno di un’amica…te l’ho detto…”

sconcertata Willow sentì quel livore improvviso abbandonarla così come la aveva invasa

si avvicinò alla finestra solo per stare vicino a lui senza sentirsi in imbarazzo.

-Un’amica! Ha bisogno …di qualcuno…e io….-

“Spike..”

lui continuava ostinatamente a guardare fuori

“Spike guardami…”

la fissò. E la vide avvicinarsi.

Toccargli una spalla con la mano.

“ma cosa t-ti è successo in…questi mesi?”

la vista gli si offuscò, come se una mano gli avesse fatto ombra.

Mesi.

Erano passati solo pochi mesi.

Era passata una vita intera.

“ho conosciuto una persona…

…che pensavo non avrei mai potuto incontrare…”

-il vero me stesso-

“ho capito che dovevo tornare qui.

Per ricominciare da dove avevo interrotto.”

Willow non aveva mai visto trapelare dai suoi occhi blu oltremare quella luce così nuova.

Così viva.

Incredibilmente assurda per essere sul volto di un vampiro.

Si avvicinò ancora. Lasciando la mano sinistra sulla spalla di lui.

E che quella destra sfiorasse le sue…

“Spike…ma perché io?”

Spike alzò il viso su di lei.

Quella risposta meritava tutta la sua sincerità.

A costo di giocarsi la dignità per il resto dei suoi giorni.

Quasi come indennizzo per tutte le incredibili menzogne che,

lo sapeva,

avrebbe dovuto raccontarle dopo…

“perché quando mi sono guardato indietro…tu…sei stata l’unica cosa che ho visto.”


Non aveva la minima idea di che ora si fosse fatta.

Spike sfinito si lasciò andare finalmente sul divano.

Vicino ai suoi piedi che gli solleticavano il fianco. Vicino a lei. Che dormiva.

Alla fine. Ci era riuscito.

L’aveva convinta.

Willow aveva assunto un’espressione imperscrutabile. Prima di uscire dalla stanza.

E di sussurrare, certa che lui l’avrebbe sentita anche se l’avesse semplicemente mimato,

“resta.”

E poi si era andata a sedere fuori. Sotto il porticato.

E lui era stato abbastanza onesto con se stesso da ammettere che avrebbe voluto seguirla

e afferrarla per la vita.

E baciarla.

Abbastanza a lungo da permetterle di capire che…era lei.

Il vero motivo per cui era tornato.

Ma poi tutto il piano che aveva tanto ingegnosamente concepito…

Tempo. Dolore. E sacrifici.

E lui era stato abbastanza onesto con se stesso da ammettere che sarebbe stato meglio per lei starsene un pochino da sola.

Per l’ultima volta.

Per molto molto molto tempo.


Willow si sentì sollevare di peso.

Nel dormiveglia le capitava spesso di sognare qualcuno.

Calde e forti braccia maschili che la serravano delicatamente.

Solo che questa non sembrava una di quelle volte. Queste sembravano due braccia vere.

Incredibilmente solide.

E fredde.

E le venne in mente Spike.

Che ora viveva con lei. Perché gli aveva dato il permesso.

Che ora viveva con lei. Perché lo voleva disperatamente.

Solo che…

…ancora nemmeno lo sapeva.


La luce filtrava appena dalle tende ben accostate.

Willow si svegliò che erano da poco passate le sette.

Oddio detestava svegliarsi presto se non aveva niente da fare!

-Spike-

l’aveva pensato senza rendersene conto.

Si stropicciò gli occhi con i pollici prima di scivolare fuori dal letto sollevando un poco le coperte.

Infilò le ciabattine di lana e lisciò la camicia da notte che le si era arrotolata in vita.

Voleva vedere Spike.

-spikespikespike-

strinse gli occhi.

Prima di mettere a fuoco il resto della stanza. E di accorgersi che sopra le coperte, sul suo letto

Stava Spike.

Con la testa luminosamente bionda abbandonata sul suo cuscino preferito dalla fodera con gli orsetti.

E le venne in mente un flash della sera prima, mentre era addormentata.

Di Spike che le sfilava la canottiera e il pantalone sportivo.

Di lei che lo guardava leggermente arrossendo, considerando quella situazione assurda come fervida fantasia…

Un flash di lui che scostava lo sguardo, imbarazzato, quasi…di voler sbirciare.

Ma che, sorprendentemente, non lo faceva.

Di Spike che la rivestiva con la camicia da notte a fiorellini trovata per intuizione sotto il cuscino.

Da vero bravo ragazzo.

Senza guardare.

E che ora era deliziosamente indifeso.

Adesso, privo di tutti i suoi atteggiamenti, le sue ironie accurate e tutta la serie di serratissimi meccanismi di difesa; sembrava proprio un ragazzo.

Un ragazzo come tanti.

Uno di quelli di cui lei si sarebbe potuta innamorare.

-oh Spike!-

gli carezzò appena la fronte per metà nascosta dal cuscino.

E scivolò senza far rumore fuori dalla stanza.

Senza nemmeno sospettare che erano ore che lui vegliava.


Willow era uscita da pochi minuti fuori la porta di casa.

Aveva l’intenzione di aspettare il ragazzo dei giornali.

Già, aveva una gran voglia di leggere notizie fresche quella mattina!

-bugiarda Willow-

In realtà voleva permettere a Spike di riposare. O magari svegliarsi e sloggiare dalla sua stanza!

Sospirò esasperata.

Ma come era arrivata a quel punto?

Stava riflettendo su un vampiro platinato e insolente che si era preso il permesso di dormire con lei…vicino a lei…nel suo letto…

-o mamma mia!-

-calma Will, calma!-

-dormire nella mia stessa stanza! Ok, così suona molto più rassicurante!!-

prese a camminare un pochino sul prato, vicino all’ingresso prima di rassegnarsi ad uno sbadiglio, e sedersi vicino alle gardenie.

“ehy Will! Mattiniera? Meno male, non mi andava proprio di essere io a doverti svegliare!”

un improvviso sudore freddo la avvolse completamente.

Davanti a lei, molto più in forma del solito, stava Buffy. Che le sorrideva.

“b-Buffy! Ehehe ciao!

Che bello vederti! Sai non mi aspettavo una tua visita, non che non sia bello vederti. O che tu abbia bisogno di avvertirmi per venire a casa mia…tu puoi venire qui quando vuoi non disturbi mai…solo…”

“lo so!” Buffy le sorrise di nuovo, in effetti non aveva mai smesso di sorridere.

Come quando aveva bisogno di un favore bello grosso.

O come un macellaio che nasconde la mannaia all’agnellino!

-bella similitudine! Complimenti Will!!

Ma proprio ora…dio fa che non si svegli!-

Nervosamente Willow lanciò uno sguardo furtivo alla finestra della sua stanza.

Immaginando i commenti e i fraintendimenti se Buffy l’avesse saputo!E guardando poi lei con un’espressione di muto orrore quando la vide tranquillamente dirigersi alla porta.

“Buffy! Dove …d-dove vai?”

“dentro” rispose lei serafica “ci sono problemi?”

brutto segno! Gli occhi cominciavano a farsi indagatori

“sei con qualcuno Will?”

Willow avvampò considerando involontariamente quella assurdamente remota possibilità.

“no! Io…no, n-no!”

“Will, ma sei arrossita! Coraggio che c’è?

A me puoi dirlo! C’è qualcuna di sopra?”

L’accento che aveva posto su quella a le dava insolitamente fastidio. Che le poteva dire?

-Un demone sanguinario, vampiro, scomparso e ritornato da-non-so-dove che dorme nel mio letto senza la maglietta! E non è una lei!

Ah! Naturalmente è il tuo ex ragazzo!

No, meglio di no!-

Willow cercò di sedare l’agitazione “nessuno Buffy, figurati!”

Si sorprese della facilità assoluta con cui le aveva mentito

-non è da me!-

“ma vieni, sediamoci nel salone!” le indicò la porta sapendo bene che non l’avrebbe convinta a rimanere in giardino con la scusa che le belle giornate stavano per finire ed era meglio godersele finché si poteva!

Mentre Buffy si avviava in poltrona Willow si fermò vicino le scale

“ehy si vede proprio che l’autunno si avvicina! Vado a infilarmi un maglione, aspetta!”


Sgattaiolò come una ladra fino alla sua stanza in punta di piedi, trovando Spike nella stessa esatta posizione in cui l’aveva lasciato.

-meno male!-

girò sulle punte e scese di nuovo.

Non aveva fatto caso che stavolta i suoi occhi erano aperti.

Appena la vide Buffy esclamò “E il maglione?”

Willow disperatamente boccheggiò “non…non l’ho trovato! Sai la roba invernale…il cambio di stagione…e poi n-non volevo mentirti!”

“come?”

-merda!-

“…farti!

Aspettarti!

Farti aspettare!” sillabò quasi “non volevo farti aspettare! Che m-mi v-volevi dire?”

“oh, si!”

Buffy si distrasse dai suoi propositi investigativi e si concentrò.

“si, scusa per l’ora! Ma sai ultimamente mi sembra di non avere un momento libero!

Ti volevo chiedere un favore…” pausa imbarazzata

-il tempo per chiedere favori alle sette albe però ce l’hai!

Oddio! Che ho detto? Perfida, sono perfida!-

“Will…tutto bene?”

“si, si dimmi! Ti ascolto…”

“vedi c’è…c’è questo ragazzo…Todd. Lui è…bè lui…lui mi fa proprio impazzire!”disse d’un fiato

“sono contenta che tu …bè che ti sia venuta voglia di confidarmelo …certo è presto, ma non tanto …e-e p-poi gli amici….specie se consideri q-quanto p-poco ci s-siamo frequentate ultimamente!”

Buffy fece uno sguardo perplesso, seguito da uno intuitivo “oh, si! Si certo!

Ma vedi…questo ragazzo…ha un fratello più piccolo un pochino…diciamo, come posso dire? Buffo, non trovo le parole! Ecco…un pochino appiccicoso!”

L’aveva detto!

“io lo so che tu…bè, non sei interessata ai ragazzi…però…

però mi chiedevo, si…mi chiedevo se durante una di queste sere potresti…si, fargli compagnia, ecco! Potresti?”

Colpi di tosse.

Buffy si guardò intorno “c’è qualcuno?”

“come?” Willow strabuzzò gli occhi

“qualcuno ha tossito! Non era proprio tosse…sembrava come…non so…”

-sfottimento? Ironia?

Disapprovazione per quanto sai esserle falsamente amica?-

Spike da sopra le scale osservava la scena.

“io non ho sentito niente!” fece Willow convinta.

Buffy si mise in piedi e prese a camminare per il salotto

“so che la cosa ti seccherà, ma questo ragazzo mi piace molto. Sai, credo che possa diventare una storia seria….se solo non ci fosse sempre quella peste tra i piedi!” si bloccò “cioè, non che sia una peste…e poi non è tanto piccolo…al momento mi sfugge l’età, ma è…si, insomma…gestibile”

“Buffy, fammi capire…tu vuoi che io esca con te e il tuo ragazzo. E il fratello minore del tuo ragazzo?”

“esatto!”

“ma cosa potremmo mai fare?

Voglio dire…voi sarete tutto il tempo a fare…” diede una rapida occhiata alla rampa e sembrò congelarsi quando ci vide il biondo appollaiato. Un colpo di tosse la salvò dall’inevitabile richiesta di spiegazione per il fermo immagine improvviso. Era sembrata una statua di sale!

“a fare…a fare…quello che fate di solito…e e io dovrei badare a un ragazzo più piccolo?

Scusa ma non può lasciarlo a casa?

Io…”

Buffy s’imbronciò

“n-non fare co-così! N-non è per cattiveria, ma non ci so fare coi ragazzini! L’ultima volta che ho badato a mio cugino e ai suoi amichetti…loro hanno giocato alla danza degli indiani. E io ero il palo. Stavano quasi pere darmi fuoco! Sai p-per un effetto realistico!”

“Will…ma ci saremo noi! Tu dovrai solo tenergli compagnia mentre…sai…se noi due saremmo occupati!”

Altro colpo di tosse.

“chi ha tossito?”

“tossito? Io ho tossito! Ho un brutto, bruttissimo mal di gola!” Willow cercò di improvvisare un eccesso di tosse credibile

“oh…mi dispiace, stai male?”

“non…n-no figurati non è niente!”

“allora verrai domani sera?”

“domani sera?” gli occhi di Will schizzarono dalle orbite

Tosse.

“basta Will! Qui c’è qualcuno! Non ti ho vista tossire, ma ho sentito il rumore!”

“Buffy” Willow la chiamò mentre lei era già pronta a schizzare al piano superiore

la cacciatrice si girò poco prima di arrivare alle scale. Ancora con un piede nel salotto.

“lo farò! Ti aiuterò. Solo…in futuro, s-si…p-per favore..”

“certo, certo! Certo!! Oh Will grazie!” Buffy l’abbracciò e poi si diresse verso la porta.

Salutandola, mentre già camminava nel viale

“a domani!”


Quando la porta di casa fu saldamente richiusa non si girò nemmeno verso di lui.

“ehy, dico a te insolente!

Scendi che facciamo colazione insieme!”


Si era fatta quasi sera.

E Spike stava appollaiato sul davanzale della camera degli ospiti che per forza di cose era diventata la sua.

Un bussare discreto gli fece pensare di dover abbassare le gambe dal legno della finestra prima di ringhiare sommessamente “avanti”

Era di pessimo umore. E si vedeva.

Willow entrò quasi timorosa nella camera in penombra.

“ehy! C-ciao, sai…volevo sapere…s-si, tutto b-bene?

È da un po’ che sei rinchiuso qui sopra. D-da stamattina p-per la verità!

Si, cioè…da quando è a-arrivata…si, sai…lei. Buffy.”

Spike le dedicò un’occhiata insolente “non è esatto.

Sono qui da quando tu mi hai dato il permesso di sistemare la mia roba!” sorrise compiaciuto.

Gli occhi di Willow si rannuvolarono

“smetti di dire cosi!”

“così…come?”

“smettila di comportarti come se fossi un’ospite appena tollerato!

E togli i tuoi anfibi dal mio davanzale!”

Si girò intorno per controllare lo stato della camera.

Sorpresa vide la cura con cui erano sistemati alcuni cd sul piccolo scaffale di frassino appeso alla parete, e vide gli abiti…in una quantità incredibile… camice, magliette, pullover senza contare i jeans (un paio sdruciti per la verità) tutti sistemati garbatamente sul letto in attesa di una sistemazione …

-ma dove teneva tutta quella roba?-

e soprattutto vide i libri…alcune decine di volumi accatastati sul pavimento vicino la scrivania

evidentemente aveva interrotto qualsiasi manovra di sistemazione delle sue cose…

La sua voce ironicamente aggressiva, a cui non era più abituata, la colse di sorpresa

“stai disapprovando i miei gusti in fatto di arredo e valutando la possibilità di sbattermi fuori senza aspettare i classici due giorni di prova?”

“in effetti…mi chiedevo se non avessi bisogno di un aiuto…

vuoi che ti aiuti?”

“faccio da solo grazie tesoro!” di nuovo ringhiò

e Will fece la cosa sbagliata. Alzò gli occhi al cielo esasperata da quella irascibilità.

E Spike colse l’occasione al volo.

“cosa? cosa maledizione COSA?

sono un inquilino troppo disordinato?

E non hai ancora trovato calzini sporchi o le mie mutande tra la tua biancheria!!

Ma cos’hai da alzare gli occhi al cielo?

O, già ci sono!

Il tragico Spike!

Ti starai già chiedendo cosa hai fatto di tanto terribile da meritarti una piaga come me nel tuo candido regno!

Altrimenti perché vergognarti così tanto di far sapere alla preziosa salvatrice dei deboli subumani di qui che sarò tuo…ospite?” sputò

-ma allora è questo!-

Willow tentò un discorso “Spike smettila! Dici un cumulo di sciocchezze!”

Ma l’altro nemmeno sentiva “sciocchezze! Esatto! Io non faccio altro che cazzate e sono indesiderabile e caotico! Inutile e odioso.

E odiato.

Tutti mi odiano. Anche tu!” “Spike io…non ho mai pensato…”

Le loro parole si accavallavano

e nessuno dei due ascoltava l’altro finendo per alzare sempre di più la voce

“comincio a pensare che venire a chiederti ospitalità non sia stato tanto geniale! Un’altra delle mie cazzate! Me ne approfitto, perché sono un bastardo. E tu sei troppo generosa e infantilmente incapace di dire di no.” “Spike calmati…s-stiamo litigando e non cap…infantile? Io non sono infantile ma come…”

La voce di Willow si perdeva nel frastuono di quella del vampiro che alzava il tono costantemente. A ogni frase.

“Non hai detto di no a me, come non hai detto di no a Buffy stamattina! E ora dovrai uscire con un’idiota qualunque per fare un piacere ad un’amica che è convinta che tu sia lesbica, e se lo augura quasi per avere una concorrente di meno, ma se ne frega se deve chiederti di badare al fratello del suo uomo!” “Spike p-penso che dovremmo calmarci tutti e due e rifl…”

“…La punizione divina, giusto? Io sono una prova di sopportazione e espiazione a cui ti stai sottoponendo per i tuoi crimini contro il genere umano!”

l’aveva detto senza pensare.

Scollegando il cervello, Come al solito quando la rabbia diventava insostenibile.

E le parole gli erano morte nella sua gola morta. Troppo tardi per fermarle.

La vide chinare la testa e soffocare un singhiozzo mentre qualcosa di molto simile al bagliore di una lacrima cadeva perpendicolarmente al pavimento.

Mentre la mano di lei saliva ad asciugarsi le guance.

Intercettata da quelle di lui.

Che si era avvicinato, con un veloce movimento di sorprendente agilità.

“rossa…scusami.”

Le asciugò il mento e gli zigomi prima di risalire fino alle palpebre.

Ogni irritazione svanita.

Persa nelle poche lacrime di lei.

Willow pareva discreta perfino quando soffriva.

“io sono… quello che sono…

-e vorrei che tu non mi vedessi così lucidamente nel mio totale fallimento-

…ma non avrei mai voluto dire per niente al mondo la stronzata che ho detto.”

Le sollevò il mento e si sorprese a desiderare di stringerla talmente forte da inglobarla con il suo corpo.

“rossa…dolcezza…” le sfiorò le gote con le dita gelate “non piangere per me…cioè, per quello …che ho detto. Se vuoi me ne vado via subito. Non è stata una buona idea venire qui!

Me ne andrò al tramonto. Pochi minuti…”

E intanto non la lasciava.

-ti prego dì che non vuoi.-

e anzi la stringeva, quasi sollevandola per tenerla alla sua altezza.

Willow teneva gli occhi bassi. Ma non voleva piangere.

Sapeva che era la rabbia e non Spike a parlare. Non piangeva per quello.

Ma allora perché altri goccioloni riscaldavano le mani del vampiro appena aveva detto che se ne sarebbe andato?

Forse…

“rossa…lo so che è stato davvero.terribile, ma…ti prego, non piangere.

Va bene me ne vado.

Lascio il tuo nido perfetto e torno a sguazzare nel fango delle fogne!”

E ancora non riusciva a staccare le mani dal suo viso. A smettere di accarezzare ritmicamente quella pelle delicata con movimenti rotatori.

Comandando al suo corpo di allontanarsi e prendere le scale e uscire. E dimenticarsi di avere l’invito. Per non impazzire e sbatterla su quel letto all’istante.

Mentre i suoi piedi ignoravano il suo cervello e il suo bacino cominciava timidamente a spingersi verso la pancia di lei.

Per sentirla vicina. Come non era mai stata.

Per sentirla.

Col corpo e nel corpo.

E non solo nel suo cuore.

“Willow…hai sentito? Puoi stare tranquilla, me ne vado.

Will…amore?”

E gelò all’istante per quella terribile, agghiacciante e assolutamente inappropriata verità che gli era scappata di bocca. Tremando al solo pensiero che lei avrebbe potuto cacciarlo disgustata,

o peggio…ridere.

La lasciò all’istante. E camminò spedito verso la soglia.

Se ne stava andando.

-no. Non può andarsene.

Non può chiamarmi amore e andarsene.-

Le lacrime stavolta le sentì arrivare e cadere. Senza le sue mani ad asciugarle.

Spike aveva deciso d’ignorarle.

Solo quando sentì anche i singhiozzi giù dalle scale si decise in un lampo a tornare sui suoi passi.

Trovandola inginocchiata sul pavimento di maiolica a nascondersi il viso tra i capelli.

In mezzo alla sua roba. Che stava lì ad assicurare ad entrambi che non se ne sarebbe andato.

Almeno per il momento.

“ehy! Vuoi aumentarmi l’affitto?” chiese piano mentre la sollevava dolcemente per le braccia.

Come una bambina.

E lei dalla bambina che era si aggrappava al suo petto e ci accostava la faccia. Per perdersi nel rassicurante abbraccio dei suoi pettorali.

Prima di ridere.

“non avevo capito che mi avresti pagato!” disse con gli occhi lucidi.

“non vuoi proprio che stia qui, vero?”

lei alzò gli occhi dal loro morbido nascondiglio “Spike sm-smettila di sentirti non voluto.

Io ti voglio”

Avvampando

“…cioè…t-ti v-voglio nel senso che m-mi fa piac-ppiacere che tu stai qu-qui.

Non…assolutiss-ssimamente NON in a-altri s-sensi!”

Spike sorrise. Il suo solito sorriso. Quello tenero e obliquo che avrebbe fatto sciogliere le montagne per quanto sembrava calda la luce ametista delle sue iridi.

“in tal caso penso che resterò!”

“Spike?” Willow non accennava a volersi staccare dal suo petto e lui si sottraeva debitamente a qualsiasi movimento per evitare che lei prendesse la decisione di alzarsi e lasciarlo solo troppo presto.

-Un pochino, ancora un pochino. Solo un altro minuto tra le sue braccia-

la strega sollevò lo sguardo osservandolo da sotto in su con due occhi da gatta ammaliatrici e bagnati

“davvero hai intenzione di mischiare la nostra biancheria?”

Risero insieme.


“davvero hai intenzione di andarci?” gridò

Willow rise “si Spike.”

Spike dal divano su cui era seduto saltò in piedi e si affacciò sulle scale

“come hai detto? Potresti parlare un po’ più forte? Non sento!”

Willow sorrise di sottecchi. La loro convivenza, basata su un’esperienza di due giorni, andava bene.

“si che hai sentito Spike! Sentiresti il ronzare di un calabrone in giardino perfino dalla cantina!”

“guarda che ho la tv accesa!” rispose accigliato

“e tu spegnila!”

si preparò una battutina al vetriolo sulle prese in giro che un povero ospite deve sopportare in cambio di vitto e alloggio, quando la vide scendere le scale.

E la frase che aveva pensato gli si congelò nella mente.

Semplicemente…senza parole.

“cosa? non mi sta bene?”

il vestito lungo era di un rosso vinaccia che sembrava assurdamente identico al colore dei suoi capelli, che le accarezzavano, sciolti, la schiena lasciata scoperta dalla scollatura all’americana.

Per poco non gli scoppiarono le coronarie.

“no” Spike riuscì a soffocare un gemito imbarazzante

“quindi mi sta bene?”

“non male!” esclamò sulla difensiva

“ah, la galanteria dei bei tempi andati!”

Willow sorrise e uscì

Ma Spike riaprì la porta “ehy rossa! A che ora pensi di tornare?”

“ho il coprifuoco?”

“facciamo le due?”

Willow rise “facciamo non ti riguarda?”

Spike la fissò “facciamo che se per l’una e mezza non sei a casa ti vengo a cercare io!”

“si papà”

la richiamò mentre era a metà del vialetto “ah rossa?”

Willow si voltò facendo strusciare l’abito elegante sulle gambe snelle “si?”

“spero che il tuo amico non sia un debole di cuore!”

Willow azzardò un’espressione fintamente sorpresa “ma Spike…era un complimento?”

L’altro rise “non ti ci abituare. E non fare tardi!”

Rientrò in casa.


Willow non si sentiva molto a suo agio nell’abito elegante. Detestava essere messa in imbarazzo da sguardi poco discreti.

Eppure Buffy si era tanto raccomandata!

Le sembrava di risentirla nella mente quella telefonata.

<mi raccomando Will…un vestito adatto! Todd ci tiene ad andare in un ristorante carino. Sai quello vicino al cimitero orientale…>

incredibile come Buffy fosse capace di trovare nei cimiteri punti geografici di riferimento!

Si erano messi d’accordo di vedersi da lei. Così che Todd e suo fratello non avessero dovuto fare troppa strada per venirle a prendere entrambe.

Forse aveva fatto tardi, perché sorprendentemente erano tutti e tre già lì. Nel vialetto di casa di Buffy.

No, un attimo! Forse non erano loro.

Perché se erano loro c’era stato un equivoco!

Il ragazzino a cui doveva fare compagnia sembrava…cresciuto. Talmente che non capiva chi fosse Todd dei due!

Aveva capito lei male?

Appena Buffy la vide sfoderò un sorrisone “Will…eccoti! Questi sono Todd e…Mark. Il tuo accompagnatore!”

-oh merda!-

“m-molto piacere!”

“ciao Willow” esclamò Todd con un accento stranamente roco

“huhu e così tu sei la mia dama!” l’altro…Mark la squadrò soppesandola

Willow prese Buffy sotto il braccio e le sussurrò “ti devo parlare!”

Sentendo appena che quel Mark sbraitava “non male!”

Mentre Buffy si divincolava accigliandosi e sussurrando “non ora Will!”

Salì in macchina.

Sarebbe stata una lunga serata, lo sapeva.


La prima volta che Mark aveva allungato le mani era stato durante il ballo che aveva tanto insistito affinché lei gli concedesse.

Nel bel mezzo della pista del ristorante elegante

-quel Todd non bada a spese!-

aveva provato timidamente a sfiorare la parte esterna del suo seno destro dopo averla circondata con un braccio.

Al che Willow si era scusata ed era corsa in bagno.

Arrossendo fino alle punte dei piedi.

Poi c’era stato il momento in cui era arrivato il dessert e Mark con la scusa di sussurrarle le alternative tra i vari dolci le aveva posato la mano sulla coscia.

E lei l’aveva spostata.

Visibilmente in imbarazzo, mentre lui sorrideva compiaciuto.

-brutto idiota! Ma perché ho accettato? Perché?-

appena aveva potuto aveva raggiunto Buffy alla toilette

“Buffy…senti io credo c-che i-il tuo amico n-non abbia capito be-bene che non deve alzare le ma-mani!”

“ti ha fatto qualcosa?” chiese la bionda visibilmente preoccupata.

“no, solo…mi imbarazza. Sai tenta. Di toccarmi!”

“oh Will tesoro! Ma fa come tutti gli uomini! Basta che lo fermi”

“ma io non voglio doverlo fermare. Buffy io non voglio che mi tocchi!

E poi c-credevo si trattasse di un ragazzino. Da come lo avevi descritto pensavo fosse piccolo!”

“ecco! Lo sapevo! Nel momento esatto in cui le cose cominciano ad andare bene…qualcosa va storto!non mi merito una serata divertente anch’io una volta tanto?”

Willow fissò nervosamente le altre donne che entravano e uscivano dai bagni. E che le fissavano disapprovando il loro tono di voce

“Buffy calmati!”

“certo, Buffy calmati! Non sapete dire altro! Fa il tuo dovere. Salva il mondo e possibilmente non crepare nell’esercizio della tua missione! Ma guai a divertirti!

Cielo Will ti costa così tanto farmi questo favore?”

E Willow capitolò “no!” rispose.

Alla fine della cena si rese conto che Buffy e Todd erano spariti.

-mio dio da sola con questo qui?-

“dove sono tuo fratello e la mia amica?”

ma dall’occhiata allusiva che ricevette in risposta si pentì immediatamente di averlo chiesto

“dove credi che siano?” disse Mark avvicinandosi troppo

-o cavolo!-

Willow cercò disperatamente una soluzione a quel terribile equivoco mentre l’altro tentava di avvicinarsi al suo viso.

E sicuramente baciarla.

-che schifo!-

-cosa faccio adesso?-

chiuse gli occhi cercando di calmarsi.

Mossa che indusse l’altro ad avvicinarsi maggiormente e a spingerla verso il muro del locale.

-oddio-

“mark…non mi sembra p-proprio il caso!”

“shhh zitta tesoro!”

Willow cercò di allontanarsi appiattendosi contro la parete.

-nonono-

“senti Mark…io s-sono molto lusingata, ma non p-penso che tu abbia capito.io sono…io…

s-sono…sono…”

“si?” e intanto la premeva quasi col suo corpo sul muro

“tutto bene tesoro?”

“Spike??” Willow esclamò “Spike!!”

L’altro si staccò immediatamente.

“e tu che vuoi bello?”

“Mark…lui è Spike! Ed è…”

“e allora?” replicò annoiato “chi è? Tuo padre? Che gli importa di che facciamo?”

“lasciala amico. Ti conviene”

“e perché?” insistette l’altro ottusamente

“perché se tu ascoltassi capiresti che le tue attenzioni non sono gradite!”

“ma che cazz…”

Willow lo fermò “Mark…Spike ha ragione. Io preferirei che tu ti comportassi più discretamente.”

“prego?” il ragazzo cominciava a mostrarsi nervoso

“è già impegnata!” tagliò corto Spike

“con chi?” Mark fissò Willow

“io…i-io…c-con lui” e lo indicò.

Indicò Spike.

E Spike guardò dietro di sé.

Magari sbucava Xander Herris da qualche parte.

E invece ce l’aveva proprio con lui.

“tesoro ma dove guardi?”

Willow gli si avvicinò abbracciandogli il torace. E appoggiando la testa sulla sua spalla.

“no, niente. Un rumore.”

“Mark mi d-dispiace che tu abbia frainteso. Io avevo capito c-che era una serata fra amici” continuò lei guardando l’altro ragazzo allibito

“no. Scusami tu. A questo punto devo esserti sembrato un maiale!” e poi rise

“n-non potevi sapere che ero impegnata!”

“bè…buona serata ragazzi!” e sparì.

Un sospiro di sollievo le salì alle labbra. E finalmente si rilassò. Senza avere poi molta voglia di allontanarsi dal petto del vampiro.

E infatti chiuse gli occhi e rimase appoggiata lì.

E Spike comprensivo non si mosse

“serata faticosa, eh?”

“è dura essere donna!” replicò lei candidamente con gli occhi ancora chiusi

“carino il trucco del fidanzato!”

“ gia! E tu stavi per mandare tutto all’aria guardando da un’altra parte!”

“che ti posso dire? Non me l’aspettavo!”

“Spike?”

“mmm?”

“andiamo a casa!”

continuarono a camminare abbracciati.


Quella era una notte tiepida.

Raramente a Willow era sembrata tanto bella.

Se ne stava sotto la chioma dell’olmo agitato da una leggera brezza, seduta sopra una radice che sporgeva dal terreno.

E si rigirava una busta da lettera tra le mani.

Pensava. Con il capo leggermente sollevato all’indietro.

E fissava le foglie che si agitavano un poco sui rami.

Le fissava fino a perderne i contorni e notare solo un leggero alone verdino, pareva quasi che la circondasse amorevolmente…

Come le braccia di Spike la sera prima.

Che le cingevano la vita e la sorreggevano, mentre passeggiavano verso casa.

La sera prima…


…Si era staccata da lui, imbarazzatissima.

“ehy rossa, ma che hai?” Spike le aveva sollevato la testa e preso il mento tra due dita.

E lei lo aveva guardato allibita “n-niente. Sono so-solo stanca!”

Un sospiro di vero sfinimento le salì alle labbra. Era stato snervante sostenere quella lunghissima serata. E il finale non si prospettava migliore.

“lo immagino. Ma credo ci sia dell’altro…non vuoi parlarmene?”

Willow aveva continuato a camminare, distanziandolo, senza nemmeno sapere bene cosa dire.

-parlarne?

Di come mi confondi?

Delle braccia che mai mi hanno stretta con tanta delicatezza e decisione insieme?

Oppure dei tuoi assurdi, irritanti, inconcepibili atteggiamenti…

Inopportuni e insopportabili!

Ma così…teneri, alle volte.

Che hanno saputo scavare nel mio corpo un angolino in cui sistemarti perennemente…

…così vicino al cuore Spike!

Così vicino al mio cuore che non mi accorgo più di dove comincia il mio e dove finisce il tuo.

Mi sembra di sentirlo, in certi momenti, il tuo cuore!

Devo avere le allucinazioni, non batte nemmeno!

Ma che significa?

Spike…-

E si era sentita fermare dalla sua mano sicura e violenta

“Willow?”

gli aveva sorriso. “niente Spike. È solo che questa serata è stata s-strana!”

“ma sei…sei stata bene con me vero? Si, siamo stati bene…insieme, no?”

Willow sorrise “si. Credo c-che nonostante, si…nonostante M-Mark, si possa dire così!”

“bel tiro che ti ha giocato la cacciatrice!” riprese lui, immediatamente rassicurato, col suo atteggiamento notoriamente spaccone. Le strizzò l’occhio.

“b-Buffy! Già, mi è preso un colpo! Spike credimi, dovevi vedere la mia faccia quando ho visto che era un uomo!”

“una donna sarebbe andata meglio?”

chiese di getto senza pensare che poteva essere, anzi, che sicuramente sarebbe stato, indelicato.

Una vaga e indistinta rabbia lo aveva agitato appena lei aveva finito di pronunciare quella frase.

“intendevo che mi aspettavo un ragazzino! Sei come tutti gli altri, lo sai? identico! Eppure tu avevi fatto tutti quei bei discorsi sul fatto che dovevo essere sicura della mia identità sessuale, che era una cosa difficile da stabilire, così senza mai aver fatto una scelta radicale. Come quando vai a comprare un gelato, all’inizio sei sicurissima che lo prenderai alla frutta, per la linea. Poi entri nella gelateria e lo vedi a crema, e allora pensi –perché no?- magari lo assaggi, scopri che ti piace e poi aggiungi il cioccolato, oppure potrebbe darsi che ti penti e compri la vecchia coppetta a limone e fragola!

Cosa ne so io di che gusto mi piace il gelato?visto che non…”

La risata di Spike fermò il suo fiume di parole.

E accellerò il battito del suo cuore.

Ma lui, tutto impegnato a sghignazzare, non riuscì ad accorgersene.

Era stupefacente la risata di Spike.

Non ricordava di averla mai sentita prima, o forse si, solo una volta.

Tanto tempo prima, al Bronze…

Ma non aveva mai visto sorridere così sinceramente divertito anche con le iridi e con il resto del corpo. Gli occhi di ametista sembrarono scaldarsi di una luce dorata e schiarirsi mentre tutto il suo essere si rilassava e sfogava in uno scoppio di irritante ilarità la tensione di pochi attimi prima.

“prendi fiato dolcezza!”

aveva detto quando finalmente si era ripreso

“ti sei calmata?”

“si” ammise lei, ancora riluttante

“coraggio smettila con quella faccia! Anche io sono più contento che tu ci rifletta su! Non sono affari miei, è chiaro, ma mi dispiacerebbe vederti infelice, per una scelta sbagliata di fondo”

aveva detto quelle parole con la massima calma,

rilassato come un attore al secondo ciak.

Mentre le sue viscere si rivoltavano intimamente al pensiero che lei poteva accorgersi di essere lesbica per davvero.

E allora, vampiro o no,

demone o innamorato,

castano chiaro o biondone tinto…

difficilmente l’avrebbe conquistata!

Come se avesse captato quei pensieri sotto la cortina fumogena che lui aveva innalzato, Willow sbarrò gli occhioni.

E Spike si preparò a venire colpito. E affondato.

“t-ti dis-dispiacerebbe…d-dici?”

a Spike quasi scappò il sospiro di sollievo.

E trovò perfino la sfacciataggine di sembrare offeso

“perché sarebbe così strano?”

“n-no, no! Solo che…non mi sembravi tipo d-da preoccuparti per me! Da p-preoccuparti in generale, in ef-effetti!”

“mi preoccupo di quelli…

-che amo-

…che non sanno vedersela da soli!”

Willow assunse un’aria a metà tra l’offeso e il triste

“quindi secondo te io non so cavarmela da sola?” lo guardava ansiosa di una risposta

E Spike, accortasi della scortesia, non si fece pregare

“vuoi la verità rossa?”

lei annuì immediatamente

“penso che tu sia strepitosa stasera!”…


-Spike…-

pensò continuando a tenere fissi gli occhi sul contorno sfumato delle foglie e sistemandosi sull’erba umida, incurante.

Con le braccia a sostenere il capo e i capelli tirati in una coda alta un po’ sparsi sul terreno, un po’ nel vento…

Si sarebbe dovuta fare uno shampoo una volta a casa.

Ma non aveva per niente voglia di tornarci, a casa.

Perché Spike l’aveva baciata.

E poi si era chiuso in se stesso, come se avesse commesso un madornale errore.

Senza dirle nulla.

Chiuse gli occhi mentre quelle immagini si confondevano e incrociavano nei suoi pensieri…


…Avevano continuato a camminare lentamente fino alla piccola villetta.

Willow davanti e leggermente più indietro, pronto non si capiva bene se a proteggerla o sovrastarla, stava Spike.

Che quasi distrattamente sfiorava col dorso della sua mano gelata le dita di quella di lei quando si ritrovavano a procedere affiancati.

Un contatto da niente.

Una piccolezza che nessuno dei due si era dato la pena di notare.

Ma che aveva liberato nell’aria una corrente di elettricità poco trascurabile.

Willow si fermò un momento davanti all’ingresso

“aspetta, controllo la posta!”

e Spike la fissò a metà tra il distratto e l’irriverente. “non credo che i postini abbiano cominciato a fare giri notturni!”

e Willow lo guardò a sua volta come se fosse un bambino, molto, molto poco furbo.

“stamattina non ho avuto il tempo di controllare! Ed è dalla settimana scorsa che aspetto”

Spike riemerse dalle riflessioni in cui era sprofondato. Questa valeva la pena di ascoltarla bene!

Cosa ci poteva essere di tanto importante in una busta da controllare con tanta meticolosità?

“che ci può essere di tanto importante in una busta da controllare con tanta meticolosità?”

chiese con finto disinteresse

e ancora una volta Willow lo fissò come si guarda un bambino che non capisce.

Dimenticandosi assolutamente che quello era un demone che era al mondo da anni prima che sua madre nascesse.

Come era facile lasciarsi ingannare dagli occhi lucidi di speranze represse e da tutta l’umanità che sembrava circondarlo come una patina trasparente.

No, non trasparente. Argentata.

Aspettò pochi attimi prima di riprendersi dallo stordimento che sempre riusciva a provocarle, ogni momento che scivolava verso le iridi e, dopo, inesorabilmente, verso la bocca.

E disse “non lo so…il mio futuro, forse”

E non c’era ironia nella voce di lei.


“il tuo futuro, quindi! E cosa ti dice?”

disse alquanto aggressivamente Spike mentre tirava fuori dalla tasca dei pantaloni il pacchetto di sigarette e l’accendino.

Willow si perse lo spettacolo di lui che si accendeva la sigaretta e inalava una profonda boccata di fumo, intento a fissare un punto indistinto a metà del vialetto.

Con lo stile impeccabile e affascinante del predatore che sta per fare la sua mossa.

Ma vuole prima osservare distrattamente il terreno di caccia.

Era troppo occupata, lei, ad armeggiare con la cassetta delle lettere.

Spike sentì un gridolino di pura gioia mentre si voltava verso di lei e la vedeva saltellare sul posto come una piccola, deliziosa, bambolina d’altri tempi.

Con i capelli rossi che le incorniciavano i lineamenti, improvvisamente non più stanchi, e si avvolgevano intorno alle sue spalle e al suo collo.

Come l’abbraccio che lui avrebbe voluto regalarle.

“allora rossa, che cosa ti dice?” ripete mascherando il disappunto per quella che, lo sentiva, sarebbe stata un’intromissione nei suoi piani.

“mi hanno presa Spike! Mi hanno presa!”

“dove?” sibilò inquisitorio, con gli occhi ridotti a due strettoie impenetrabili e buie

“è una delle scuole di fotografia migliori del paese! Mio dio dicono che ho superato l’esame di ammissione!! Di ammissione, capisci!! Io che pensavo di fare schifo come fotografa! Che pensavo che sarebbe rimasta una passione, in fondo al cassetto! Nemmeno la volevo fare la richiesta d’iscrizione!” continuava a saltellare qua e la come impazzita.

E Spike venne assalito dall’impellente, assoluto desiderio di afferrarla. E fermarla.

E naturalmente, baciarla.

Vivere fianco a fianco, per il procedere del suo piano, si stava rivelando alquanto logorante per il suo autocontrollo!

Desiderare ogni momento di avvolgerla in una stretta vigorosa e imporle la resa totale.

Perché lui sperava ardentemente che Willow lo volesse come lui la voleva.

E si augurava che fosse con la stessa intensità!

Perché era stanco di gettarsi anima e demone e corpo in storie in cui veniva usato come ripiego fisico!

Perché stavolta era ben deciso a voler afferrare l’amore.

Oppure a distruggerlo la volta definitiva.

E sapeva che questo avrebbe significato…


“rossa. Preso, dove?”

Spike l’afferrò una spalla non troppo delicatamente per costringerla a fermarsi.

Ma lei nemmeno se ne accorse, presissima ad assorbire la gioia che scaturiva dalla busta di carta che era sigillata tra i suoi polpastrelli.

Willow si fermò un momento prima di guardarlo.

Solo un secondo prima di buttargli le braccia al collo e serrarlo in un abbraccio che comprendeva le scapole e buona parte della schiena. Quasi saltandogli addosso.

E in effetti sentendosi un tantinello sollevata da lui, mentre si rese conto di toccare il pavimento con le punte e di poter sentire gli avambracci di lui sostenerle la schiena.

“Spike mi hanno presa alla –St Julian- la scuola di fotografia di S Francisco!”

disse sul suo orecchio.

Mentre lui si irrigidiva.

E sentiva il vecchio William il Sanguinario ritornare prepotentemente a galla.

Mentre un moto d’insoddisfazione gli serrava la gola.

L’avevano presa.

Quindi se ne sarebbe andata.

E quella certezza lo colpì come una stilettata al petto.

Lo lasciava.

E se lo lasciava…avrebbe dovuto distruggere l’amore.

-ti prego Willow.

Ti prego resta.

E dimostrami che l’amore esiste. Che non mi sono mai sbagliato.

E che c’è posto per me nella tua vita.

E che più nessuno dovrà soffrire.

E che non dovrò uccidere l’amore…-


Improvvisamente Willow fu consapevole di quanto gli fosse vicina.

Di sfiorargli, quasi, lo zigomo con la guancia.

Consapevole del fatto che se si fosse voltato…

E soprattutto che il moto di felicità irrefrenabile che l’aveva colta alla sprovvista e implicitamente autorizzata a

-mio dio saltargli addosso!-

abbracciarlo vigorosamente

stava quasi svanendo. Lasciando il posto all’incertezza. All’imbarazzo.

Al vuoto che proveniva da lui. Come mancanza di qualsiasi emozione.


Spike sentì che la stretta si stava allentando e percepì chiaramente che tra poco l’avrebbe abbandonato.

La seconda volta quella sera.

E allora mandò al diavolo tutti i suoi beneamati ragionamenti.

Voleva Willow. Voleva l’amore.

E non voleva più soffrire, certo.

Non voleva essere respinto. E nemmeno detestato.

Ma sapeva che se non l’avesse fatto si sarebbe sempre chiesto se…

I se e i ma non gli erano mai piaciuti.

Come non gli erano mai piaciuti i rimpianti.

E così la trascinò praticamente di peso senza lasciarla andare, solo sollevandola un poco di più, verso qui tre metri di vialetto. Verso la porta di casa che sperava fosse, come al solito aperta.

Perché voleva, e doveva, baciarla.

Ma non voleva farlo alla luce sbiadita del lampione, davanti a case da cui potevano sbirciare occhi indiscreti.

Che potessero rubargli quel piccolo momento privato.

Non tanto per lei. O per loro.

Quanto per lui.


Gli venne quasi da sospirare per il sollievo di ritrovare l’ingresso effettivamente aperto.

Mentre si accorgeva che Willow non fiatava e che il suo cuore pareva volergli sfondare la cassa toracica ed entrare di prepotenza nel suo petto immobile.

Solo quando si richiuse la porta alle spalle le permise di ripoggiare sulle mattonelle le punte delle scarpe da sera.

Non troppo saldamente.

Perché per niente al mondo avrebbe rinunciato alla sensazione di sentirla tutta contro di se.

Che si puntellava contro di lui per rimanere in equilibrio.

Willow lasciò un poco la presa delle braccia attorno alle spalle di lui. E si sporse a guardarlo negli occhi. Vicinissimo.

Talmente da accorgersi che i suoi non erano di un colore umanamente definibile,

ma dipendenti da talmente tante sfumature di azzurro che poteva solo sperare di non precipitare in quel cielo che sapeva di mare e tempesta.

Vicinissimo.

Per sperare di capire cosa gli stava passando per la testa per afferrarla e trascinarla in casa così.

E capire.

Nessun pericolo, o demone, o cacciatrice nei paraggi.

Ma amore.

Nel suo blu profondo ora vibrava l’amore.

Come poteva essere stata così cieca da non averlo mai visto?

“Spike…” si decise alla fine a sussurrare

ma Spike non rispondeva. E la guardava.

E si mostrava così vulnerabile.

Bastò il contatto della mano di lei sulla sua guancia stanca a svegliarlo.

A ricordargli che quella splendida donna era tra le sue braccia e aspettava che lui facesse qualcosa.

Che la baciasse.

O che la lasciasse, rispettando un piano faticosamente stabilito.

Ma Spike non voleva avere rimpianti.

O maledirsi per occasioni perdute.

E così, mentre lei era ancora immobile, vera, stretta, a schiacciarlo quasi, tra il suo petto e la porta che stava dietro le spalle di lui

Spike si chinò quel poco di cui aveva bisogno per arrivare a toccare le sue labbra delicate.

Mentre una scossa elettrica, notevolmente superiore a quella che si era liberata poco tempo prima mentre camminavano affiancati, si librava sopra di loro.

E Willow si abbandonava completamente alla deliziosa sensazione di starsene appoggiata sui pettorali bronzei di un vampiro e sentirsi bellamente al sicuro.

Mentre si sollevava quanto più poteva, dimenticandosi che era già sulle punte e che quelle scarpe eleganti erano veramente scomode.

Per sentirlo vicino e gioire del contatto di quelle labbra fredde come la neve che sapevano di giovinezza dimenticata e segreti sussurrati. Mentre Spike le dava un pezzetto del suo cuore inutile e si prendeva in cambio tutta l’anima di Willow.

Mentre gli si aggrappava al collo per sostenersi e non vacillare, senza accorgersi che erano le gambe di lui a tremare leggermente.

Spike si sentì abbandonare da qualsiasi pensiero.

La sua mente era bianca mentre sentiva le labbra di lei che si dischiudevano leggermente e la sua lingua rosea scivolare fuori come un serpentello luminoso. E sfiorarlo.

Senza rendersi conto di contribuire alla sua autocombustione, se continuava così!

E una mano la teneva la schiena e la faceva aderire a lui come se volesse appropriarsi del suo corpo. E l’altra era salita a carezzarle la guancia bollente, per ricambiare il gesto di pochi secondi fa.

-mi ami?-

Spike sbirciò la porzione di viso che riusciva a vedere dalla sua posizione leggermente inclinata.

Senza staccarsi da lei.

Prima di soffermarsi sul pensiero improvviso che stava ricominciando tutto daccapo.

Rischiando di commettere gli stessi errori.

Una volta di troppo.

E decise.

Prima che il desiderio di ricambiare quel bacio. E poi di trascinarla sul letto.

-o il pavimento, o il divano-

diventasse troppo insopportabile.

Sistemò le sue braccia sulle spalle di lei, e poi le estese in tutta la loro lunghezza.

Per mettere almeno una distanza ragionevole tra loro.

Lasciando la sua bocca e Willow che, come un neonato a cui viene strappato il ciuccio dalle labbra infantili, si protese verso di lui con il viso.

Prima di sentirsi mormorare da un paio di occhi bassi

“mi dispiace”

e di accorgersi di essere rimasta sola nella stanza.

Con i piedi ben piantati a terra e l’umiliazione a colorarle le guance…


Era entrata di filato nella sua stanza.

Aveva passato una notte insonne.

Era precipitosamente uscita appena sorto il sole.

E aveva camminato.

E pensato.

E ancora camminato.

Ed era arrivata sotto il suo olmo rugoso. Sfinita.

E lì si era fermata.

A occhio e croce almeno tre ore e mezza prima.


Questi erano stati gli eventi delle ultime ore. Riassunti in ordine d’importanza, oltre che, stranamente, cronologico.


La voce di Spike che ripeteva –mi dispiace- le tormentava le orecchie.

E le offendeva la sua dignità di donna.

Ebbe quasi la sensazione di sentirlo di nuovo; in quel preciso momento. Sotto quelle foglie, di quell’albero che cominciava già a ingiallirsi.

“mi dispiace”

“ti dispiace un corno!” esclamò ad alta voce, per rispondere alla frase insistente nella sua testa

“ehy!” esclamò Spike a due passi in linea d’aria da lei “diventiamo aggressive?”

Willow si rimise seduta di scatto. Incapace a credere alle sue pupille.

Mentre qualche foglia le ricadeva dai capelli legati e il maglione sembrava aver cambiato colore a causa del terreno umido che ci si era appiccicato.

Ma tutto questo a Spike sembrò non interessare, mentre le porgeva una mano per farla sollevare.

E la abbracciava fraternamente sussurrando appena “mi dispiace piccola. Mi dispiace davvero.”


L’incredibile sollievo che Spike aveva provato nel vederla sotto il suo albero, non era comprensibile.

Quando si era finalmente deciso a mettere un piede fuori dalla sua stanza, aspettandosi di venire scaraventato fuori da un paio di braccia che potevano essere tanto quelle di Buffy, quanto quelle di Xander; o peggio, di Rupert Giles, richiamato dall’Inghilterra in diretta per partecipare a un consiglio di guerra, rimase sorpreso di trovare l’appartamento vuoto.

E, naturalmente, freddo.

Senza di lei.

Per la frustrazione quel che restava della notte lo aveva passato a rigirarsi nelle lenzuola.

Oppure a darsi dell’idiota.

E altrettante volte a dirsi che aveva fatto bene.

Poi finalmente aveva pensato a lei.

Pensato *altruisticamente* a lei. A come poteva sentirsi una donna sensibile

-una qualsiasi donna-

dopo che veniva trattata come aveva fatto lui poche ore prima.

E aveva sentito la rabbia e la frustrazione rompere gli argini del suo autocontrollo e rischiare di sommergerlo.

Aveva lasciato che il suo pugno serrato si conficcasse nell’anta dell’armadio a muro. Scheggiandolo in più punti.

Ed era rimasto a fissare il sangue che scorreva dalla sua mano dopo che, non contento, aveva sferrato un altro colpo nel muro. Fracassando intonaco e mattoni.

Oltre che le sue ossa.

Intrappolato dalla consapevolezza che fosse appena pomeriggio inoltrato e che avrebbe dovuto aspettare altre poche ore, per cercarla. E sperare che capisse ciò che non poteva spiegarle.

Andò dritto verso l’armadietto dei liquori.

E afferrò la prima bottiglia che vide. Certissimo –dannazione!- che non sarebbe stata l’ultima.


Camminare l’aveva sfinita.

E questo era l’unico motivo per cui si era decisa a fermarsi.

Perché se si fermava, pensava a Spike.

E le sembrava di scoppiare per la vergogna e la paura.

-che succede alla mia vita?-

Doveva continuare a muoversi. Parlare. Leggere. Vedere.

-in effetti c’è quel negozio, in fondo al viale…-

Muoversi.

Fare qualsiasi cosa.

Vivere.

Riprendere la sua normalità.

E lasciar perdere gli occhi blu e i capelli dalle tonalità di colore decisamente improponibile!

Ma non poteva.

Non ce la faceva.

-dannazione, è Spike!-

Così il pomeriggio stava passando come il resto di quella mattina.

Come il resto di quella disgustosa giornata.

Sfinendosi a furia di tenere la mente occupata.

Fino a che la voglia di piangere l’aveva sopraffatta.

E si era ricordata che c’era solo un posto in cui andare a piangere le donava un po’ di sollievo.

Il suo albero.

Il suo posto.

Si era accoccolata sulle sue radici, rannicchiandosi il più possibile perché cominciava ad avere freddo.

Alla pelle.

Oltre che al cuore.

E non c’era Spike. Come le altre volte.

-stupida! Stupidastupidastupida Willow!

Lui non c’è.

Non vuole esserci.

Ed è meglio così!-

Ma allora perché da che l’aveva pensato non riusciva a trattenere i goccioloni che prepotentemente le scivolavano via?

Si asciugò rabbiosamente la faccia. E desiderò non averlo mai rivisto.

Non aver notato il suo dolore.

O i suoi insopportabilmente umani difetti.

O il suo cuore, che sembrava proprio battere, nonostante l’evidenza dei fatti.

Desiderò che non fosse mai venuto dai lei!

Pochi giorni per scombussolare tutta la sua vita.

E meno di un istante per abituarsi al tocco delicato ma deciso delle sue labbra, delle sue mani.

-Spike!

Spikespikespike!

Mio dio perché?-


Era uscito sbattendo rabbiosamente la porta.

Maledicendo la sua incapacità cronica di sbronzarsi!

Era tentato di fare il pazzo.

Mettersi a correre. Gridare. Inveire.

Pregare, forse.

Tutto fuorché sentire il vuoto delle sue recriminazioni.

L’angoscia della sua paura.

Il terribile dubbio di aver sbagliato la sera prima.

La prima volta che permetteva ai ragionamenti di bloccarlo e gestire la sua esistenza al posto dell’istinto, della passione che lo animava.

La prima e l’unica volta. Se ricordava bene!

Andiamo l’aveva sempre detto!

-le seghe mentali sono la specialità di Angel!-

-non mie.-

-dannazione NON mie-

e invece per non sbagliare, per non pentirsi.

Per evitare l’eventualità di venire ferito…

-come se quello scricciolo potesse ferire qualcuno!-

l’aveva lasciata.

Aveva lasciato la sua bocca. E le sue mani.

Mentre tutto il suo essere urlava che l’unica cosa che voleva era possederla interamente.

-amore.

È questo che fa l’amore?

È questo che mi ha sempre fatto l’amore.-

La doveva trovare.

Perché era chiaro perfino ai sassi.

Che lui l’amava.

Che Spike amava Willow.

E che non glielo avrebbe detto.


Baciarlo.

Averlo baciato una volta sola.

E avere la sicurezza che non sarebbe mai più accaduto.

Non aveva mai pensato di baciare Spike prima di averlo fatto.

-bugiarda Willow!-

ma sapeva che non era umanamente sopportabile sapere di non poterlo fare mai più.

E piangeva Willow sotto il cielo che si scuriva.

Mentre le ombre del tramonto si allungavano. E svanivano.

E venivano sostituite da quelle dei lampioni.

E le lacrime si fermavano mentre capiva.

Era vero. Non l’avrebbe più baciato.

Ma era successo.

E poteva ricordare quel momento ogni volta che il dolore le batteva sul petto.

E quel momento non l’aveva sognato.

Poteva trovare la felicità.

Per di più tra le braccia di una creatura problematica e demoniaca. Senza che questo la spaventasse.

Quel momento nessuno gliel’avrebbe strappato dal cuore.

Quel momento.

La sera prima…


Eccolo il posto!

Aveva pensato di cercarla ovunque. E il posto più ovvio ce l’aveva avuto sempre sotto al naso.

Il vecchio olmo rugoso.

Spike sorrise involontariamente al ricordo.

Quando lei l’aveva trovato seduto al bar del Bronze. Solo.

E dolorosamente ferito, nel corpo e nell’animo.

Per la cacciatrice.

Gli aveva solo sorriso discretamente.

Quasi a chiedergli il permesso di disturbarlo con la sua sola presenza.

E Spike aveva annuito.

E lei l’aveva portato fuori dal locale.

Mentre lui si fermava dubbioso e le chiedeva cosa intendesse fare.

E Willow tornava indietro di pochi passi, e con una familiarità sconvolgente gli prendeva la mano.

“vieni.

Vorrei mostrarti un posto.”

Sembrava passata una vita intera.

Solo pochi mesi.

Una vita intera.

Prima del suo viaggio.

Forse era stato quello il momento…


Spike si riscosse.

Perché la vide asciugarsi lentamente una goccia bagnata che scivolava pigra sulla sua guancia.

Sembrando l’ultima di una lunga serie.

E allora l’aveva detto.

“mi dispiace.”

“…”

e l’aveva stretta.

“mi dispiace piccola. Mi dispiace davvero.”

Aveva mormorato sopra il suo orecchio.


Willow aveva cercato di sfuggire quel contatto, e appena si era resa conto di non potere perché le braccia muscolose di lui erano serrate delicatamente intorno al suo corpo aveva nascosto il viso nel bavero della sua giacca di pelle.

Stordendosi per quel profumo.

E aveva sentito le labbra di Spike descrivere un lento itinerario sui suoi capelli.

Le labbra di Spike davvero premute sulla sua fronte e poi sulla tempia.

E poi sullo zigomo.

Scendendo pericolosamente vicino alla sua bocca.

Ma fermandosi sulla guancia.

Spike si allontanò appena dal suo volto e la guardò.

-così…bella-

senza nemmeno sapere perché lei fosse tanto gentile da non assestargli un diretto al muso e buttarlo fuori dalla sua vita.

E gioiendo sensibilmente di quanto fosse stato fortunato.

E stringendola in un abbraccio vigoroso.

Un contatto di cui aveva bisogno per non impazzire. Perché se lei partiva i prossimi mesi sarebbero stati difficili.

Talmente preso dalle sue considerazioni da accorgersi solo troppo tardi che per un istante lei aveva ricambiato la stretta.


“quando partirai?”

la domanda era arrivata a bruciapelo dalle sue spalle.

Facendole cadere la tazza di latte che si stava preparando quella mattina.

Rendendola dolorosamente consapevole di quanto quella tazza rotta ai suoi piedi e i suoi pantaloni lilla resi candidi dal latte che li macchiava in alcuni punti le riportassero alla mente una sensazione di triste dejavù.

Sorrise senza gioia, mentre si girava.

Scoprendolo lontano da lei

-troppo lontano-

appoggiato vicino allo stipite della porta. Con le mani incrociate.

Che ignorava la familiarità di quanto appena accaduto.

“penso tra qualche giorno. Ho bisogno di sistemare le mie cose con calma!” rispose lentamente.

“lo immagino!” disse a sua volta lui, in quello che sembrava un ringhio soffocato.

Willow non era dell’idea di facilitargli la vita al momento. Per cui si mosse decisa a uscire dalla stanza. Ignorando quei cocci.

Passandogli accanto.

Ignorando lui.

Non aveva fatto che appena un paio di passi quando sentì la mano fredda di Spike insinuarsi prepotentemente sotto la sua maglietta, sulla sua pancia.

L’aveva bloccata quando lei gli aveva dato le spalle. Ed era così che erano rimasti.

Lui, apparentemente indifferente, che le stringeva la vita e piano la tirava verso il suo petto.

E Willow che, come in trance, si faceva guidare. Riprendendosi giusto in tempo per sentire i muscoli del petto guizzare sotto la camicia di lui, dietro la sua schiena.

Si permise il lusso di una battuta sarcastica “bella presa!”

Ma, come sempre quando commetteva l’errore di credere di conoscerlo, lui la sorprese con il suo tono e con quello che disse.

“mi mancherai.

Molto.

E volevo dirtelo nel modo giusto.

Ma poi ho capito che per come mi sono comportato, non c’è un modo giusto.

Per cui, ho risolto a modo mio.

Mi mancherai molto Willow.

Mi piacerebbe dirti che spero tu sia felice a S Francisco. Mi piacerebbe essere altruista.

Ma invece spero che tu stia talmente male da aver voglia di ritornare qui. Subito.”

-da me-

“Spike…è t-troppo difficile!

Io n-non ti capisco. Tu mi parli c-come se…

-mi amassi-

come se io contassi qualcosa.

Ma poi…”

Le morì la voce in gola.

-mi lasci. Mi ignori, non mi tocchi.

O se lo fai, mi tratti da sorella.-

“non ho mai detto che sarebbe stato facile!”

la strinse più forte, seppellendo il capo fra i capelli lunghi del suo collo

-parli come un’egoista Spike-

e a dispetto del suo atteggiamento tenero, le frasi che disse furono crude.

E vere.

E le disse senza muovere un muscolo.

Sentendo il sangue di lei correre veloce sotto quei pochi centimetri di stoffa e pelle sottile.

“io sono un demone. E tu fai di tutto per dimenticarlo.

Anche se ho un’anima

io sono un demone.

E non ho mai chiesto scusa per questo.”

Fece aderire sul collo di lei lo spessore affilato dei suoi canini.

Graffiandola intenzionalmente.

Senza approfondire il contatto e arrivare al suo sangue.

Mentre Willow rabbrividiva.

Era vero!

Spike era un vampiro. E anche se aveva un’anima, restava un demone. Con esigenze e ragionamenti di un demone.

-ma io ti amo-

-amore tienimi stretto-

e poteva ucciderla.

E non le importava.

-tienimi stretta. Permettimi di dimenticare chi sei veramente-

Spike la strattonò come se avesse intuito quel particolare pensiero.

Era stanco. Stanco di donne che s’innamoravamo di lui. Credendolo diverso.

Donne che venivano conquistate dal fascino del male. Dai suoi occhioni blu.

Dallo spirito disperato che emanava.

Dal poeta maledetto.

Dal suo aspetto. Che lasciava intravedere il ragazzo e nascondeva il demone.

Donne che non lo avevano mai amato nella sua completezza.

Donne che prima o poi si stancavano. O scoprivano che lui era diverso da come avevano creduto.

E lo lasciavano.

Riducendo in cenere e lapilli un cuore che, a dispetto di tutto, vibrava di sentimenti.

Un cuore umano. In un corpo ingannevolmente demoniaco.

Un cuore demoniaco in un corpo ingannevolmente umano.

E con quella particolare donna, che stringeva in quel particolare momento della sua lunghissima esistenza, non era disposto a essere tollerante.

Doveva accettare tutto di lui.

Doveva volere tutto il pacchetto: poeta fallito, uomo innamorato dell’amore, demone sanguinario e vampiro redento.

Se Willow voleva Spike avrebbe dovuto accettare quello che Spike era.

-fa che capisca. Chiunque io possa pregare. Fa che capisca-

“io.sono.un.demone.”

la girò in modo da poterla fissare.

“credi di stare guardando il mio volto?”

la strattonò di nuovo

“ti sbagli.

Questo è il mio vero volto”

E mentre lo diceva trasformava i lineamenti.

E la vide piangere senza espressione. Come se le lacrime scivolassero sulla pelle di lei di autonoma iniziativa.

-bene. Completiamo l’opera-

“vorresti baciarmi Willow?”

e di nuovo la scosse

“vorresti baciarmi ORA rossa?”

Willow era impietrita.

La verità era quella che Spike già sapeva.

Lei non poteva amare il demone.

Lei non poteva guardare William il Sanguinario e vedere Spike.

Spike e quel…mostro. Non erano la stessa cosa.

Non erano la stessa cosa.

Non erano la stessa cosa.

“no!” gridò.

-non sono la stessa cosa!-

E lo gridò con tutte le sue forze.

Senza essersi resa conto che con quelle semplici maledette due lettere aveva risposto anche alla sua domanda.

E Spike abbassò il capo e indietreggiò, lasciandola.

Ritornando a sentirsi fragilmente umano.

Credendo quasi di poter sentire il suono del suo cuore ferito che smetteva di battere.

La verità era che lei l’avrebbe baciato. Se solo avesse capito con un istante di anticipo…

Lo vide rientrare nella cucina. Mentre afferrava il manico del coltello che sporgeva dalla piccola scaffalatura di legno.

Lo vide ritornare verso di lei.

E il panico come un’onda oscura, fredda e sorda, la invase.

Soffocandola.

Convinta che Spike l’avrebbe uccisa.

Non voleva essere uccisa dalla creatura che amava.

Strinse gli occhi Willow.

Serrandoli.

Ma impedendosi di urlare.

Gridare a se stessa, nella sua testa, che qualunque cosa le avesse fatto lui, lei non avrebbe dovuto urlare.

Perché gli aveva fatto già tanto male con un unico, singolo, grido. Due misere lettere.

-no-

che gli rimbombavano nella mente.

Spike le afferrò la mano e incise profondamente una linea stretta al centro del suo palmo.

Da pollice a mignolo.

E poi la fissò mentre lei si abbandonava contro la parete senza emettere un fiato.

E con gli occhi chiusi non lo vedeva compiere su di sé lo stesso gesto.

Senza emettere un fiato.

Ma lo sentì riafferrarle la mano, che le bruciava.

E far combaciare le due ferite.

Sangue su sangue.

Demone e uomo.

Le mani di lui strinsero ferocemente la sua.

Mentre una scossa la stravolgeva. E sentiva qualcosa di Spike entrare dentro di lei con un sibilo furioso.

Mentre un dolore sordo e muto la sommergeva.

E perdeva il controllo dei suoi muscoli. E si afflosciava come una bambola rotta.

Mentre lui sussurrava.

A pochi millimetri da lei.

Lo sapeva.

Lo sentiva.

“in qualsiasi posto…

…Questo sarà per sempre.”

Furono le uniche parole che riuscì a cogliere. Prima di svenire.


Spike la guardava.

Un fagotto di poco peso che giaceva a terra.

Sconvolto, incredulo.

Impossibile.

Quello che aveva fatto. Mischiando il loro sangue.

Non era un rito. Non era niente.

Lui non en sapeva niente di stregonerie e sortilegi.

Ma aveva voluto legarla a lui.

Di fronte all’impossibilità di morderla.

Perché il morso non significava solo uccidere con classe. Per un vampiro.

Il morso poteva rappresentare un dono.

Un legame inscindibile.

Ma che non si pretende.

Una preghiera che si richiede al cospetto dell’amore, adoranti.

Un vincolo che deve essere voluto da entrambi.

Vittima e carnefice.

Uomo e donna.

Il morso rappresentava l’eternità.

Il –per sempre- in cui Spike non aveva mai smesso di credere.

E Willow non lo voleva.

L’amore non lo voleva.

Doveva smettere di provarci. Sciocco idealista!

Si passò le mani rabbiosamente sul volto.

Sorprendendosi di trovarle bagnate.

Piangeva.

Lacrime rosate.

Ed era tanto stanco.

“non ho mai creduto negli addii” mormorò alla stanza. Che pareva vuota.

Ma la vita vi palpitava dentro.

La vita ci era rimasta intrappolata.

“Spike” un flebile mugolio, appena percepibile.

E come sempre, Spike ritornò sui suoi passi.

E se la tirò in braccio. E la portò a letto.

Semincosciente.

“Spike”

-ragazzina…-

Willow lo fissò senza in realtà vederlo veramente.

“io ti amo…”

mormorò prima di scivolare nel sonno.

E lui fu davvero felice di sentirglielo dire.

In un certo senso, aveva saldato i conti!

Si abbassò per guardarla meglio.

Fissarsi nella mente ogni insignificante particolare.

Quello era il viso dell’amore.

L’ultimo che avrebbe visto.


§§§


La nuova casa le piaceva.

Arredata con scarsa originalità dal proprietario che gliela aveva affittata, in effetti.

-non si può avere tutto, e poi a questo rimedio io!-

Ma spaziosa. E fresca di venticello notturno a tutte le ore.

E poi il balcone…

Aveva un balcone che affacciava sul cortile interno di quel palazzo ultramoderno, ma realizzato evidentemente secondo canoni tradizionali.

Pieno di vasi di fiori. E piante.

Che le ricordavano moltissimo il suo vecchio giardino.

Luminoso.

Rise.

-Spike non potrebbe goderselo!-

e come sempre negli ultimi mesi, quando le tornava alla mente il vampiro, una morsa le serrava il petto e le lacrime iniziavano la loro inesorabile discesa sulle sue guance.

Non era rimasto.

-e io gli ho detto che lo amavo-

Non era rimasto.

-e io l’avrei baciato…-

-avrei baciato ogni cosa di lui-

-se solo mi avesse dato il tempo…-

e a quel pensiero una parte di lei si rallegrava, gioiva.

E a Willow piaceva pensare che era la parte di Spike che ormai si portava nel corpo, a gioire a quel modo.

-Spike-

e a Willow piaceva pensare che Spike in qualche modo sapesse la verità.

Che lei lo amava interamente.

O almeno, credeva di poterlo fare.

E che tornasse.

Non passava un giorno intero senza pensarci.

Certo, ormai si stava abituando, aveva una vita così piena, erano passati due mesi e mezzo.

-73 giorni e 22 ore-

era normale smettere di soffrire prima o poi!

-non posso impazzire così-

E i suoi studi di fotografa la impegnavano molto, non le davano troppo tempo per pensare

-per piangere-

Era felice.

-mi manchi-

Andava tutto bene.

-mi manchi amore mio-

Si sfiorò il guanto di pelle che aveva preso l’abitudine di portare.

Per coprire il segno.

Davvero troppo doloroso.

Avere costantemente sotto lo sguardo ciò che poteva essere…

Meglio coprire.

Dimenticare.

Vivere.

Tempo, tempo. Aveva bisogno di più tempo.

Ma dimenticare il sangue che le scorreva nelle arterie era impossibile.


-dove sei Spike? Cosa stai facendo?

Sei solo?

Io ti amo.

Tu mi ami ancora, mi ami?

Mi hai mai amata veramente Spike?

Tu non sai mentire.

Ma non mi hai mai detto di amarmi.

Io te l’ho detto.

Me lo ricordo, sai. Il momento.

Mentre scivolavo sul pavimento e il tuo sangue già m’intossicava.

Te l’ho sussurrato appena ho capito che saresti uscito dalla mia vita.

Dalla mia casa.

E tu sei tornato indietro il tempo di mettermi a letto. Il tempo di condannarmi.

Con le mie stesse parole.

Perché sai, io non pensavo di amarti.

Ma poi l’ho detto, e ci ho creduto. E mi è sembrato così vero.

E ora mi sembra d’impazzire. Mentre sento la tua passione dentro di me.

Mentre ti sento gridare.

Provi dolore Spike, mentre uccidi?

Sei sorpreso?

Ormai ti sento.

Ti sento nelle viscere. E so quello che fai.

So che sei vicino.

Ma non ti farai vedere.

O forse lo farai.

Ti troverò una di queste sere davanti alla mia porta.

O forse dentro. Se il mio invito di quella sera è valido per ogni abitazione.

Non ho mai capito come facevi a entrare a casa mia. Senza bussare.

Possibile che tu abbia sempre trovato la porta aperta?

Possibile che tu sia strisciato con la stessa facilità dentro il mio cuore?

Come ora strisci dentro al mio sangue.

Ti sento Spike.

Ti sento dappertutto. E mi piace, mi consola.

Mi illude che sei in qualche modo con me.

Spike.

Come amo pronunciare il tuo nome.

E tu mi senti?

Qualche volta almeno.

Mentre di notte sfiori veloce le ombre di quelli che azzanni.

Perché lo fai Spike?

È colpa mia. lo so.

Ti ho tolto la speranza.

Io ti amo Spike.

E non ti giudico.

E ti darei la mia vita.

Se tu me la chiedessi.

Mi senti amore?-


Come dopo una colossale sbronza la vista gli si appannò.

E fu costretto ad appoggiarsi al muro del vicolo fatiscente.

Gettò uno sguardo al corpo inerme della ragazza che giaceva accartocciata ai suoi piedi.

E sorrise.

Uno dei suoi incomparabili sorrisi.

Solo che la donna a cui era dedicato non poteva vederlo.

Le orbite chiuse e vuote sembravano quelle di una statua di cera.

La donna che aveva appena ucciso.

Era bellissima.

I suoi capelli bruni ora si allargavano come un tappeto lucente nel fango.

Mentre Spike si chinava a carezzare la braccia nodose della giovane ai suoi piedi.

Nodose come il resto del corpo alto e sottile.

Si rammaricò Spike. Di non poter ammirare ancora una volta gli ipnotici occhi verdi.

E poi si mantenne la testa fra le dita.

Gli doleva.

Come il resto del corpo.

Come il resto del suo essere.

Che si ribellava a quello che aveva appena compiuto.

Come la sua coscienza. Che gli serrava le membra, e le intorpidiva.

Ecco quello che voleva: stordimento.

Voleva dimenticare.

Dimenticare Drusilla. Buffy. Cecily.

Voleva assolutamente dimenticare Willow.

Erano i loro volti che ricercava ogni notte.

Uno sguardo brillante di smeraldo.

Una chioma riccia.

Un corpo levigato e snello.

Una pelle candida e un manto scarlatto.

Le uccideva ogni notte.

Solo perché assomigliavano alle donne che lo avevano ucciso.

Consapevole che a nessuna di loro, delle vere responsabili, avrebbe mai potuto far del male.

Perché le amava.

Continuava ad amarle.

A sognarle.

Le donne del suo lungo cammino.

Era così stanco.

E con nessuna di loro aveva ottenuto quello che bramava.

Con tutte loro aveva fallito e l’amore l’aveva sconfitto.

E lui lo uccideva. O cercava di ucciderlo.

Ogni notte.


Si richiuse la porta del suo covo alle spalle.

Aveva ripreso a vivere da vampiro. Niente più sciocchezze tipo –ho un’anima!-

Gli pareva di ricordarla quella frase, l’aveva detta ad Angelus. Quando era tornato.

E si era ripreso la sua Drusilla.

Tutto era andato a puttane da quel momento.

Una lenta discesa verso l’autocompatimento. Verso la cacciatrice.

Dritto dritto tra le braccia di quel demone che gli aveva restituito la sua anima.

Ancora una volta nella sua esistenza. Tutto per amore.

A cominciare dall’istante in cui aveva visto Cecily.

Per concludere il cerchio. Ritornare all’inizio. Giochi finiti.

Nell’istante in cui Willow l’aveva rifiutato. E poi gli aveva detto che lo amava.

E a lui non era bastato.

Perché Willow non amava la creatura Spike.

Willow forse amava l’umano William.

Ma temeva e –probabilmente- disprezzava il demone Sanguinario.

E c’era tanto altro ancora dentro il baratro dei suoi occhi. Cose che non aveva mai lasciato che gli altri vedessero…

-lo sai piccola cosa faccio adesso?

Cosa sono tornato ad essere?

Prendo la mia anima a calci e mi ritrovo tra le macerie del mio essere.

Non dormo più.

Non posso pensare di dormire. Ma è inutile!

Le rivedo ogni volta che mi distraggo. Ogni volta che non controllo la mia mente.

Le mie vittime.

Che esigono il prezzo del dolore.

Così come io ho fatto loro pagare il mio.-


-Mesi.

Passano. E mi pesano.

Come se dovessi morire da un momento all’altro.

E sapessi che li sto sprecando.

Torna da me Spike.

Anche solo per uccidermi.-


-Lo so cosa vorresti dolcezza!

So cosa stai pensando.

Mi guardi ballare. Mentre sei seduta al bar di questo postaccio.

Devono proprio piacerti i posti pericolosi se sei entrata qui dentro.

Ti piaccio, lo sento.

Mi desideri, lo so.

E anche io potrei desiderarti.

Ma al momento è il tuo sangue che mi preme.

Ti volti di scatto quando mi sorprendi a fissarti.

Esattamente come lei.

Mi vuoi, ma non puoi accettare che io ti voglia con lo stesso disperato bisogno.

Non puoi accettare di volermi.

Perché non sono alla tua altezza. Non mi reputerai mai alla tua altezza.

Io sarò sempre quello un gradino più in basso, a cui potrai fare il favore di concederti.

Mi guardi sprezzante.

O forse sarò una buona scopata.

E ti alzi.

Con una muta richiesta di desiderio inappagato nello sguardo.-


-Certe volte è un sollievo.

Osservo gli uomini che mi guardano. Con aperto interesse.

E finalmente non provo imbarazzo.

Mi piace guardarli a mia volta. Ho smesso di cercare di capire cosa sia successo con Tara.

Non mi chiedo più se c’è qualcosa di sbagliato in me.

O se questa era la naturale e fin troppo ovvia conclusione della mia storia.

Dopo un tuo bacio.

Un bacio così lieve. Alla fin fine più mio che tuo.

Non posso pensare di amare una donna.

In effetti non posso nemmeno pensare di amare qualcun altro…

Spike, ti amerò sempre?

Era questo che volevi dirmi?

“in qualunque posto.per sempre”

significava che mi avresti bruciato nel corpo, per tutta la mia vita?

E dopo?

Quando morirò?

Ma tu verrai a cercarmi prima o poi.

Tu mi stai punendo e io…

Devo solo aspettare.-


-Vorrei poterti spiegare.

Vorrei non sentire più dolore.

E vorrei cancellarti. O cancellare me stesso.

Mi bruci dentro. Come un veleno che profuma di lavanda.

Il tuo odore mi sembra di trovarlo ancora tra le pieghe consumate del mio spolverino e la mia pelle vecchia di secoli.

La notte soprattutto.

Quando resto sveglio.

Quando la rabbia è sopportabile e non uccido.

Mi vieni in mente con i tuoi occhi grandi e il cuore tra le dita.

E la mia anima tra i palmi.

Forse è per questo che faccio quello che faccio.

Ti ho lasciato la mia anima nel petto. L’ho persa.

E tu me l’hai gettata in faccia.

Eppure ti amo.

O, forse, non ho la forza di odiarti.

Mi bruci dentro.

Mi dissecchi lentamente.

Avvampi come un fuoco di sterpi che distrugge un granaio.

Nella mia testa. Nei miei pensieri.

Nel mio corpo.

Nel mio corpo maledetto.

Io so quello che sono.

Tu…

Vuoi davvero sapere cosa ho fatto della mia esistenza?

Vuoi davvero amarmi e sapere chi sono?

Sto tornando.-


§§§


Il suo appartamento quella sera aveva perso ogni remota attrattiva.

Era stata una giornata alquanto massacrante, e l’unica cosa che aveva desiderato fino a quel momento era stata raggiungere la metro più vicina e buttarsi sfatta e sfinita sul letto.

Poi l’aveva visto.

Fermo. Appoggiato alla parete di fondo del corridoio che portava alle scale mobili.

Che fissava il punto esatto in cui sarebbero stati i suoi occhi prima ancora che lei sbucasse da dietro l’angolo.

Per lei. Solo per lei.

Strafottente, in una delle sue pose più elaborate e studiate.

Con le mani in tasca e l’immancabile sigaretta distrattamente tra le labbra.

E il capo morbidamente rilassato contro la parete sporca del muro dietro di lui.

In un atteggiamento indecifrabile.

Piacevolmente ingannatore.

E gli occhi che parevano affilati come stiletti, per come l’avevano ferita.

Lacerata da parte a parte.

-Spike-

Aveva atteso che l’ultimo dei pendolari si allontanasse prima di allungarsi verso di lei con

l’eleganza e lo stile di una pantera indecisa.

Mentre Willow rimaneva assurdamente immobile incapace anche solo di sopportare il movimento dei suoi polmoni senza finire in pezzi.

Spike aveva raggiunto l’angolo in cui lei era ferma in poche mosse feline e ora le si tendeva con un sorriso freddo sul volto.

-occhi così freddi-

“sono qui per te.”

E dal modo in cui l’aveva detto non si comprendeva se per ucciderla o baciarla.

-il Sanguinario in persona-

e a Willow non era importato.

Perché era di nuovo vicino a lei, e il suo sangue lo riconosceva. E le cantava nelle vene.

Lo vide distrarsi seguendo con lo sguardo il ticchettio di una ragazzina in ritardo che affannava nelle sue scarpine. Molto carina.

-più carina di me-

E ne fu comprensibilmente gelosa.

E provò a incenerirla con gli occhi. Ma lei non era brava come Spike.

“penso che la consumerai se continui a guardarla così!

L’ho sempre sospettato che avevamo gli stessi gusti!”

Aggiunse fingendo volutamente di non aver afferrato il senso della sua reazione.

E Willow si mosse. Accettando la provocazione con un sorriso.

Allungandosi sulle punte delle scarpe da tennis bianche per guardarlo meglio e osservare i cambiamenti che potevano essere avvenuti in quei mesi.

Cercando tracce di lacrime e dolore.

E segni di morsi e baci.

Trovandolo immutabilmente perfetto.

“cos’è? Cambiato gusti?

A giudicare da come mi guardi sembra che io ti piaccia!”

“ti devo un bacio” disse lei semplicemente.

Se possibile, sorprendendolo.

“come dici rossa?”

“ti devo un bacio Spike.”

La baciò mentre la spingeva verso il muro e affondava le mani nei suoi capelli per accostarla con violenza alla sua bocca.

“penso che mi devi qualcosa di più!”


Ed era come perdersi.

Cadere nel buio e sentire che era morbido e cedevole come la neve.

Come le braccia di Spike.

E il mondo perdeva consistenza. Loro esistevano.

Lui esisteva. Willow veniva quasi inglobata dal corpo di Spike. Che premeva sulla sua pelle con l’urgenza del desiderio.

E dopo di lui, dopo l’intreccio delle loro gambe e delle loro mani, non esisteva altro.

Niente era reale. Se non la bocca di Spike che cercava la sua.

E gli occhi di Spike che la guardavano senza luce.

Spike aveva perso la sua luce.

-nonono-

“Spike…”

Willow lo fermò allontanandosi appena. E stranamente Spike cedette.

Lasciandola senza esitazioni. Come se sapesse.

“…io non so più chi sei.”

“tu lo sai.”

“io non so un bel niente!” le mani strette in due pugni e la frustrazione a colorarle le guance

“tu lo sai che questo è un addio.”

Non aspettò che la paralisi improvvisa e terrificante lasciasse le membra di lei.

Quando i contorni del mondo tornarono nitidi Willow sentì la frase ripetersi amplificata e sconvolta nella sua mente.

-se n’è andato-

incredulità, dolore, dubbi e dispetto

-è finita-

quando fu in grado di cercarlo fra le luci al neon del sottopassaggio si accorse che erano rimaste solo le tristi e ridicole scritte sui muri a farle compagnia.




SECONDA PARTE


Era appoggiato svogliatamente contro il tronco di un albero.

Mentre stringeva tra le dita la sigaretta che ormai si andava consumando.

Senza fumarla.

Spike sembrava un fantasma.

Pallido. E stanco.

Ferito e incredibilmente intenso.

Solo.

E questa non era una cosa a cui era più abituato.

Perché il pensiero di lei non lo lasciava in nessun momento della sua giornata. Nemmeno quando dormiva.

Anzi, erano i sogni i momenti più dolorosi…

Solo.

Guardò velocemente la casetta deliziosamente finta da cui s’intravedeva la giovane donna bionda parlare animatamente al telefono della sua cucina.

Sorrise.

Se Buffy era stata la causa, forse sarebbe stata la soluzione.

Forse poteva sperare di chiudere i conti.

La partita era quasi alla fine.

Ma lui doveva ancora giocare il suo asso.


***


Guardava fuori dalla finestra.

Ferma, in attesa.

Non pensava che sarebbe stata così in ansia.

Eppure lei era sempre stata una persona ansiosa.

Aveva cominciato a provare nostalgia. Da tempo.

Di casa, di concretezza.

Di amici.

Le cose spiacevoli venivano annullate da quelle dolci e sincere.

E la lontananza mostrava solo il rimpianto del passato permettendo l’abbandono ai ricordi.

La lontananza faceva sembrare la vecchia vita desiderabile.

Aveva pensato di tornare a Sunnydale.

E aveva rinunciato.

Ma non poteva vivere come faceva.

Ignorare il mondo che nasceva dal buio.

Ripensava alla telefonata di poche ore prima. Alle parole sussurrate tra i singhiozzi, certa che dall’altra parte del filo solo una scarsa parte del suo sconclusionato discorso veniva degnamente afferrato…

Eppure aveva detto che sarebbe stato lì appena possibile…

Poche ore, aveva detto.

E le sembrava di aspettare da una vita.

Ma sentiva di aver preso la decisione giusta.

Tutto pur di ridare un senso alla sua esistenza.

Tutto pur di evitare che i prossimi anni assomigliassero anche solo lontanamente a quel sopravvivere inerme che era stata la sua vita negli ultimi giorni.

Millenni da che Spike l’aveva abbandonata contro il freddo muro di uno squallido sottopassaggio grigio.

Non poteva rimangiarsi il bene che aveva fatto e che ancora poteva fare.

Non poteva perderlo…

Sobbalzò al rumore secco e preciso delle nocche di una mano che bussavano sul legno di una porta.

Dandosi mentalmente della stupida.

“scusa, sono in ritardo.” disse la voce

“n-no. È che s-sono abituata alle tue entrate ad effetto! Non immaginavo bussassi!”

“non posso volare dalla finestra…”

“hai ragione” una risatina nervosa cercò di mascherare il guazzabuglio di sentimenti che l’agitavano, facendola sbandare come una banderuola in preda al vento dell’oceano

“già…”

la figura continuava a tenersi a distanza.

Eppure anche da lì Willow avrebbe giurato che i suoi occhi fossero puntati in direzione della sua mano guantata.

Istintivamente si portò le braccia al petto, incrociandole.

Per proteggersi da quegli occhi scuri come inchiostro nero che brilla dei riflessi del vetro di un calamaio.

“…e quindi ti ha lasciato.”

“c-come puoi saperlo?”

“è chiaro.

Odori come…di sconfitta”

“si, l’ha fatto.”

“e tu vuoi sapere da me se c’è speranza…”

“no, Angel. Voglio solo venire via con te”


§§§


Qual’era stato il momento?

Quando aveva deciso di cambiare di nuovo tutta la sua vita

e cercare la serenità accanto a un altro vampiro?

Era stato quando aveva capito che aveva perso Spike per sempre?

O forse quando aveva visto che la sua vita stava perdendo di significato.

La fotografia non la realizzava, S. Francisco non la realizzava.

Perché aveva smesso di fare quello che sapeva fare meglio.

L’unica cosa che avesse mai fatto da che era stata ragazzina.

Salvare il mondo.

-certo, quando non sono impegnata a distruggerlo di mio!-

forse sarebbe andata da Angel comunque. Anche se Spike non…

-se tu fossi qui…amore.-

forse sarebbe passato il dolore prima o poi…

-o forse un giorno la mia pelle perderà il tuo odore e le mie labbra non ricorderanno più che sapore avevi…-


Infilò il giacchetto di lana sottile lilla e uscì dalla sua camera al terzo piano dell’Hyperion.

Cercando Angel. Trovandolo nell’unico posto in cui non poteva non essere.

“disturbo?” chiese timidamente mentre entrava nello studio immerso nella tiepida oscurità

Angel alzò gli occhi dal volume che stava studiando

“Will…vieni, entra pure”

il vampiro si stropicciò gli occhi.

“trovato niente?”

“non esiste nessun tipo di riferimento alla Bestia in tutti i testi che ho consultato…” sospirò frustrato “…e non è di questo che vuoi parlare!” concluse

“oddio Angel, devo sembrarti un’insensibile egoista! Tu sei qui per arginare questa nuova apocalisse che sta per travolgerci tutti e nello stesso tempo indovini che sono qui perché le mie viscere si contraggono dolorosamente ogni minuto che passa senza toccarlo…

Devo sembrarti un’insensibile egoista, tu stai affrontando questa situazione terribile con Connor e Wesley e questa Bestia e io dovrei aiutarti, cercare di scoprire cosa vuole e chi è e come può aver oscurato il sole e cosa possa succedere…e invece sto a languire nella mia stanza mentre soffoco alla ricerca d’aria e mi sembra che tutto il mondo perda significato perché…”

“…perché stiamo per morire?” le chiese con una discreta dose di sarcasmo

facendola avvampare fino al midollo

quasi costringendola a rispondere con quello sguardo obliquo e gentilmente indagatore.

“No. Perché Spike non è con me”

Angel sorrise leggermente, comprensivo

“mi sono sempre chiesto perché facesse quest’effetto sulle donne…”

“Spike?”

annuì. “è sempre stato uno che difficilmente passa inosservato,con quei capelli poi…

ma da qui a provocare…”

gli bastò un’occhiata

“Scusa. Non era mia intenzione sminuire i tuoi sentimenti.”

“miei? Solo miei?

tu credi ancora che lui non provi niente. Che sia solo io, povera piccola sciocca, ad essere innamorata…

poteva uccidermi. E invece mi ha solo ferito”

“mischiando il vostro sangue. Rischiando di trasmetterti il suo demone”

“e forse l’ha fatto. Come ultimo atto d’amore per lasciare che io abbia sempre vicino qualcosa che gli è appartenuto!”

“quello che io so e che tu ti rifiuti di vedere è che quelli come Spike non cambiano. Non possono amare. E ricadono sempre nella dannazione.” la provocò volutamente

“quelli come Spike…i vampiri. E tu? Tu puoi amare?

O già certo, no. Non puoi. È per questo che hai lasciato Buffy.

Salvo poi finire insieme ogni volta che vi vedete. Non mi sembra tu abbia dato questa grande svolta!

Lui ha l’anima Angel. Come te.”

Lo stupore dimorò negli occhi lontani solo per qualche attimo.

Cocciuto Angel, ma niente lo intimidiva se doveva scuotere quella ragazza dal suo torpore.

“e questo non cambia le cose.

Non può amare. Non può stare con una donna senza farla soffrire.

O senza desiderare di trascinarla con sé nelle tenebre.

Non può essere amato.”

“e scommetto che invece tu puoi?”

“io sono quello che vedi. E come mi vedi.

Non ho nient’altro!

Vedi forse qualche donna vicino a me?”

“io ti vedo…solo.”

“è proprio questo il punto.”

Willow non si accorse che era uscito.

Sentì solo la porta chiudersi. E la certezza del suo cuore di aver ferito il vampiro sbagliato.


Lo trovò seduto di nuovo nel suo studio, solo poche ore più tardi.

Sembrava un replay.

“p-posso entrare?”

“certo” distaccato e freddo.

“Angel…”

“lo so Willow. Credi che sia così stupido? Non stavi ferendo me.

Ma posso dire in tutta ammirazione che ci sei riuscita bene comunque”

“mi dispiace. Io volevo che tu mi spiegassi. Che mi dicessi quello che sai di lui.

Per aiutarmi a capire…

-Per te è difficile parlare di lui…

…perché significa parlare di te.-

m-mi dispiace infinitamente Angel.”

“è solo un periodo difficile. E io ho esagerato.

Spike ha l’anima, non ero preparato a questo.”

Willow sembrò titubante. Non voleva nascondergli il passato di Buffy e Spike. E non voleva omettere la verità sul fatto che nel caso di Spike avere un’anima e tornare a uccidere non si erano dimostrate due cose incompatibili…

-ma se lo faccio Angel …

non posso.-

chiuse gli occhi per un istante, stizzita.

Lasciando intuire al vampiro che c’erano cose che non diceva.

Si riprese in tempo mostrandosi falsamente tranquilla. Comprensiva.

“immagino sia…devastante. Per lui.

Per te lo è stato, vero?”

“hai bisogno di chiederlo?”

abbassò la testa sconsolata “no, scusa. Di nuovo.”

“Willow penso che sia meglio che tu vada a riposare. O dovrò continuare a scusarti chissà fino a quando!”

“Angel…io…”

“va bene. Siediti” dopo averla fissata torturarsi le mani seppellite nel cardigan ormai sformato e troppo largo per lei, le indicò la poltrona

“ti aiuterò. Ti spiegherò quello che so.

Ma vorrei farti io una domanda.”

Willow annuì impercettibilmente

“perché sei qui?

Perché mi hai detto che Spike ha l’anima solo ora?

Le occasioni non ti sono mancate.

Sono mesi che ci teniamo in contatto Willow. Da quando ho avuto bisogno di te per Connor…”

“quando ho preparato quella pozione che permettesse a tuo figlio di ricordare chi sei. Che liberasse la sua mente dai condizionamenti di Holtz…

anche se ho fallito.”

“fammi indovinare: stai per dirmi che ti dispiace?”

Willow alzò il viso più che palesemente ferita verso di lui

“adesso tocca a me chiederti scusa. Sono molto stanco.

Ma questo non mi giustifica”

“non importa. Capisco che stai passando un momento difficile…forse Cordelia…”

“Cordelia è con Connor. Ha ricordato, e ha preferito restare con lui.”

“allora Wes…”

“Wes?

L’ho quasi dissanguato, sai?

Quando mi ha tirato fuori dalla cassa in fondo all’oceano in cui mio figlio mi aveva buttato senza tanti rimpianti.

E dopo io l’ho cercato solo per sapere se poteva aiutarmi con la scomparsa di Cordelia.

Non l’ho neppure ringraziato per avermi salvato…”

“ne hai passate p-parecchie negli ultimi mesi, eh?

F-Fred e Gunn?”

“fanno del loro meglio. Come Lorne. Ma è difficile per tutti. Sono stati soli…mentre non c’ero. Non è andata troppo bene neanche a loro”

“che posso fare Angel?” gli disse accostandoglisi e poggiando la mano tiepida e bianca sulla spalla possente


Angel la guardò bene prima di rispondere, cercando un qualche segno nel viso sano che smentisse il presentimento che aveva da che l’aveva rivista dopo la morte di Tara.

Dannato presentimento che poi era diventato certezza ogni volta che rivedeva il suo viso segnato da tratti troppo tirati per poter appartenere a una ragazza di vent’anni.

Tratti che gli ricordavano una vecchia stanca della vita.

Non se n’era preoccupato poi molto.

Willow aveva Buffy e i suoi amici a pensare a lei.

E lui invece aveva problemi seri.

Non ci aveva pensato che poche volte.

Fino a che non aveva sentito la voce rotta dal pianto durante quella telefonata.

Segnale che la corda troppo tesa di quel piccolo corpo stava per spazzarsi.

Solo in quell’istante si rese conto che era stato troppo occupato con i suoi problemi per aiutare la ragazzina dagli occhi puri e i capelli di fuoco.

Prima di provare un po’ di sconforto al pensiero che già Spike aveva fallito.

E sicuramente aveva provato con maggiore costanza a giudicare dall’amore che doveva provare per lei. E di cui lei assolutamente non si accorgeva.

“cosa puoi fare Willow?

C’è qualcosa che puoi fare per gli altri? Non riesci a far qualcosa neppure per te stessa!

Sei cresciuta Willow. Non che non me ne fossi accorto prima, ma ora è così chiaro.

Non sei la ragazzina che arrossiva solo alzando gli occhi su un ragazzo.

Perdutamente innamorata di Xander Herris.

O la migliore amica della cacciatrice.

Pulita e profumata di buono perfino nei momenti più bui.

Cosa è cambiato Will?”

“niente Angel.

O forse…Spike.

O forse…” e qui esitò “…spellare vivo –letteralmente- l’essere che aveva ucciso la donna della mia vita.”

Credette di poter provocare una qualche reazione di smarrimento, ma quello era Angelus.

Il Flagello d’Europa. Che certo non si sconvolgeva per un’opera da dilettanti come la sua…

Ed era Angel e, forse, non giudicava.

Aveva voglia di raccontargli ogni cosa. come si sentiva.

Il senso di colpa che la divorava e le teneva compagnia da che si era scoperta innamorata di Spike.

“m-ma non sono più tanto sicura di odiare Warren per quello che ha fatto…

perché se non l’avesse fatto, starei ancora con Tara…

e non mi sarei mai innamorata di Spike.”

Si coprì la bocca con le mani. Inghiottì più e più volte e pregò di potersi rimangiare l’atrocità che aveva detto.

Le mancò il respiro, si sentì soffocare per la sua cattiveria. La sua meschinità.

-se Warren non avesse ucciso Tara…

io non avrei avuto Spike…perché non avrei potuto mai e poi mai staccarmi da lei. Anche se non l’avessi più amata le sarei rimasta vicino.

Perché lei era tutta la mia vita.

Io non ero niente senza di lei-

Un singhiozzo più forte degli altri esplose tra le lacrime

“mio dio che cosa ho detto? Cosa ho pensato in tutti q-questi mesi?

Io non sono niente senza di lei!”

Angel la fissava impassibile

“devo essere un mostro…” provò a dire sperando che lui la smentisse

“cose che ho già sentito ragazzina.

Non sei un mostro.

Sei umana. E spesso può essere peggio.”

Angel parve magicamente accrescere la sua estensione. Riempire la stanza con la sua sola presenza.

Attraversarla con gli occhi d’abisso e di vento.


Vederla per quello che era.

Che aveva cercato di essere in tutti quei mesi.

Una ragazza che si butta alle spalle tutto il suo passato senza averci fatto i conti.

Che s’illude di essersene liberata. Che riscopre nuovi interessi e l’amore.

Che sembra vivere. Mentre dentro sta morendo.

Una ragazza che per quanto provi, non trova la felicità. Perché non riesce a vederla.

Non la vede nella nuova città, nel nuovo lavoro, nei nuovi amici. Niente la soddisfa.

Non la vede nell’amore. Perché non vede Spike, non lo riconosce.

Non riesce ad accettarlo. Perché non può accettare se stessa.

E boicotta la sua stessa vita.

Non si è mai perdonata di essere rimasta viva. Di non averla… potuta salvare.

E di averla vendicata rischiando l’inferno.

Mentre lui, Spike, l’aveva sempre vista per quello che era.

La deliziosa, pulita bambina dagli occhi di vetro dalle pagliuzze verdi e dorate.

La donna sicura e delicata. Forte e altruista.

Quella che un tempo sarebbe potuta diventare se le ceneri di tutti i drammi della sua vita non avessero opacizzato la superficie lucida della sua bellezza.

Spike la vedeva. Andava oltre il grigiore di quelle ceneri e amava la bambina smarrita e la donna.

In attesa che si risvegliasse.

Spike era stato paziente e quando non aveva più potuto attendere aveva cercato di svegliarla con il suo sangue.

Di ritrasmetterle la paura di perdere la vita, un dono prezioso che non si decideva a concedersi.

Aveva sperato Spike. E quando l’aveva rivista in quel sottopassaggio aveva capito che non era servito.

E aveva riconosciuto la sua disfatta nei confronti dell’amore.

E aveva lasciato entrambi al loro destino.

Willow e l’amore.

Entrambi con lo stesso volto.


La consapevolezza di tutto quello che le era capitato da che Tara era morta la fece vacillare.

Com’era possibile che non si fosse mai accorta che stava andando in pezzi?

Aveva sperato che il peggio fosse finito.

Come aveva potuto capire finalmente cosa di continuo le si agitava nel petto in quel momento?

Con Angel!

Come potevano quei due vampiri leggere dentro di lei così chiaramente?

L’uno sollevando il velo di polvere che copriva la sua anima e riconoscendola come compagna

E l’altro andare dritto al cumulo di menzogne che aveva costruito e abbatterlo con una sola frase.

Come potevano quei due esseri tanto distanti da lei capirla così profondamente?


“Willow io so cosa provi. Cosa cerchi di fare.

Mentire a te stessa peggiorerà le cose.

Accetta di aver sbagliato.

Credi nell’imperfezione umana. Cerca di capire te stessa.

E concediti il perdono.

Tu sei la sola che ti può dare quello che disperatamente stai cercando.

Ricorda, la comprensione è l’unica cosa che abbiamo il potere di concederci da soli.”

Willow lo guardò smarrita

“ma io n-non posso!

Come posso perdonarmi per quello che ho fatto?

Io ho ucciso. E dimenticato Tara.

E ferito Spike. Perché credevo di amarlo, ma non lo vedevo neppure.

Non potevo amare.

E lui l’ha capito e ha aspettato.

Mio dio lui l’ha capito. Ha capito che non era servito a niente.

Per questo mi ha lasciato. Non voleva che lo usassi.

Ed io lì a struggermi su quanto ero buona e capace di amare perfino un demone che mi faceva soffrire a quel modo…

Ero io il demone.”

Si accasciò disperatamente con un tonfo leggero sul parquè.

E guardò verso l’alto piena d’incertezze. Mentre la figura di Angel riprendeva dimensioni normali ai suoi occhi nonostante ora la sovrastasse

“che cosa devo fare?”

“sei tu a dover decidere, è proprio questo il bello! Ma non sarai sola.

io sarò con te, se lo vorrai.

Ma credo che tu abbia bisogno di un altro vampiro…

Vieni qui”

Disse sollevandola dal pavimento e prendendola in braccio come se non pesasse niente.

Incamminandosi verso la sua camera e deporla sul letto fresco di lenzuola di cotone.

“dormi. Domani sarà tutto più chiaro.”

“Angel…”

lo chiamò appena prima che si richiudesse la porta alle spalle

“…ho paura”

Angel le si avvicinò e le strinse la mano

“ma non sei sola”


***


La porta della cripta sembrò volersi smontare dai cardini per la ferocia con cui venne spinta.

“Allora è vero! Sei di nuovo qui.

Cos’è il soggiorno nelle località esotiche in cui si favoleggiava fossi finito non è stato di tuo gradimento?”

Buffy, al massimo splendore, lo guardava bellicosa con le mani sui fianchi.

“no, non è stato il paradiso che mi aspettavo.” L’ironia di Spike era stanca e difficilmente percepibile nella frase buttata in risposta senza troppa convinzione

“non so perché tu sia tornato, ma sono qui per farti un favore: sta lontano da me.”

“tranquilla baby! E poi mi sembra di non essere stato io, tra noi due, a sfondare, tanto per cambiare, la tua porta di casa per vederti!”

“bè Spike, quello che è certo è che questo non è un ritorno alle vecchie abitudini!”

“va bene splendore! Ma ti prego attenta a non ferire i miei sentimenti!”

“hai poco di che ridere Spike. Resta fuori dai guai e fa un favore a te stesso: vattene dalla mia città”

Spike si soffermò su di lei per la prima volta da che era entrata.

Occupato a sistemare i suoi abiti negli scatoloni, aveva prestato poca attenzione al suo aspetto.

Ancora meno alle sue parole.

Ma ora…

Era più bella di come la ricordava. Forse perché era da molto che non pensava a lei.

Per via di un altro viso…

Semplice nei jeans scoloriti e nella maglietta di cotone.

Con i capelli tirati in una coda alta che lasciava sfuggire poche ciocche. Una bellissima tonalità castano chiaro, che probabilmente più si avvicinava al suo colore, quasi…naturale.

Notò con un notevole senso di colpa che i capelli lucenti erano di nuovo molto lunghi, nonostante fossero raccolti.

Il sorriso strafottente si dipinse sui suoi lineamenti quasi automaticamente

“suvvia Buff…e questa cos’è? La battuta di uno sceriffo di provincia?

Devi aver perso il tuo stile…”

“il mio stile non ti interessa.

Non farmi perdere la pazienza Spike. Sono stata…gentile, a venire ad avvertirti.

Lasciati scoprire una sola volta a farne una delle tue…

…e sarai polvere sulle mie scarpe”

Lo sguardo del vampiro tornò a farsi duro

“ti ringrazio” sibilò “la tua solerzia mi commuove. Ti assicuro che terrò in debito conto i tuoi avvertimenti.”

“cos’è, hai ingoiato un vocabolario?”

“e ora sparisci dalla mia casa, prima che decida di farti ingoiare i tuoi stivali alla moda!”

“sei solo un povero patetico vampiro senza un posto nel mondo Spike.

Nessuno ti vuole.”

Centrato. Precisa come una freccia scoccata da…come si chiamava quello che rubava ai ricchi per dare ai poveri? Robin Hood?

-nessuno ti vuole…-

Mascherò il dolore sotto la sua maschera di freddezza e cinismo.

Richiamandola mentre già se ne stava andando

“ah, Buffy…dolcezza…i tuoi preziosi stivali, sai…non è vera pelle”

Buffy si girò indispettita, e si avvicinò al suo viso per avere la soddisfazione di sillabarglielo dritto in faccia “sei un’idiota Spike!”

E il vampiro non fece una grinza. Si allontanò un poco dall’uscio per permettere alla porta di chiudersi rumorosamente.

Prima di sibilare con tutta la sua gelida calma “l’invito è revocato, dolcezza!”

lasciando un’attonita Buffy a contemplare la sua stessa espressione di stupore.


***


“Credo di doverti una risposta.”

Silenziosa Willow.

Angel l’aveva notata con la coda dell’occhio entrare nello studio e sedersi di fronte alla sua scrivania.

Con una grazia veloce da lasciarlo perplesso.

-Da quando un essere umano può muoversi così?-

“da quando ha scambiato fluidi corporali con un vampiro molto intenzionato a legarla a se per sempre”

Angel attonito lasciò cadere il volume che stava sfogliando sulla Bestia.

Un piccolo tonfo che produsse una specie di bagliore nell’infrangersi contro una barriera invisibile, prima di toccare terra.

Davanti agli occhi di Angel il volume fluttuava nell’aria andando a posarsi placidamente tra le sue mani. Di nuovo.

Portò la sua attenzione su di lei “credo che tu me ne debba più di una”

“non è quello che pensi.”

Lo fissò un istante con le mani sotto il mento in una posa riflessiva e sensuale quantomeno inusuale per lei. “ah giusto. Stai pensando che non ho mai smesso di avere la magia dentro di me.

E che quei coglioni del consiglio non sarebbero in grado di occuparsi di una vera strega nemmeno con il suo consenso”

Attese ancora un istante “naturalmente –coglioni- è un mio abbellimento!

allora stai pensando bene Angel”

“e dimmi cos’altro sto pensando ora.” sibilò Angel sporgendosi minaccioso sull’orlo del tavolo.

La riservatezza dei suoi pensieri era solo sua, non poteva tollerare che qualcuno la violasse.

“non lo farai.”

“sei troppo sicura di te strega.”

“Strega.

Suonava meglio sulla bocca di Spike.

Immaggino che lui l’abbia sempre saputo. Non ha mai smesso di chiamarmi strega.

Anche quando a rigor di logica strega non avrei dovuto esserlo.

E no. Non lo farai.

Perché mi vuoi bene. Perché sono io.”

“spiegami.” Suonò tra le labbra del vampiro. Senza minimamente sembrare una richiesta.

“sono qui per questo. Ma posso cominciare solo dall’inizio.

E non sono in grado di fornirti soluzioni.”

“a quelle cercherò di pensarci io”

Willow sorrise in tralice, senza nessuna dolcezza. E nessuna ironia.

Semplicemente costatando che quello era Angel.

E che, dopo Spike, era stato l’unico a stringerla tra le braccia e a consolarla mentre confessava il vuoto che si portava in petto.

Che anche in quel momento provava a capirla e aiutarla.

Angel non la giudicava. Angel c’era.

Poteva bastare.

“Perché sono qui… penso che tu l’abbia intuito.

Certo non sapevi di questo”

Accarezzò l’aria con la mano mentre una solitaria farfallina prese a danzarle tra le dita.

“Mi avresti lasciato venire qui se fossi solo in cerca di informazioni sui vampiri?

Forse l’avresti fatto, mi avresti offerto il tuo aiuto.

Forse saresti corso a decapitare Spike…

Forse me l’avresti proposto tu stesso di venire a stare a LA.

Angel il punto è: non in un momento come questo.

Con la terra che trema ed erutta creature come questa Bestia, con il sole svanito e i vampiri che banchettano.

Non mi avresti permesso di entrare con tanta prepotenza nella tua vita.

Di trasferirmi nel tuo albergo, nella tua città.

Se avessi creduto che sono qui solo per …

Angel, i-io sono qui perché non c’è altro posto in cui potrei essere.

E no-non perché sono disperata.

Io sono qui perché ho nostalgia della vecchia me stessa.

In questi ultimi mesi…nell’ultimo anno e mezzo per la v-verità, non ho fatto altro che dimenticare magia e misticismo.

E demoni e vampiri e il male che si annida ovunque e marcisce nei vicoli.

Ma io voglio combattere questo s-schifo.

Io voglio tornare quella che ero.

Senza distruggere il mondo, stavolta.”

Lo guardò sfinita e decise che gli avrebbe detto tutto con il poco fiato che le rimaneva in gola

“Angel io ti ho cercato disperata quella sera.

E non sapevo che stava succedendo.

Ma tu sei venuto. Per me.

Ora voglio che tu sappia che sono qui Angel. Per te.

Per darti tutto l’aiuto possibile.

Distruggiamo questa…cosa. E poi penseremo al mio cuore in schegge!”

Trovò la forza di sorridere “ti soddisfa questa risposta?”

Ma Angel non rispose. E per quanto fosse un atteggiamento a dir poco incredibile per lui così riservato, l’abbracciò stretta.

Sussurrando poche parole tra il soffice velluto dei suoi capelli fini

“bentornata bambina. Speravo di rivederti…”


***


La ragazza dai capelli rossi era seduta al bancone.

Scrutava dubbiosa la folla di ragazzini che ballava davanti ai suoi occhi.

Sulla pista da ballo di quel locale alquanto fatisciente.

Non la invitavano a ballare.

Perché lei non era bella. Non si sentiva bella. Non era mai stata bella.

E i ragazzi la intimorivano. La intimoriva essere al centro dell’attenzione.

Cominciava a balbettare, rischiando pessime figure e facendo scivolare la propria autostima verso il fondo del barile.

Sorseggiò distrattamente una bevanda poco qualificabile che il barista le aveva messo in mano senza prendersi la briga di ascoltare la sua ordinazione.

Face una smorfia. Così alcolica che l’avrebbe stesa prima della fine della serata!

Non le importava. Si scolò in un paio di lunghi sorsi tutto il bicchiere.

“un altro!”

disse senza guardare il bellissimo ragazzo biondo che, seduto affianco a lei, la fissava.


Spike prese in braccio il corpo senza vita della giovane donna adescata al Bronze.

Se la caricò in petto come se fosse stata un semplice pacco ingombrante.

Una nuvola di profumo di gardenia lo avvolse quando i capelli rossi scivolarono dalla forte presa delle sue mani, e si persero tra i pettorali e il bavero della giacca di pelle.

Bellissima. E profumata.

Ma non era lei.

Non era mai lei.

Non era mai nessuna di loro.

Sapeva di dover nascondere quel corpo.

Quella prova.

-la vita. Che io ho spezzato.-

un dolore atroce e improvviso gli dilaniò il petto facendogli perdere l’equilibrio e lasciando cadere sulla strada spezzata dalla pioggia il corpo che aveva stretto.

-ma loro lo meritano.

Richiedono. Esigono. Pretendono.

Vogliono.

Il tuo corpo. I tuoi baci. La tua devozione.

Cosa ti concedono in cambio?

Il loro involucro vuoto da riempire.

Mentono.

Perché non sanno amare.

Niente.-

La voce.

Quella voce.

Che sembrava uscire dalle sue stesse labbra. E poi stordirlo con eloquenti verità…

La voce.

Sapeva che non era la sua.

-anche tu, piccola…-

Sapeva che mentiva.

-ho avuto una possibilità. Ma l’ho sprecata chiedendo un desiderio inesaudibile.-

Sapeva che il male voleva farlo impazzire con quella voce.

-è tutta colpa tua-

Le obbediva.


***


Buio. Freddo. Vuoto. -Paurapaurapaura.-

Il gelo. Il gelo nelle vene.

E la certezza di essere morta prima del sole.

Un rumore sordo dietro di lei.

Come di …un’asta metallica sbattuta contro le pareti.

Pronta per affondare nel suo cranio come un cucchiaino nella panna.

Willow tremò cercando di capire perché quel maledetto incantesimo non aveva funzionato.

Cercando di ricordarsi che se voleva vivere avrebbe dovuto normalizzare il suo battito. Rallentarlo, possibilmente, alla frequenza di quello di un topo. Cercò di controllare il respiro.

Prima di venire invasa da una ghiacciante ondata di panico che sembrò volerla offogare per la violenza con cui le afferrò le viscere.

Fuori dalla porta.

Quella dietro cui era nascosta.

Aveva sentito un piccolo grido acuto seguito da un tonfo.

Angelus aveva appena ucciso Lilah Morgan.


***


-Lei è in pericolo-

quella frase urlava dentro di lui.

E la furia della sua incertezza lo devastava.

Gettò contro la parete di fondo della cripta il televisore in bianco e nero.

Mentre un grido gutturale e scarsamente soffocato gli usciva dalla bocca.

Sembrava impazzito.

Violento senza motivo. Accecatamente disperato.

Si guardò le palme a brandelli per quanto aveva fatto a pugni quella notte. Con ogni genere di…cosa, e uomo che gli era capitato sotto le mani.

Gridò, gridò, gridò di nuovo.

Ringhiò.

Sferrò un pugno nell’intonaco dietro di lui, lo affondò fino al polso nel mattone traforato.

Scaraventò il tavolo a gambe all’aria e si liberò delle sedie gettandole contro la botola che conduceva al basso.

Mentre il segno di una bocca ingenua che catturava la sua in un sottopassaggio fiocamente illuminato annullava tutti i suoi ricordi.

-piccola…-

sfinito si lasciò cadere tra le schegge del suo appartamento.

Risolutamente decise che sarebbe partito.


***


Willow appoggiò il mento sulle mani. Mentre guardava Wes sostituire le bende che gli coprivano gran parte del petto. Emise una smorfia, Wes, per il dolore della clavicola lussata.

E lei si sentì così piccola e miserabile che fu sul punto di cedere all’impulso di nascondersi da qualche parte al buio.

E piangere.

Angel.

Era successo di nuovo.

Volutamente avevano liberato Angelus per scoprire quanto sapeva sulla Bestia.

Ma Angelus li aveva ingannati. Ed era scappato.

Aveva ferito Cordelia e ucciso Lilah.

Aveva aggredito tutti loro.

E lei, Willow, non serviva a niente.

Perché non era riuscita a castare l’incantesimo per maledirlo.

Per quale dannatissimo motivo?

Non aveva funzionato.

Anche se aveva sentito l’energia fluire dentro di lei e rischiato di perdervisi.

E tutti stavano pagando il suo sbaglio.

Connor voleva uccidere suo padre. E Wes cominciava a ritenerlo inevitabile.

Tutto a causa sua.

Non sapeva fare niente.

Non era nemmeno in grado di recitare quattro stupide formule ammuffite!

Il che naturalmente non la metteva al riparo dalla plausibilissima vendetta del vampiro!

Lilah era stata solo più lenta di lei a nascondersi.

Era lei che Angelus stava cercando la notte che era tornato all’hotel dopo essere scappato.

Dopo aver ferito Cordelia.

Era lei che si era salvata solo per un puro,banalissimo caso.

Quando Connor aveva capito che le tracce lasciate da Angelus erano un depistaggio e aveva convinto Wes e Gunn a tornare all’Hyperion.

Una semplice questione di minuti contati.

Per una volta il tempo era stato dalla sua parte.

Ma poi tutto era andato al diavolo!

Perché Angelus era sembrato indifferente all’incantesimo dei morti viventi che aveva castato con tanta fatica.

Angelus era rimasto Angelus.

E l’anima era andata perduta.


Ma la risposta doveva essere evidente.

Se solo avesse aperto gli occhi e cercato abbastanza lucidamente!

Angelus gliel’aveva detto: “ragazzina apri gli occhi”

Era vero.

Teneva ancora gli occhi chiusi.

E quel che era peggio, non voleva vedere.


Willow per la centesima volta in quelle poche ore tornò con la mente a pochi giorni prima.

All’unico momento che si era concessa per parlare con il vampiro.

Doveva fare un tentativo.

Cercare di capire.

Doveva. Per il sangue.


Era stato dietro quelle sbarre.

Ricordava di averlo osservato, nella sua sfrontata rilassatezza, dal monitor costatemente acceso.

Dopo che Wes era tornato avendo conquistato solo una sconfitta.

Ben prima che Cordelia andasse a offrirgli qualcosa di così irrinunciabile da spingerlo a rivelare, in una conversazione che non grondasse feroce sarcasmo e sprezzante sincerità, che sapeva pochissimo della Bestia. Gli era stata offerta un’alleanza a cui aveva rinunciato. Ed era rimasto svenuto mentre alcune sacerdotesse uccidevano il demone apparentemente invincibile.

Nulla.

Praticamente aver rischiato l’anima di Angel non aveva portato i benefici sperati.

Era stata una follia.

Era stata Cordelia a chiederle di praticare il rito.

Di restituire Angel alle persone che lo amavano. A lei.

Subito dopo aver scoperto che l’anima era svanita dalla cassaforte dell’Hyperion in cui Wes l’aveva sigillata.

E il rito non aveva funzionato.

Lei aveva fallito.

E lui era libero.

Adesso.


Per questo doveva ricordare.

Doveva ripensare al più insignificante dei particolari.

Perché lui le aveva detto che erano tutti così ciechi.

Ricordava.

Con calma.

Da principio.

Respiro. Respiro. Respiro profondo.

Ricordava …

Ricordava di aver sceso quei gradini…

La consistenza fredda del corrimano sotto le dita.

La penombra della stanza e le sbarre.

Lui.

Lui quasi non riusciva a vederlo.

Immerso nel buio.

Tutt’uno con le ombre dense della sua paura.


“Perché guardi con gli occhi”


Le aveva detto.

Come se le avesse letto nella mente.

“come dovrei guardare?” aveva chiesto lei avvicinandosi di un passo

“tanto tempo fa, nell’antica Grecia c’era un indovino...”

le parlava con fare paternalistico, come se fosse una stupida. Rimanendo invisibile.

“… prediceva il futuro. Non aveva paura di vedere.

Si racconta che fosse privo della vista. Ma non guardava con gli occhi.

Un giovane bellissimo punito da Atena con la cecità perché aveva osato troppo.

Aveva osato contemplare una dea.

Ma Atena era stata misericordiosa dopotutto. Gli aveva donato un bastone che lo avrebbe guidato al posto del suo sguardo.”

“Tiresia”

sussurrò Willow come ipnotizzata, avvicinandosi ancora

“Non aveva paura di vedere.”

Sentì solo quelle poche parole.

Non avvertì movimento o fruscii rivelatori.

Sentì solo le gelide dita contrarsi contro il suo collo.

E stringere.

Senza…soffocarla.

Vicino. Troppo vicino.

Dolorosamente.

“ah bambina”

assaporò un profumo su di lei.

E la strinse più forte.

Ferocemente.

Ma dov’erano tutti? Perché nessuno guardava quel cazzo di monitor quando serviva?

Avvicinandola alle sbarre.

Pericolosamente ai suoi denti.

Se avesse stretto più forte avrebbe spezzato l’ultima vertebra…

“odori come… di famiglia.”

Le disse leccandosi le labbra.

“una famiglia.divisa. Sembrerebbe.

Dov’è lui?”

La fissò attendendo una risposta che Willow non poteva neppure mimare.

“oh, certo!” esclamò lasciandola andare.

Willow si chinò sulle ginocchia per riprendere fiato.

Aveva stretto dannatamente. Tossì.

“devo sapere cosa sai della Bestia A-Angelus”

lui rise

“non è cortese ignorare una domanda. Io sono stato cortese.”

“m-mi hai quasi spezzato il collo. N-non c-credo si possa parlare di cortesia”

“ti sbagli. Sono stato cortese. Non ti ho ucciso.”

Con un movimento fluido talmente veloce da sembrare invisibile cercò di riafferrarla

“non che non ne avrei avuto motivo, intendiamoci!

Non è stato molto gentile da parte tua, piccola streghetta, tentare di castrarmi così! Senza nemmeno chiederlo… La prima volta ci sei riuscita.

Questa seconda non ti è andata altrettanto bene!”

Willow si era avvicinata di nuovo. Ma stava attenta a non sfiorare nemmeno la linea rossa spessa almeno cinque cm disegnata a terra.

Lo fissava inebetita.

Perché non aveva mai visto nessun vampiro muoversi in quel modo. Nemmeno Spike.

“allora lui dov’è?

Suppongo a Sunnydale. Dalla cacciatrice”

Willow sussultò

-e se fosse vero?-

Angelus rise di nuovo

“te lo stai chiedendo vero?

Stai pensando: e se fosse vero? Potrei vivere senza il mio vampiro?

E se lui avesse ragione?”

Una risata profondamente ironica la colpì come uno schiaffo.

“povero piccolo passerotto!”

-non posso pensarci adesso. Non devo pensarci adesso. nonpossopensarciadesso-

“non ho idea di dove sia” cercò di mantenere un tono incolore

“ma lo sogni tutte le notti”

-impossibile ingannarlo-

“devi avere dei gusti strani!

Ma immagino che Spike sia una forza a letto!”

Willow abbassò gli occhi involontariamente

“oh…

Povero piccolo passerotto!” le concesse un tono amorevole

“Tu non lo sai!

Forse… dovremmo chiedere a Buffy!” sorrise sadico, mantenendo lo stesso tono dolcemente comprensivo.

E Willow si guardò bene dal mostrare quanto profondamente lui poteva aver colto nel segno.

“o forse potresti rispondermi. Detesto gli sprechi di tempo”

ma l’attimo di troppo che aveva atteso per riprendere a respirare l’aveva tradita

“coraggio tesoro, sei troppo tesa!

Cos’è tutta questa aggressivita?

Non ti ho neppure ancora salutato come si deve…

Bentornata bambina. Speravo di rivederti.”

Willow si sentì colpita in pieno petto da quelle parole.

Le parole che le aveva detto Angel. In quel momento tutto loro di disperata comprensione.

Dissimulò. Provandoci, almeno.

“io invece speravo proprio di non doverti rivedere!”

Angelus la ignorò.

“sono un osservatore acuto. Eppure non ci fate caso.

Cresci piccola Willow.

Smetti di ritenere comodo l’angolino nel quale ti sei rifugiata!

Siete patetici, voi umani!

Così… abitudinari.

Non vedete perché non credete che le cose cambino. E giudicate solo con un unico stupido metro.

Prepotentemente credete che la vostra sia la sola ottica possibile!

Idioti!”

“non sono qui per ascoltare saggistica!

Forse è come dici, ma tu non sei meglio di me.

La tua specie… siete solo assassini!”

“e tu? Quanto tempo ci avresti messo prima di assassinare Tara per correre nel letto di Spike?

E dopo quanto avresti prosciugato lui?

Cos’è troppa paura del vuoto che hai dentro?”

Willow sembrò venire colpita da un proiettile per la violenza con cui indietreggiò e cadde sulle ginocchia.

“questo… è meschino. Oltre che ingiusto.”

“meschino… e sei pure riuscita a non balbettare, hai davvero fatto progressi piccola Willow!

Ingiusto? Credi che io sia Angel? Non mi preoccupo dei tuoi sentimenti. E sono ingiusto.

Ma non mento.

Vuoi sapere qualcosa da me?

Comincia a chiederti perché sei viva.

La risposta ce l’hai davanti”

Willow lo guardò “perché non mi hai ucciso?”

“ha fatto male, vero?

Quando ti ha sporcato col suo sangue”

“lui non mi ha spo…” “quando ha tagliato il centro delle vostre mani”

“c-come lo s-sai?”

“lo so. Perché il suo sangue è il mio sangue.”

“ma Angel…”

“Angel? Sai di chi stai parlando? Probabilmente cercherà un antidoto. Non credo lo troverà mai!”

“antidoto?”

“ma sta tranquilla passerotto! Lo troverò prima io.

E poi lo ucciderò.

Ucciderò Spike per non avermi chiesto il permesso.

Legarmi col suo sangue a un patetico esserino come te!”

Willow sentì distintamente il fiato venirle a mancare in gola. La potenza di quella rivelazione l’aveva atterrita per tutte le incontrollabili conseguenze che avrebbe comportato.

Aveva sempre pensato esclusivamente al legame che lei poteva condividere con Spike.

E a niente altro.

Il sibilo del vampiro dietro le sbarre la distrasse

“Una mancanza di rispetto intollerabile”

Un sibilo. Soltanto un sibilo.

Ma le fece così paura per quella ferrea determinazione nella voce che non le importò più niente di quello che sarebbe potuto capitare a lei.

Pregò solo che i due vampiri non s’incontrassero mai.

“sei ancora viva perché sei una cosa mia.

è questa la risposta.”

Corse su per le scale. Si richiuse la porta dietro di sé come se lui la stesse inseguendo e fosse libero da quelle sbarre.

Ma le ultime parole che le aveva gridato erano state più veloci. E ora si rincorrevano nella sua testa.

“ragazzina apri gli occhi”


Il ricordo di quel momento svanì, finalmente, nella sua soffocante paralisi.

E le sue riflessioni furono interrotte dall’energico bussare di un pugno sul legno della sua porta.

E la stanza in cui viveva da che era arrivata a LA le sembrò infinitamente piccola per contenere tutta la sua angoscia.

“si?” chiese muovendosi dal letto e apparendo sulla soglia dopo aver aperto

Sul corridoio stava Connor.

Sorrise timidamente il ragazzo.

Facendole venire i brividi.

Fingeva.

Bravo a mascherare i suoi veri sentimenti. Come suo padre.

“scusa Willow. Non volevo disturbarti. Wesley vuole che scendi. Aspetta che ci siate tutti.

Ha qualcosa da dire.”


Faith trattenne un sospiro di fastidio mentre le mani di Wes cercavano di porre rimedio ai lividi violacei che già adombravano il suo viso. Prima di lasciarsi andare a un respiro abbastanza lungo da poter essere confuso con un soffio di beatitudine.

Wes che le teneva un involucro di ghiaccio premuto sulla guancia.

Dolcemente.

In attesa che si rilassasse.

In attesa di rivedere la cacciatrice che sarebbe potuta essere se gli errori di uno sciocco osservatore impacciato non avessero ferito e devastato la sua grandezza.

Insieme alle stesse mani di lei.

Quella cacciatrice che si intravedeva timidamente in poche risolute occasioni.

Il fuoco. Il dovere. E Faith.


Non era andato bene.

Il loro combattimento l’aveva duramente provata.

E Faith sapeva.

Angelus era certo che lei non avrebbe mai potuto

-voluto-

ucciderlo.

Si versò un bicchiere di una bevanda inclassificabile che aveva trovato in una bottiglia di vetro verde scuro nel frigo.

Ingoiò una prima lunga sorsata.

Prima di tossire anche i polmoni.

Forte.

Superalcolica come non ne aveva mai assaggiato.

E lei di cose forti ne aveva provate…

La voce consolatoriamente calda di Wes, alle sue spalle, le giunse dolce come un balsamo.

E provò, per orgoglio di donna, a minimizzare.

“mi è andato di traverso!”

Wes sorrise indulgente

“ci credo. È Acomplish.”

Allo sguaro ignaro di lei precisò “una bevanda distillata dai fluidi biologici di particolarrissimi insetti del Dothar…” altro sguardo inequivocabile “…che è una dimensione…”

“ah! Ma perché tenete nel frigo una simile schifezza?”

Wes sorrise ancora “è la bevanda preferita di Lorne”

Le si avvicinò ancora. Toccandole una spalla con la deferenza e il timore di chi pensa di venire scacciato.

Anche se Faith non mosse un solo muscolo. Eccetto i suoi incredibili occhi neri che si precipitarono in quelli verdi di lui. Venendone inghiottiti.

“mi dispiace per il tuo bagno…”

“a me dispiace di più per le tue mani…”

Wes le sfiorò piano le dita scorticate dal combattimento con Angelus e dalla frustrazione sfogata abbattendo le maioliche della sua doccia a suon di pugni nella sua casa poche ore prima.

Era stato ovvio per lui domandare a Faith aiuto.

Per sconfiggere un vampiro ci poteva essere solo una cacciatrice.

E così le aveva chiesto di fare il suo dovere.

Implicitamente costringendola a un’evasione.

Ed era altrettanto ovvio tenere Faith con sé. Nel suo appartamento.

Senza darle una delle tante stanze dell’Hyperion.

Non gliel’aveva nemmeno chiesto.

Era stato scontato portarla a casa sua, quella che dai tempi del rapimento di Connor, non divideva più con Angel.

Ed era stato naturale per Faith abituarsi ai rumori della vita quotidiana con Wesley. Invece del silenzio divorante della sua cella, che la assordava impietoso.

“Faith credo che tu debba… tutti noi… abituarci all’idea che Angel non potrà tornare.”

Faith infastidita distolse lo sguardo

“non ho intenzione di ucciderlo. Chiuso l’argomento.”

“Faith…”

“ho detto…”

“ho sentito ciò che hai detto. Non ti ho mai mentito. Non comincerò adesso.”

Faith senza nemmeno degnarlo di uno sguardo, dura in volto, fece per uscire

E si bloccò per la sua voce imperiosa “Faith…

Non ti ho mai detto che sarebbe stato facile.

Tu sei una cacciatrice, e farai quello che va fatto.”

Non senza sforzo Wes mantenne lo sguardo di acciaio che la ragazza sembrava sprigionare.

-c’è così tanta luce in lei…-

“anche se questo è profondamente ingiusto” aggiunse, abbassando gli occhi, rassegnato.

Faith gli si avvicinò. Trovandosi a pochissima aria dal suo volto chinato

“guardami.”

L’acciaio dei suoi occhi che vibrava nella voce

“guardami bene Price”

Wesley sollevò lo sguardo e la schiena, ergendosi su di lei.

Sovrastandola con la sua altezza.

Senza impressionarla o scalfirla.

E Faith equivocò quella seria dignità in un gesto di sfida. E gli afferrò il bavero della giacca di pelle nera e impeccabile

“io non ucciderò Angel.”

I loro occhi, vittima di una malia erano come incatenati gli uni alle iridi degli altri.

E la forza, il dolore e la rabbia sembravano entrare dal corpo di Faith e riempire quello di Wes.

In un girotondo beffardo.

“Faith”

e nessuno carezzava il suo nome con la forza della spada.

E Faith seppe che era proprio allora, e non negli anni di galera, o in quelli delle sue imprese disperate, era proprio allora… che iniziava ad essere perduta

“tu sei un guerriero Faith. Nessuno chiede ai guerrieri cosa sia la giustizia.

Ai guerrieri si chiede solo di combattere Faith.”

E Faith si riscosse

“io non ucciderò Angel!” gridò strattonandolo

“allora lo farò io!”

la voce risoluta di Connor cancellò il rumore piacevole causato nelle sue orecchie da quella di Wes.

E Faith si dimenticò all’istante dell’uomo che stringeva tra i pugni

Per avvicinarsi minacciosa al ragazzo.

E schiaffeggiarlo, accertandosi che tutto il disgusto di cui disponeva trapelasse dagli occhi.

Tutto il disgusto che negli anni le avevano riversato addosso.

Adesso lo risputava addosso a Connor con la stessa devastante violenza.

Con poche sorde parole “è tuo padre”

Accorgendosi che un’ombra oscurava gli occhi profondi di quel ragazzo che le stava di fronte senza paura. Così simili a quegli altri da triturare il cuore.

Un’ombra di pochi istanti di dolore. E consapevolezza. “si. Ed è un mostro”

Connor lasciò la stanza, sfuggendole dalle mani con la velocità di un vampiro. E la sorprendente veridicità di quell’epifania le fece girare la testa.

Anche lei, come Connor, era un essere umano intrappolato nel corpo di un mostro.

“Faith…”

-sembra quasi che a Wesley piaccia pronunciare il mio nome-

si voltò per abbeverarsi del verde dei suoi occhi.

Lasciando a sua volta che lui si dissetasse nell’incanto dei suoi grandi e neri.

“Angelus deve essere distrutto.”

E l’incanto fu rotto

E Faith stremata e delusa gli diede un pugno che lo fece sbattere contro il frigo e finire per terra.

“ma allora non vuoi proprio capire?” gridò ancora mentre Wes si rialzava dignitosamente senza un commento.

E Faith lo colpì di nuovo, al mento. Senza motivo stavolta.

Quando se lo vide di fronte con le braccia protese verso il suo corpo quasi a volerlo inglobare.

“io non ho la forza. Io non posso.

Io non voglio uccidere l’unico che mi abbia mai dato una possibilità.”

Colpiva e piangeva.

E soffriva disperata.

Mentre Wes incassava ogni pugno, cercando solo di rimanere in piedi.

“voi tutti pensate che io non provi niente. Che magari mi diverta. Che io possa andare a polverizzare chiunque senza pensieri. Cazzo vi sbagliate.”

E colpiva. Calcio. Pugno. Gomito.

“Io soffro. E sento. E sono annientata da quello che ho fatto.

E tu… schifoso bastardo… tu mi hai tirato fuori da lì dentro, da quella galera per la feccia come me… ma non mi avevi detto che sarebbe stato così difficile.”

E Wes, col viso pesto, la guardava senza disprezzo

“Tu avresti dovuto dirmelo che una volta uscita la consapevolezza e il rimorso mi avrebbero anestetizzata. Tu avresti dovuto chiedermi se volevo lasciare il mio piccolo buco per affrontare quella che sono…”

“che eri…”

“io non sono il tuo fottuto assassino, osservatore!”

E sentì il pavimento sotto la stoffa dura del jeans. Perché senza accorgersene si era inginocchiata esasperata e sfinita. Trovando Wes che le si era inginocchiato davanti.

Per non lasciarla sola.

E la consapevolezza in tutto il corpo di Wesley prese a vibrare mentre nascevano parole dolorose

“già, è probabile che lo sia io.

Mi dispiace Faith.

Se tu sei stata quello che sei stata, forse è perché io non sono stato in grado di dimostrarti che onore profondo riconoscevo, per essere il tuo osservatore.

E quanta paura nel mio sentirmi… inadeguato a un compito così difficile.

Se io fossi stato un osservatore migliore, tu…”

“no.” E Faith gli coprò il labbro spaccato con le dita tremanti e le lacrime agli occhi.

Desiderando che nessuno si sporcasse per le sue colpe.

“gli errori che ho fatto sono solo miei.”

Si rialzò in silenzio.

Mentre Wesley esausto rimaneva in terra

Si voltò prima di avviarsi alla porta, mormorando “e dopo oggi avrò un’altra cosa di cui chiederti perdono…”

“oh Faith…”

E non seppe come, perché l’aveva lasciato ancora su quelle mattonelle fredde,

e solo lei poteva muoversi tanto velocemente…

ma sentì le sue braccia circondarle il petto e il suo viso esausto trovare rifugio nella nicchia sicura dei suoi capelli odorosi.

E si lasciò finalmente andare a un pianto che non fosse di disperazione, ma di sollievo.

Mentre sentiva la consistenza meravigliosamente reale del petto di lui premere dietro la sua schiena.

Rimasero così.

Stretti.


***


Il quartiere residenziale se lo era lasciato alle spalle da tanto, ormai.

Ma neppure il fetido odore di povertà e carne avvizzita da strada e fatiche lo disturbava.

Camminava fluido. Solo nel buio del sole oscurato, e di quella strada dei sobborghi dai lampioni rotti dalle pietre lanciate da scugnizzi troppo sporchi.

Eppure così intimamente, sorprendentemente soddisfatto.

E libero.

Bellissimo. Da troppo aveva smesso di sapere come fosse il suo viso.

Ma questo non era mai stato realmente un problema.

Sapeva di essere bello. E questo bastava. Era sempre bastato.

Ovviamente non per mere considerazioni esetiche. Ma perché la bellezza, Darla glielo aveva insegnato, era una potente, infrangibile (nel loro specifico caso) arma, di offesa e difesa.

Molti di quelli che aveva avvicinato nel corso degli anni erano rimasti affascinati da lui senza preoccuparsi della nota stonata di fondo, senza notare tante stranezze… non uscire alla luce, stare lontano da vetri e specchi, non andare mai in chiesa, lui, irlandese e cattolico…

Certo, mai nessuno era realmente vissuto abbastanza da potersene preoccupare.

Ma la stessa Buffy la cacciatrice la prima volta che lo aveva visto e atterrato nel vicolo dietro quel ridicolo locale, seguendo il suo istinto, aveva fermato la mano alla vista del sul volto.

E dopo, per abitudine, non aveva più potuto vedere.

-(nda: questa analisi non è solo mia. Mi hanno molto aiutato nelle riflessioni su Angelus i racconti di Solitaire, una scrittrice di ff veramente molto molto brava. Ci tengo a citarla anche se la conosco solo tramite le sue storie. Perché le devo molto, anche se forse non glielo dirò mai.)-

O voluto.

Respirò una boccata di puro godimento. E sentì uno strano sapore nell’aria di quel particolare momento autocelebrativo: no, non la freschezza delle catene sciolte che pendevano inerti su di lui e cingevano la sua coscienza con rinnovato vigore, no…

Qualcos’altro.

Un tanfo di putrescenza e morte.

Un odore… animale.

La Bestia.

Era li.


Il magazzino abbandonato si profilava lontano.

Ma non abbastanza per impedire alle sue pupille dilatate di esaminarne la struttura cadente.

Cielo, che mancanza di stile… e che prevedibilità…

Le sue pupille tornarono a dimensioni normali appena si assicurò che non ci fosse nessuno.

Nessun altro.

Bastò seguire le tracce.

E per la verità sarebbe bastato quell’odore.

Odore che gli entrava sotto la pelle e lo stuzzicava come le dita sapienti di un’amante…

Era quello. E l’aveva riconosciuto con una frazione di secondo di ritardo.

Era il potere.

Quello che da troppi anni non assaporava.

Se lo sarebbe preso.

Senza essere più disposto a dividerlo con nessuno.

Rise.


Ancora pochi passi.

Prudente, perché non era uno stupido e poteva rivelarsi molto vantaggioso sfruttare la sorpresa attaccando un demone come la Bestia.

Eppure il suo inconfondibile intercedere sicuro non mancava di spavalderia. La notte davanti a lui si apriva e gli permetteva di scivolare tra i suoi segreti, e si richiudeva al suo passaggio come le svolazzanti infinite pieghe di un mantello.

Come se perfino la tenebra fosse innamorata di lui e lo venerasse avvolgendolo nelle sue spire come una madre amorevole. E ne fosse avvinta.

Angelus osservò la Bestia.

E i suoi sensi tesi sull’avversario gli permisero di captare anche un’altra presenza; quella che stava aspettando…

“sai… all’inizio non riuscivo proprio a ricordarmi di te.” disse abbandonando la tenebra che si disperse attorno alla sua elegante figura per lasciare soltanto pallide tracce di un’anemica luce al neon.

“poi mi è venuto in mente il nostro incontro. Il tuo gentile invito.

E la tua reazione al mio rifiuto.”

La Bestia guardò il vampiro sospettando un possibile attacco.

Ma Angelus rimase immobile, sorprendendolo.

Si sarebbe aspettato un tentativo di aggressione, almeno.

Era il Flagello d’Europa. Non temeva nulla.

Non aveva temuto neppure lui. E aveva osato sfidarlo, respingendo la sua offerta di collaborazione.

Rischiando di finire in cenere.

E finendoci, quasi. Se quelle stupide sacerdotesse non avessero interrotto il loro incontro.

Ma il Flagello rimase fermo “e mi sono reso conto di essere stato imperdonabilmente scortese.

Ho lasciato passare tanti anni… senza trovare le parole adatte a ringraziarti”

Si spostò dalla traiettoria del dardo lanciato alle sue spalle solo quando fu inevitabile per la Bestia deviarlo o scansarsi.

La freccia colpì il petto roccioso del demone senza scalfirlo. Rimbalzando miseramente.

Angelus sorrise.

“Faithy Faithy… così piccola. Così impaziente!”

Faith, bellissima nella sua decisione entrò nel magazzino armata solo di un paletto.

E Angelus, dopo aver tirato un leggero sospiro guardò l’ombra dietro di lei “ma certo! Wes caro, e la tua pupilla lo sa che punti a tradimento alla mia schiena?”

“non credo che tu possa accusarmi di essere meschino Angelus. Nessuno di noi ha fatto quello che hai fatto tu!”

per niente impressionato Angelus rise “ed è per questo che morirete.”

La Bestia afferrò Faith tirandola in alto, sopra la sua testa per osservarla alla luce del neon.

Mentre lei rimaneva inerte.

“è questa … cosina, la Cacciatrice?”

“si è lei” rispose il Flagello sbuffando

la Bestia la spinse con violenza inaudita contro il muro, e Faith cadde sul pavimento sporco.

La Bestia le volse le spalle e Faith cercò di approfittarne, dopo essersi rialzata, per colpirlo con un pugnale nascosto nell’anfibio.

“ma non.. sottovalutarla” riprese Angelus afferrandola per un braccio, fermando il suo colpo, e ferendola con una spranga di ferro rimediata tra le macerie del magazzino. Atterrandola.

Wes tirò un altro dardo verso la Bestia.

E fu in quell’istante che ancora una volta Angelus s’intromise, afferrando al volo lo stesso dardo e scagliandolo verso di lui.

Colpendo Wesley alla spalla. Mandandolo a tappeto.

“non è il momento Wes” disse alla sua sagoma inerte.

“ora ho da fare”

Si voltò verso la Bestia.

“Questa partita la devo giocare da solo”.


Luce.

Luce.

Giorno.

Sole.solesolesole.

Tepore.

Caldocaldocaldo.

L’oscurità era svanita.

Questo vide Faith quando riprese i sensi.

E si ritrovò al centro di un cerchio di luce che entrava dai vetri rotti.

Tutto sembrava meno lugubre, adesso.

Tutto faceva meno paura.

Paura…

Angelus.

Wesweswes .

Mio dio Wes dove sei?

Lo cercò con lo sguardo.

Lo vide a terra.

Colpito da una freccia che gli trapassava la spalla sinistra.

Ma vivo.

Si chiese perché.

Angelus aveva ucciso la Bestia.

Avevo riportato il sole.

Erano ancora vivi.

Li aveva… risparmiati.

Perché?

“mio dio… Willow!”


***


Willow si tese prima di aprire piano le palpebre doloranti.

L’ultima cosa che ricordava era la puntura sottile di un ago.

E le mani fredde di Angelus che la raccoglievano dal suolo.

“dove sono…” mormorò al nulla

senza aspettarsi razionalemnte una risposta. Per questo sobbalzò quando la ottenne.

“dove? Non ha importanza…

perché?

Per morire… è chiaro.”

Angelus sorgeva dalle tenebre come se per una misteriosa ragione ne fosse a sua volta composto.

Tenebre. Sangue. E genio folle e maledetto.

“sai cosa credo, invece?” la rabbia di Willow le infondeva coraggio “credo che tu stia solo giocando con me, cercando di spaventarmi. Ma io non starò al tuo gioco!”

“certo che starai al mio gioco.” Angelus sorrise

“stiamo già giocando. Tu ed io. Giochiamo dal giorno in cui mi hai maledetto.

Da quel giorno, ho un conto aperto con te.”

“tu non vuoi uccidermi” la sua sicurezza la rendeva spavalda. “se avessi voluto l’avresti già fatto”

“tu morirai. E questo non è in discussione.”

“cosa lo è, allora?”

la guardò a lungo prima di rispondere, indugiando sulla pelle fresca del collo intravista dalla camicia sottile

“come passeremo il tempo che ti resta…”


***


La moto strideva a contatto con l’asfalto.

E i pneumatici si consumavano nelle sgommate arrabbiate delle partenze.

Eppure a Spike pareva sempre troppo lenta.

La sua moto non poteva andare più veloce.

Non era mai andata più veloce. Ma era sempre troppo piano.

Piano per l’inquietudine che lo consumava.

Piano per la certezza che qualunque cosa dovesse accadere… stesse già accadendo.

Ringhiò di soddisfazione quando vide l’Hyperion in lontananza fra le fila di palazzi tutti uguali.

Lasciò la moto miracolosamente in piedi ancopra accesa.

Non entrò.

Gli bastò ascoltare lo stralcio di una conversazione…

Cordelia. Che parlava a Faith. E a quello inglese.

“l’ho lasciata sola solo un istante…” diceva la ragazza.

Non attese oltre.

La moto rombò di nuovo.


***


“Faith” chiamò piano Wes rivolto alla ragazza che stringeva le nocche tenendo in mano un paletto.

“dobbiamo parlare, Faith… credo che sia ora di accettare.l’inevitabile”

ma Faith lo interruppe “non ero preparata Wesley.”

“lo so, nessuno di noi lo era. Non potevamo sospettare che sarebbe fuggito…”

e Faith lo interruppe di nuovo “non ero preparata, non a questo cazzo! Non che prendesse Will!”

Wes le si accostò cercando un contatto di pelle con lei. Prendendole la mano. Senza stringere.

Perché sapeva che sarebbe bastata una pressione sbagliata sulle dita per vedersela sfuggire.

Perché Faith fuggiva via spaventata. Da lui. Ogni volta che provava a farle sapere che ci sarebbe stato. Sempre.

Ogni volta che provava a dimostrarsi più affettuoso, o partecipe.

O innamorato.

Faith gli sfuggiva.

Innamorato… finalmente l’aveva detto!

E forse fuggiva da se stessa.

E fu sorpreso fino alla tensione quando sentì la forza della sua cacciatrice chiudersi attorno al suo polso e la violenza con cui lo tirò a sé.

“non posso farlo da sola…” disse soffocando un singhiozzo sulla sua camicia “so che non c’è più tempo per i dubbi. Ma non posso farlo da sola.”

“no, Faith. Non puoi farlo.” Disse Wes grave. “non permetterò che tu lo faccia. Non se questo ti distrugge in questo modo” e la risolutezza gli brillava tra le ciglia.

E Faith lo guardò come una bambina guarda il paese delle meraviglie.

Che vuoi dire?

Non lo disse. Ma lui glielo lesse negli occhi.

“lo farò io”


***


La paura.

La sua paura.

Cominciava a sentirne il profumo nell’aria rarefatta della camera.

Le finestre aperte sul cortile interno del palazzo.

E lo spicchio della luna coperto per metà da nuvole di pioggia.

Willow cominciò a respirare affannosamente quando avvertì il metallo del piatto di un coltello scivolare sulla sua carne di porcellana.

Mentre l’oscurità delle bende che lui le aveva stretto sugli occhi la terrorizzavano più del coltello stesso.

Impotente e sola.

Ecco come la voleva lui.

Fragile come una bambina che dorme.

Solo che Willow non dormiva. E gli occhi serrati dietro le bende cercavano disperatamente di vedere cosa le avrebbe fatto lui.

Artigliò il testile di bronzo del letto quando sentì il peso del vampiro scivolarle addosso come un amante.

-no. Nonono. Dio questo no.-

“shhh. Non è come credi.” La rassicurò lui.

Sentì il coltello fregare la carne. Sentì distintamente il sangue cominciare a scendere in un rivolo salato e denso.

Ma non sentì dolore.

Perché era la sua stessa carne che Angelus incideva.

“E’ molto peggio”

“cosa stai facendo?” il panico puro e totale le intorpidiva le membra

“vedi…

stranamente quella cosetta insignificante di cui abbiamo parlato mi impedisce di ucciderti in modo… tradizionale. Sarebbe stupido privarsi di una cosa che si possiede.

Di una cosa che può dare… gioia.”

“tu non mi possiedi!”

“certo, tu sei posseduta da Spike” rise

“ma di chi credi che Spike sia?” disse improvvisamente serio

“ogni cosa che lui ha, è mia di diritto.

Comprendi?

Comprendi perché sarebbe stupido ucciderti?”

“ma tu avevi detto…”

“so cosa avevo detto.

Infatti tu morirai.

Ma poi risorgerai.”

“no” mormorò Willow “No! Nonono.” Gridò “uccidimi, ma non farmi questo!”

“perchè?

Perché non renderti interamente mia, allora?”

Non vide nulla Willow.

E non sentì nulla.

Niente aveva più valore o senso.

Mentre i canini di Angelus scivolavano sotto la sua pelle cominciando a succhiare.

E lei avanzava verso l’oblio.


***


Beatitudine.

Soddisfazione.

Realizzazione di una aspettativa a lungo desiderata.

Spike perse quasi il controllo della moto mentre un fiotto di sensazioni doppiamente amplificato lo raggiunse.

Era il piacere del predatore.

L’assoluto potere di chi concede o toglie la vita.

Il tremendo vortice di chi viene sottomesso.

Il singhiozzo sussurrato della preda.

Erano Angelus e Willow.

Il senzo spietatamente lucido del fallimento era solo suo. Invece.


***


Connor guardò a lungo Cordelia e Faith.

Era in silenzio.

Sapeva restare in assoluto silenzio, controllare il ritmo dei respiri e adeguarli a quelli degli altri umani che lo circondavano.

Sapeva diventare invisibile.

E in effetti le due ragazze non parevano fare caso al fatto che Connor fosse lì.

Cordelia non pareva fare caso al suo sguardo innamorato. Incorrotto. E acuto. Che non la perdeva di vista un istante.

Cordelia non poteva sospettare cosa gli si agitasse nella mente…

Faith per la quinta volta in venti minuti sollevò il cellulare, continuando a camminare nervosamente per la stanza.

Avanti e indietro. Avanti e indietro.

Con una mano reggeva il telefonino e con l’altra stringeva il paletto.

Quasi certa che in Flagello avesse potuto materializzarsi alle sue spalle. Con la magia nei movimenti che solo gli immortali posseggono.

Che solo lui possedeva.

E incantarla.

Doveva agire. Se fosse stato necessario.

Doveva agire prima che i suoi lineamenti ammorbiditi dai secoli, quegli stessi che celavano il suo ghigno predatorio, le facessero tornare alla mente il suo Angel.

Doveva.

Doveva ucciderlo.

E con la stessa forza sapeva. Che non lo avrebbe fatto.

Che Wesley lo avrebbe fatto per lei. Se ne avesse avuto la forza.

E che alla fine ci sarebbe riuscito.

Sapeva che l’avrebbe odiato. Se avesse alzato le mani sul demonio.


Chiuse la comunicazione con un senso di inadeguatezza che le opprimeva le membra.

“Wes dice che non trovano nessuna traccia plausibile.

Sostiene che Angelus ha previsto la nostra intromissione e si è preoccupato di creare falsi indizi per depistarci.È convinto che non combineranno niente.

Sembra che il fottuto bastardo ci stia fregando.”

Connor si mosse impercettibilmente.

Ma non era un movimento difficile da captare. Per una cacciatrice.

Faith mormorò un poco convinto “senza offesa” al suo indirizzo appena focalizzò le sue ultime parole. I loro rapporti erano rimasti tesi dal loro ultimo scontro. Tesi e invariati.

Come i loro rispettivi punti di vista.

“fa pure” Connor rise “sai come la penso!”

Cordelia lo fissò un singolo istante prima di distogliere lo sguardo “allora mi spieghi che rimangono a fare la fuori?” morbidamente adagiata sul divano di pelle dell’ingresso stringeva un paio di testi tra le mani e un’altra mezza dozzina faceva bella vista ai suoi piedi.

Freneticamente sfogliava le pagine e buttava un’occhiata alle cartine topografiche della città nella speranza di un’illuminazione improvvisa.

Ma il suo atteggiamento preoccupato contrastava come un verde fosforescente su un grigio sfumato.

La metafora calzava a pennello!

Il suo atteggiamento contrastava con la calma cristallina del suoi occhi.

“per scrupolo” rispose Faith e nel frattempo compose il numero del Caritas per sentire novità da Lorne. “e che ce ne facciamo in questo momento?”

Faith guardò Cordelia con un lampo di indignazione.

“voglio dire.. è inutile che rischino la vita la fuori. se fossero qui uniremmo le forze e troveremmo una soluzione più alla svelta”

Faith la scrutò dubbiosa mentre interrompeva la comunicazione.

Non la stava convincendo.

-dannazione!-

“scusa” disse alla fine con il suo sorriso più stanco “è questa angoscia che mi attanaglia e mi fa dire cose insensate. Sono molto preoccupata… “

Faith si rilassò e ricompose il numero portandosi il cellulare all’orecchio.

-mente- pensò Connor nascondendo il dolore.

Qusi come se avesse chiaramente sentito quell’affermazione Cordelia si voltò cercandolo.

Era sparito.


***


Chiunque avesse visto la moto abbandonata di traverso sul marciapiede avrebbe tirato dritto e fatto più in fretta possibile.

Era bollente.

E piccole nuvolette di condensa si sollevavano dal tubbo di scappamento.

Nemmeno ad uno sbandato sarebbe venuto in mente di fregarsela.

Ridotta poco più di un rottame con la gomma anteriore sgonfia e il copertone posteriore consunto.

Eppure la moto emanava una bellezza, un fascino selvaggio che probabilmente apparteneva al suo proprietario.

Era questo che avrebbe fermato chiunque dal toccarla.

Dal toccare una cosa di Spike.

La certezza che poi avrebbe dovuto trovarsi faccia a faccia con lui quando prima o poi sarebbe andato a reclamare ciò che gli apparteneva.


Il segnale che captava era più nettamente percepibile in quel punto.

Li aveva trovati.


***


E sentiva il peso del corpo fremente del vampiro schiacciarla sulla coperta.

E il fruscio della benda da cui veniva liberata.

Ma il buio delle sue palpebre appannate cresceva d’intensità col passare dei secondi.

Ma non era spaventoso. O innaturale.

Era … piacevole.

Era doloroso.

Era terribile. E intenso.

Era il morso di un vampiro.

-Spike-

mio dio. Non era Spike. Non era Spike. Noneraspike.

Era Angelus.

E voleva ucciderla. E poi farne un suo childe.

Era il Flagello.

E se avesse aperto gli occhi ne sarebbe stata sicura.

Per questo Willow li tenne chiusi.

Serrò le palpebre. Trattenne il respiro più a lungo che potè.

Quando i polmoni cominciarono a bruciarle prese un respiro e involontariamente ottenne un contatto più profondo con la bocca del killer.

Angelus sospirò a sua volta emettendo un basso rauco mormorio di pura soddisfazione.

La debolezza diventava insostenibile. Gli arti e le membra si rilassarono mentre la perdita di sangue le faceva perdere la percezione della realtà.

Era come scivolare.

Era come una musica.

Pam-pam-pam- pam-pam-pam

Il suo cuore.

Era la musica del suo cuore.

Che rallentava.

Il freddo.

Il tremito.

Il suo corpo che vaniva scosso dagli spasmi dei muscoli che perdevano tono.

“Shh”

Angelus che soppresse il suo gemito con un bacio a fior di labbra. Sporcandola di sangue.

Fermandosi.

Per tranquillizzarla.

Angelus. Il Flagello d’europa. Che voleva ucciderla con dolcezza.

Angelus che scendeva verso i due piccoli, innocui, forellini alla base del collo.

Angelus che ne baciava i contorni.

Che ne tracciava il profilo con la lingua vischiosa.

Angelus che le faceva desiderare che non si fermasse.

Poi il dolore.

E infine il buio.

Benedetti sonni di tenebra.


***


Sembrava essere passato tutto il tempo del mondo.

Ed era così stanca.

E mortalmente abbattuta.

Dolorante.

Insonnolita.

E viva.

Era ancora viva, dopotutto.

Quando sentì ancora una volta il peso freddo del vampiro farsi strada sopra la sua pelle istintivamente si tese.

E serrò gli occhi.

Ancora.

La voleva viva.

Per chissà quale giochetto.

O forse voleva ucciderla. Con calma.

Non avrebbe mai voluto saperlo…

Una bocca gelata tracciò un sentiero di baci sulla sua guancia, sullo zigomo, sulla bocca.

Baci velati. E piccoli.

Puri.

Baci di una bocca sporca di sangue.

“bambina…”

Baci adoranti.

-Spike!!-

Willow aprì gli occhi di scatto.

E si sorprese di aver trovato la forza di riuscirci.

Sopra di lei, senza timore di schiacciarla con il suo peso, stava Spike.

Che la fissava senza sorridere.

Perché nei suoi occhi c’era posto solo per il sollievo.

E nel suo cuore solo per un volto.

Socchiuse gli occhi, incapace di sostenere anche per solo pochi altri secondi quello sforzo.

“sp…”

“shh. Non ti sforzare. Riposa.”

Era ferito.

Lo zigomo rotto colava sangue sul viso di neve. Fino alla bocca.

E sulla camicia rossa lacerata si allargavano chiazze di un colore indefinito.

Non riusciva a vedere che pochi dettagli della camera con il peso piacevole di Spike a coprirle interamente la visuale.

Ma stranamente lo percepiva.

Angelus era scomparso.

Non avrebbe mai saputo cosa accadde.

Non seppe mai cosa si dissero.


Spike accennò a spostarsi.

-nonmilasciare-

ma Willow poggiò la sua piccola mano sulla schiena di lui.

-nonmilasciare-

solo allora, finalmente, Spike le sorrise.

“ho capito”

Willow richiuse gli occhi, tranquilla.

Non poteva vedere il sorriso di Spike trasformarsi in limpida rabbia.

Non poteva nemmeno immaginare cosa stesse provando Spike.

Willow ormai era perduta. E non era stato lui. Lui aveva finto di poter fare a meno di lei.

E Angelus se l’era presa

Non apparteneva più, per la legge della sua razza, soltanto a lui.

Ora.

Che non era il suo marchio.

Quello che disegnava sulla sua giugulare un ghirigoro di venuzze bluastre.


Gli occhi si aprirono tirati, nonostante la notte di riposo.

Una piccola lacrima solitaria dal colore del tramonto le scivolò dalle ciglia umide lasciando una traccia densa sulla pelle della tempia prima di scivolare sul cuscino dalla federa candida.

Fuori c’era il sole.

Avrebbe potuto vederlo se avesse aperto le finestre.

Ma poi avrebbe dovuto rinunciare al tepore dolce che solo l’abbraccio di Spike le aveva sempre regalato.

-Spike-

E sorrise.

Perché il vampiro dormiva.

E lei lo aveva visto dormire solo una volta. Anche se non ne era molto sicura…

Non era passato più di un anno e mezzo.

Ma erano cambiate così tante cose…

La sua mano carezzò la mano di lui intrecciata alla sua, col pollice.

Il braccio passato attorno alla sua vita e il capo blandamente abbandonato sul suo seno.

Un odore di tabacco, pelle e gel per capelli le stuzzicò il naso facendole venire voglia di starnutire.

E di ridere.

E di piangere.

Andava tutto bene.

Era viva.

E Spike era con lei.

E lei lo amava e glielo avrebbe detto.

“hey… baby. Ciao…”

la sua voce impastata di sonno, vellutata. Roca.

Lei si chiese per quale motivo aveva potuto perdere tanto tempo in incertezze di ogni genere, se solo aver ascoltato una sola volta la sua voce al risveglio la ipnotizzava in quel modo.

Le faceva desiderare di trovare rifugio nel perfetto marmo inciso del suo petto.

E pregarlo di trovare la sua bocca con la sua.

E raffreddarla. E infiammarla.

E poi prenderla.

Se solo vederlo pronunciare poche parole di primo mattino mentre cercava con gli occhi il suo sorriso e si stropicciava la faccia contro il cuscino pur di non staccarle le mani di dosso.

Se solo sentirlo sollevarsi parzialmente con bacino e scivolare all’altezza del suo viso.

E portar via con la lingua ruvida e dolce la traccia della lacrima ormai secca.

Tutto le gridava nella mente che lo amava come non avrebbe mai più amato.

E che lui amava lei.

Come poteva aver avuto dubbi? Essersi ingannata al punto da non riconoscere il vero motivo per cui era stata folle e addolorata? Per cui aveva desiderato che Tara morisse?

Non si era accorta di niente.

Non aveva prestato attenzione al suo spirito. Al dolore e al vuoto che si allargava dentro di lei.

Alla magia di cui era figlia che sovvertiva le regole e la indeboliva invece di rafforzarla.

Alla vita sempre uguale che stroncava immaginazione e sogni.

Che frustrava le speranze segrete.

E la faceva scivolare in basso.

E ora, con la stessa luce impietosa, guardava dritta davanti a sé.

E tutto era giusto.

Tutto era bello.

Tutto era perfetto.

Aveva rischiato di morire. E non importava.

Il mondo poteva finire. Angel poteva morire. E non era affar suo.

Perché quando c’era Spike non esisteva nient’altro.

E –le luci si abbassavano sul resto del mondo-

“ciao” rispose. E la sua stessa voce era bassa e stanca.

“come stai?” le chiese. E senza aspettare una risposta le tastò il polso alla ricerca della arteria e le posò le labbra sulla giugulare.

Per contare i battiti di quel cuore affaticato.

In due punti diversi.

Sperando che questo bastasse a contrastare la sua distrazione. Sperando che bastasse a donargli la concentrazione necessaria per lottare contro l’odore di lavanda che sembrava provenirle dall’anima.

Contro la cedevole arrendevolezza del suo corpo che sembrava plasmarsi sotto di lui per consentirgli una posizione confortevolmente morbida.

Per evitare l’incantesimo di quei grandi occhi verdi e dorati e del colore arrossato dell’autunno che si spoglia delle sue foglie. Occhi sempre più inumani per una creatura così umana.

Occhi che sembravano poter raccontare le storie di tutto il tempo del mondo

Occhi di fata antichi e giovani.

Occhi così stanchi…

Il conto delle pulsazioni lo soddisfece. La lasciò.

Si alzò dal letto con calma studiata.

Mentre Willow rabbrividiva.

“starai meglio” non gli era sfuggito un singolo spasmo muscolare, anche se s’impegnava molto per non darlo a vedere. “Ma devi dormire ancora.”

“non posso.” disse lei con voce incantatrice

e Spike smise di fingersi distratto. E la guardò bene.

E gli occhi di Willow sorrisero senza arrivare alla bocca.

“tu non sei con me”

e lui non aspettò nemmeno di afferrare completamente il senso della frase e scivolò di nuovo su di lei e coprì entrambi i loro corpi con le coperte di cotone ed il suo amore.

“ah! Rossa. Mi hai trasformato in un bamboccio adorante.” Disse dopo essersi sistemato su un fianco mentre le passava una mano di neve tra i capelli scarmigliati.

Ma non sembrava troppo infastidito dall’idea.

“mi dispiace” e nel dirlo Willow lo tirò su di sé, stupendosi ancora della forza che non credeva di avere. O forse fu solo lo stesso pensiero. Suo e di Spike. Nello stesso momento.

-voglio averti vicino-

“lo so”

“Spike io…”

“non dire niente. Non voglio spiegazioni adesso.”

“va bene.

Ma devo dirti una cosa.

Una cosa soltanto.” Chiese con voce implorante.

“perché ora?” chiese a sua volta Spike intuitivo “credi che non potrai ripetermelo mai più?” rise

“Non voglio ascoltare dichiarazioni d’amore in un momento di debolezza.

E domani sentirmi dire che non era questo che intendevi.

Domani sentire il rimbombo atroce nelle orecchie di un altro No.”

Le strinse il polso facendola affondare nel materasso col suo peso.

“non voglio essere preso in giro da te ancora strega!” disse crudele.

“vuoi questo?” le chiese baciandola senza amore mentre gli occhi si scurivano e l’ombra del male calava su di lui.

Mentre perdeva il pieno possesso delle sue azioni e nella sua mente esplodevano delle grida.

Due grida.

La sua stessa voce.

“e questo sia” disse infilando una mano gelata e sconfortante sotto la camicia di lei a brandelli. E sbottonando con l’altra la sua. “non voglio simulacri d’amore per mascherare bisogni fisici!

Non voglio più falsità e dolore.

Non voglio più sperare.”

Disse. E si aspettò lacrime. E sangue. Grida e isterismo.

Paura.

Si aspettò di vederla correre via.

Si aspettò di sentirla di battersi sotto la prigione delle sue gambe. E morsi e fango gettato in faccia.

E disgusto.

Ma niente di questo avveniva.

Lui la baciava. Violento e irrispettoso.

Lui la metteva alla prova.

La sfidava.

E Willow cedeva.

E Willow baciava lui.

E gli carezzava i capelli ispidi.

E le guance bagnate.

Piangeva.

Spike piangeva. E non ricordava di aver cominciato.

E non ricordava di aver zittito la voce nella sua testa e di aver soffocato i singhiozzi nella nicchia di porcellana del collo di lei.

“io ti amo”

gli disse lei finalmente, continuando a carezzargli la fronte. A stringergli le spalle.

E Spike spense l’ultima lacrima.

“ma io non ti credo.”

E Willow sospirò.

“e allora credimi domani. O il giorno dopo ancora.

Credimi tutti i giorni della tua eternità che io passerò a ricordartelo.

Fosse anche solo nei miei sogni…

Io ti amo Spike.

E l’ho capito troppo tardi.”

Lui si ritirò dall’altra parte del letto come se gli fosse divenuto insopportabile il contatto fisico.

“mi ami?” chiese beffardo “va bene. Ti concedo il beneficio del dubbio.

Mettiamo che tu mi amassi. Cosa diresti se sapessi quello che ho fatto, che continuo a fare?

Mi ameresti ancora?”

“uccidi”

e Spike quando quella parola prese a brillare su di loro come un fuoco d’artificio che deve espandersi, esplodere e poi spegnersi, si voltò di nuovo verso di lei “sapevi? Tu… sapevi?”

“continui a uccidere ogni notte.

Solo donne.

Donne che ci somigliano”

-a me e alle altre che ti hanno fatto a pezzi il cuore-

“anche questo?”

“mi è bastato guardarti ora.”

“strega…”

“e telepate. Si. L’ho fatto. ho visto i tuoi ricordi.

Prima mentre mi stringevi, mentre sembrava che volessi uccidermi…

Quelle immagini mi hanno chiamato. Sembrava volessero essere trovate.

Si sono insinuate nella mia mente fino a che io non mi sono decisa a seguirle nel percorso a ritroso nella tua. E a loro si sono sostituite altre immagini. E tutto mi si è mostrato.

E ancora quelle immagini mi dicevano che eri un mostro.

Mi chiedevano di ucciderti, di lasciarti. Mi supplicavano adoranti di cederti e lasciarmi prendere.

…”

“e poi?”

e alle orecchie di Willow quella voce parve quella della timida ritrosia di un bimbo.

Del bambino che doveva essere stato.

“poi…” sospirò ancora “poi ti ho visto. Ho ricordato chi sei.

E ti ho amato di più”

“e le voci sono scomparse”

“e le nostre lacrime sono cadute.”

“Ma anche se tu mi amassi… tu non accetterai mai chi sono.

Tu ami William, forse.

Tu ami il patetico umano che mi porto dentro più pesante di un fardello. Ami il suo volto. E il suo corpo. Ma come potresti amare il demone?

Mi ami?

Tu non sai nemmeno più chi sono!”

“io … ricordo.

Quella volta nel sottopassaggio.

L’ultima in cui…

Ricordo che ti dissi che non sapevo chi tu fossi.

Ma mentivo, Spike! Mentivo…

Era me stessa che non sapevo riconoscere.

E grazie a Angel…” s’interruppe.

Perché vide dolore, rabbia, gelosia passare negli occhi dell’altro.

Al solo nominare il suo sire.

E Spike tentò di nuovo di alzarsi.

Di sorprendersi a sperare che tutto finisse.

Lasciare quella camera divenuta all’improvviso soffocante.

Lasciarsi finalmente alle spalle lei…

Ma tentò.

Non riuscì.

Per le mani di lei, chiuse a pugno sulla stoffa sottile della sua camicia. E le lacrime che di nuovo copiose bagnavano la pelle di rosa.

“non andare via. Non andare via.nonmilasciare!” implorava “io ti amo. E non parlerò mai più di lui. Però ti prego resta con me…”

e Spike la strinse.

E la baciò. Piano le labbra secche. Socchiudendole appena prima di staccarsi ansimante da lei. Come se quello sfiorarsi l’avesse prosciugato.

Fissando inorridito, ancora una volta, la linea sinuosa e invitante del collo di lei.

Tremando al pensiero che in ogni momento lui avrebbe potuto venire a reclamare una cosa sua.

Una cosa che aveva rivendicato e che gli spettava. Lui, colui che lo aveva fatto.

E che perciò possedeva entrambi.

Dividendoli eternamente.

“Spike… cosa..?”

le indicò senza parole la cicatrice rimarginata solo per metà che brillava sulla pelle macchiata da gocce cristalline di sudore.

E Willow si toccò quei due piccoli fori.

E l’orrore montò in lei, attraversando il corpo di Spike. Lasciandolo esausto.

Come se la scarica di emozioni che era entrate in Willow gli avesse esaurito le energie.

E sentì Willow alzarsi dolorante e cauta.

Ed entrare per intuizione in quello che doveva essere il bagno.

Sentì l’acqua scorrere.

Sentì il profumo dolce del sapone e la morbidezza di una mano che si carezzava e sfregava la pelle.

Sentì i nervi tesi rilassarsi nel tepore dell’ambiente.

Poi più nulla.


Quando Willow uscì dal bagno facendo poco rumore non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse passato.

Ore o minuti. O pochi secondi.

Ma sapeva che gli era mancata.

E con altrettanta lucida certezza che avrebbe dovuto imparare a convivere con quella sensazione nei giorni a venire.

“Spike…” lo chiamò, volendo che lui si alzasse da quel letto e andasse verso di lei.

E Spike si alzò.

E la vide.

Nella semplice vestaglia da camera. Seta rosa ciclamino. Lucida e lunga fino al ginocchio.

E la gelosia montò ancora una volta in lui, considerando che quell’altro l’avrebbe vista così.

E l’avrebbe baciata.

Non fosse arrivato in tempo…

“so cosa ti succede…” il filo dei suoi pensieri interrotto da quelle poche parole. “so cosa provi…”

e Spike la fissò andando verso di lei come un sonnambulo.

Prendendole le mani. E passando la bocca su tutte e dieci le piccole dita.

“perché lo sento.

Sento il tuo demone e la sua rabbia. Sento il tuo dolore che mi implode nelle orecchie come se fosse il mio. Ti sento, Spike … tu non mi senti?”

Come rispondere a quella domanda? Legittima e banale…

“io ti… sento, sempre”

-e ti amo-

“io ti amo William the bloody.

Ti amo sanguinario. Amo ogni cosa di te.

E so cosa desideri.”

E fece scivolare la corta vestaglia sulla pelle gloriosamente nuda.

E mentre la stoffa si accartocciava ai suoi piedi con un rumore soffuso, Spike seppe che avrebbe potuto finire la sua vita eterna soltanto guardandola.

Soltanto prostrandosi ai piedi di quella divina bellezza, adorante.

Soltanto questo gli sarebbe bastato.

Ma lei voleva dargli di più.

Lei gli si stava offrendo.

E chi era lui per rifiutare?

Le prese la bocca possessivamente impetuoso. Tirandola a sé con una mano.

Stringendole le spalle, la vita.

Era impazzito.

Doveva toccare.

Aveva bisogno di toccarla.

Pelle e lingua e denti e carne.

Le prese il viso e tracciò tanti piccoli baci: tempie, zigomi, palpebre, naso, guance, mento.

Le baciò la bocca. Ma non le diede il tempo di rispondere a quel bacio.

Inclinò la testa per baciarle un piccolo neo che capeggiava isolato sul petto.

E le prese un capezzolo tra le labbra.

Mentre Willow sentiva e non sentiva.

Voleva le mani di Spike su di sé e sapeva che non era quello il motivo per cui gli si era offerta.

E non era giusto diventare sua nel corpo… se quel corpo era già di un altro.

Per questo le sfuggì un gemito, in risposta alla negazione che la sua stessa mano compiva.

“s-Spike aspetta…”

E lui le strinse le mani sulla schiena e la fece aderire completamente al suo corpo ruvido di indumenti.

Le poggiò la fronte contro la fronte di lei con un sospiro.

Chiudendo gli occhi per un attimo. E poi riaprendoli.

“cosa c’è amore?”

E negli occhi di Willow guizzò la gioia più pura a quella domanda.

Facendole perdere per un momento la cognizione di se stessa e di ciò che gli voleva dire.

“mi ami, allora?” gli chiese stupidamente

e Spike le regalò uno dei suoi sorrisi, quelli… si, insomma… quelli suoi! I famosi sorrisi alla Spike!

Facendole capire solo in quel momento quanto le erano enormemente mancati…

“e secondo te, bellezza, perdevo tutto questo tempo con una che nemmeno mi piaceva?”

le strizzò l’occhio.

Tornando ad essere per un momento lo Spike di tanto tempo prima, quello della loro strampalata e troppo breve convivenza.

“non mi hai risposto…” sorrise

“a no?”

“no, hai usato il verbo piacere, non amare” precisò lei

E sembrò che tutto il mondo convergesse in quella stanza. E che tutta la luce e il buio e le emozioni che potevano entrambi contenere li accecasse e svuotasse e riempisse contemporaneamente.

E lui, mortalmente serio, sembrava, a dispetto dei suoi occhi di ragazzo, incarnare la promessa dell’eterno più limpido.

Mentre diceva con voce sussurrata un

“si”

forte e sicuro nelle sue orecchie di bambina. E la baciava di nuovo.

E le baciava la bocca, e il lobo dell’orecchio.

E il collo.

Irrigidendosi appena sfiorò con le labbra quei due piccoli forellini..

“sp-Spike” la voce esitante di lei lo chiamava.

“so che ti è insopportabile. Vederli.”

E lui si sforzò di sorriderle come prima

“passerà”

“No. Saranno sempre lì. Ma tu potresti…”

E Spike la guardò come se non l’avesse mai vista prima.

Come se quella ragazza che brillava di decisione non fosse lei.

“io potrei cosa?” e gli tremava la voce

e Willow lo baciò lasciando che tutto il suo amore, e rispetto e dolcezza trapelasse da lei.

E lo ubriacasse. E lo lasciasse interdetto e senza parole per non aver mai sospettato quanto potessero essere forti i sentimenti di lei.

E Willow lo guardò esitante, ancora. E ancora.

Eternamente prima di decidersi.

Prima di inclinare lievemente il capo e lasciare che i capelli lucidi scivolassero sulle sue spalle in una massa odorosa.

Ed esporre il collo dallo stesso lato della cicatrice ancora fresca.

Pregando che capisse.

Pregando che non avesse ribrezzo per quel morso.

“cancellalo”

disse in un fruscio di lingua che parve sordo alle sue stesse orecchie.

E Spike capì la vera natura della sua offerta.

“cancellalo” ripetè lei, più forte. Convinta che lui non avesse potuto udirla.

“e sostituiscilo con il tuo.”

Disse alla fine poggiando il capo sulla spalla di lui respirando forte.


***


Era un vicolo.

Ed era il corpo di una ragazza. Corti capelli rossicci, un visetto vispo pieno di lentiggini.

Angelus l’aveva morsa sorbendo una sola sorsata. Con tanta ferocia da lacerarle la gola.

E poi l’aveva gettata sull’asfalto, osservandone affascinato i singulti strozzati mentre si affogava nel suo stesso sangue.

Rise, sollevando un poco verso destra il capo e guardando il buio oltre la sua ampia schiena.

Una di quelle risate di tenebra e perdizione. Quelle che assurdamente lo rendevano ancora più affascinante. Perché Angel non rideva mai così. Alle volte, semplicemente, non rideva.

“non credevo di aver tirato su un figlio con un gusto tanto vouyeristico…”

“non sono tuo figlio!”

disse Connor, uscendo dall’ombra grigia del palazzo.

“a no? È questo che ti ripeti? È questo che LUI ti ha detto, e TU gli credi? Ah! Ragazzo mio…”

“tu sei un mostro.”

“errore. I veri mostri sono coloro che vanno contro natura. In tal caso, tu lo saresti.

Non è forse questo che tu e la tua specie di supereroi fate? Salvare vite? Tu eri lì… e non hai fatto niente.” buttò un’ultimo sguardo distratto al cadavere e si voltò verso il ragazzo. “non che avresti potuto fermarmi, ma sarebbe stato onorevole un tentativo…”

“basta chiacchiere!”

Connor si slanciò in avanti con tutto il suo peso, colpendo Angelus con la spalla all’altezza dell’addome, volendo atterrarlo.

Angelus si sbilanciò un poco, ma immediatamente respinse l’attacco gettando il ragazzo contro il muro alle sue spalle.

Si riassettò il bavero della giacca prima di fermarne il corpo premendo un piede sul suo petto scarno. “e così colpiresti tuo padre?” chiese divertito.

“no. Io lo ucciderei!”

Angelus rise ancora più forte. “allora sei proprio MIO figlio!” disse scostando il piede e permettendogli di alzarsi.

“va via ragazzo! Ho affari di famiglia più urgenti da sistemare!”

“bè, mi spice per le tue urgenze… ma il tuo tempo è scaduto!”

Angelus schivò il secondo colpo. “ragazzino… non ho tempo per i giochi! Papà ha da fare!”

“papà dovrà trovare il tempo stavolta!”

e Connor, mentre lo disse, lanciò fulmineo un paletto verso il cuore del vampiro che gli si conficcò nella spalla.

“e va bene! sei riuscito ad attirare la mia attenzione!” disse estraendo il legno dalla sua fodera di carne. “vuoi giocare? Ammetto di essere stato un padre poco presente nella tua vita ragazzo! Io e te non abbiamo davvero mai giocato…”

“non c’è più tempo per i giochi!” Connor ancora una volta caricò.

E ancora una volta fu respinto.

Angel non era mai stato così pronto. Non gli aveva mai fatto così male!

E la confusione dimorò per qualche istante nei suoi occhi scuri.

“e già! Lo dicono tutti… possibile che proprio tu non ci creda? IO non sono LUI! E non ho problemi a sventrarti piccolo!

Davvero pensavi” –pugno- “che Angel fosse” –parata- “COSI debole?” -spinta e calcio- “ io non temo di colpirti. Io VOGLIO farti male!”

“allora siamo in due!” Connor sputò un fiotto di sangue “perché io non vedo l’ora di farti il culo!”

disse caricando di nuovo.

“ah, le gioie della paternità!!”

Ma stavolta Angelus non sorrideva.


Nella sua camera Cordelia fu afferrata da un improvviso giramento di testa.

Un grumo di saliva acidula le salì alla gola, si accasciò senza forze.

E vomitò.

Quando gli spasmi si acquietarono aveva una strana luce negli occhi. “No!” sibilò stizzita.


“non sei stanco ragazzino?”

“e tu, fossile?”

Entrambi ansimanti. Coperti del proprio sangue e di quello dell’altro.

Il vicolo e il buio.

Occhi gialli e nocche spellate.

Vestiti a brandelli. E furore.

E colpi incessanti. Incuranti di stanchezza e dolore fisico.

“e così è vero, non mi hai mai amato!” e la voce di Angelus assomigliava tanto a quella di Angel.

“no. Mai. Nemmeno per un istante.

Tu non meriti di vivere.”

“e allora perché non mi uccidi? Non ce la fai? Non sei abbastanza forte?

Coraggio piccolo… non ci stai nemmeno provando!”

“tu non sei lui!”

“coraggio Connor. Fa quello che ti ho chiesto. Ricordi…”

di nuovo Angel e quel timbro caldo, fatto di preoccupazione e affetto,

“se qualcosa dovesse andare storto…”

imitato così male…

Angelus rise di nuovo “che delusione ragazzo! Non riesci nemmeno a esaudire le ultime volontà del tuo paparino… vedi, non ci sarà più lui a proteggerti. Non tornerà. Non fermerà la mia mano…

Uno di noi due morirà ora.

E l’altro sarà già morto.

Non abbiamo mai avuto scelta tu ed io.”

“io non l’ho mai amato. Ma non l’ho mai nemmeno odiato.

Non come odio te!!”

“non importa cucciolo. A ciascuno il suo!”

Pochi attimi interminabili.

Occhi negli occhi. Perché quando stai per uccidere o morire, il tuo avversario merita limpidezza.

Un ultimo scontro.

La carne trafitta, le mani, i denti, le unghie, i pugni.

Un abbraccio di morte tra un padre e un figlio.

“il cerchio si chiude sempre.”

Il rumore di un corpo che si affloscia, il collo spezzato…

Un ragazzo giovane…

E tanta polvere…

“mi dispiace. Mi dispiace così tanto…” piangeva Faith, con il capo abbandonato di Connor tra le braccia, inginocchiata sulla cenere.

Il paletto rotolato lontano.

Niente aveva più senso.


Era scesa in strada.

Affannava.

Il contatto del tacco spezzato sull’asfalto strideva.

Il corpo, che dall’interno, dava la sensazione di sfaldarsi di minuto in minuto.

La sua linfa, il suo nutrimento… si sentiva soffocare Cordelia.

No! Si sentiva soffocare -la COSA- che INDOSSAVA Cordelia.

E la Cosa sapeva. Sapeva che stava accadendo.

Il suo nutrimento, era svanito.

Il suo legame con Connor. E con Angelus.

L’odio.

Che le aveva permesso di sopravvivere tanto a lungo, in una atmosfera così poco congeniale per lei, un demone primigenio, era cessato.

Arrivò nel vicolo.

E semplicemente implose.

E l’involucro, Cordelia, chiuse gli occhi.


“Il cerchio si chiude sempre.”


***


Il cellulare le tremava in mano.

Aveva provato a sollevarsi in piedi. Ma era solo riuscita ad accasciarsi in un angolo e vomitare sangue.

C’era stata una implosione folgorante.

Tanta luce blu si era liberata dal corpo di Cordelia.

E lei, Faith, l’aveva sentita. Un potere talmente oscuro, che sentirsene invasa fu come soffocare, rinascere e morire TUTTO INSIEME.

“Wes… io…”

“dove sei?” le chiese prontamente l’uomo. La voce decisa ma insidiata da una serpeggiante preoccupazione.

“Wes è successo…” Faith non riusciva a parlare. Aveva un grumo di sangue ostinatamente in gola.

“Faith! Dove sei?”

“in un vicolo, non so. Non lo so più Wesley!!” e pianse, pianse di nuovo.


Non avrebbe saputo dire quanto tempo passò Faith.

Sentì solo le braccia di Wesley stringerla. Di nuovo.

Mentre piangeva. Come quel giorno.

“Wes io… io ho dovuto cazzo! Ha ucciso Connor.

Ed io ancora non l’avrei ucciso Wes. Lo giuro! Non l’avrei fatto per vendicare quel ragazzo.

Per nessuno al mondo avrei toccato Angel. Nemmeno per te!

Se solo non mi avesse sorriso Wes…

Mi ha sorriso.

E io ho capito che Angel era perso per sempre.

Perché Angelus si sarebbe ucciso piuttosto che lasciarsi maledire di nuovo.

O mio dio! Sono successe troppe cose.

Troppo in fretta.

E Cordelia… c’era un demone dentro di lei. Qualcosa di maligno.

Si è accasciata davanti a me. Credo sia morta…

Io… io…”

“no. Respira.”

E per quanto avrebbe dovuto controllare accuratamente le condizioni di Cordelia, oppure preoccuparsi di Willow, disperarsi per Connor. O semplicemente piangere il suo amico.

Wesley non riusciva a fare altro che stringere Faith a sé.

E pensare che in quella assurda notte di perdite, lui era stato incredibilmente fortunato.


***


“cancellalo. E sostituiscilo con il tuo.”

Ripetè Willow. E per la millesima volta in quella manciata di secondi pensò che forse lui stava per rifiutarla…

Ma Spike scivolò nel volto della caccia.

E sfregò il lunghi canini perlacei contro la pelle sottile del collo di lei. Mentre la ragazza rabbrividiva.

E poi le baciò l’arteria.

E rialzò il viso su di lei. E le baciò la bocca.

E lei rispose con uguale trasporto, incurante del suo viso demoniaco.

“Tu mi hai visto Willow.” Le disse staccandosi, e guardandola con occhi dorati. E blu notte. Occhi come quelli li possiede solo Spike…

“Hai visto il mio peggio. Hai visto quello che sono. E hai saputo dirmi che mi ami.” Sussurrò quelle parole sul suo orecchio toccandone il lobo sensibile con la lingua e col fiato.

“E io amo te. Ogni più piccola parte di me ti ama.

Il mio demone ti ama.”

Affannò Spike. Come se dire quelle parole lo stancasse. Lo prosciugasse. Come se fosse uno sforzo troppo grande ammettere con se stesso e con lei, di amare.

Sapere di essere ricambiato. E rischiare.

Rischiare ancora.

Solo che stavolta non erano in gioco ossessioni o lussuria. Stavolta la posta in gioco era molto più alta. E perdere avrebbe significato distruggersi.

“Non potrei mai farti del male. Non potrei mai ucciderti e permettere a un demone di vivere al posto tuo, di imitarti oscenamente.”

Le disse quando la sentì irrigidirsi al contatto coi suoi canini. Il fiato corto.

“Voglio solo prendermi ciò che è mio.

Non avere paura.”

E poi, la Morse.


***


“Che faremo adesso Wesley?”

l’osservatore guardò verso la donna. Minuta, vestita di nero, gli occhi grandi lavati di pianto.

“non è il momento di abbattersi ora. Non . possiamo contare le perdite.

Il sole non è tornato.

La Bestia è fuori.”

“lo so. Abbiamo ancora tanto da fare.

Intendevo tu ed io. Che faremo, noi?”

E Wes, finalmente, sorrise. Il primo vero sorriso da quando avevano seppellito Connor e portato Cordelia all’ospedale. E disperso le ceneri di Angelus.

“noi Faith?”

“io e te Wes…”

disse la cacciatrice avvicinandosi a lui, prendendogli le mani.

“io ho fatto tanti sbagli. E sicuro come l’oro, sbaglierò ancora! Ma tu… se ci sarai tu a guidarmi… penso che riuscirò a sbagliare DI MENO!”

“e allora che faremo Faith?”

“io… penso che noi…” sfiorò la bocca dell’altro con la sua.

“noi…” soffiò lui sulla pelle di lei

“noi abbiamo una Bestia da prendere a calci in culo!” disse Gunn, un’enorme ascia pesante tra le mani. E dietro di lui una pallidissima Fred armata di balestra.

“hanno ragione.” Disse più serio Wesley.

E Faith annuì. A suo modo, triste.

“ma ne riparleremo!” le disse l’uomo baciandola sulla bocca prima di fissarsi un paio di pugnali alla cintura. E precedere i suoi compagni fuori.

Era vero.

C’era il lavoro di eroi da fare…


***


“sono svenuta di nuovo…” sorrise deliziata Willow. Deliziata di sentire quel pizzicore alla base del collo. Così vero. Così giusto.

“Angelus è morto.”

“lo so. L’ho sentito. Attraverso te. attraverso lui.”

“andiamo via. Andiamo via da qui. Non voglio restare.” Spike, inquieto stava appoggiato con le braccia distese verso il buio della finestra. La testa china.

“andare dove?”

“in Europa forse, in Sudamerica. Ovunque, ma non qui.”

“perché?”

“perché qui non riuscirò mai a ricominciare. A lasciarmi tutto alle spalle.

Tutto qui sembra soffocarmi! Angel. Angelus.

Le mie vittime. Buffy. A volte, Perfino TU.”

Willow si tirò seduta sul letto. Allargò le braccia verso di lui.

E Spike ne scorse il riflesso nel vetro dinnanzi a sé, ne sentì il fruscio. E si protese immediatamente. Si accoccolò sul letto, davvero così stanco… Poggiò il capo nell’incavo morbido della spalla della ragazza.

“ti amo” le disse. Così, senza motivo. Solo perché era bello dirglielo.

Ed era bello sentirsi ripetere “anche io”

“allora perché non vuoi venire via con me?”

e Willow ancora una volta si sorprese di quanto Spike la conoscesse, di come fosse in grado di leggerla nel corpo e nello spirito.

“questa è la mia casa Spike. È la mia terra. La mia vita.

Ed io la lascerei per te. Ora. Senza pensarci. E senza rimpianti.” Gli disse lei, accarezzandogli i capelli per sollevargli indietro il capo, e lasciare che lui leggesse la verità nei suoi occhi, la odorasse sulla sua pelle.

“allora perché?”

“perché non è finita. Angelus è morto. Ma il sole non risorge.

La Bestia…”

“tu non sei una prescelta Willow. Non sei destinata a combattere il male. Non sei tenuta a farlo.”

“lo so. Ma ho scelto di farlo. Per questo sono venuta qui. Angel… lo sapeva.”

E gli occhi di Spike si annebbiarono. E il suo corpo tremò per il dolore.

Ecco. Si stava sgretolando.

“ma se tu me lo chiedessi… se tu mi chiedessi di nuovo di seguirti, io non ti potrei rispondere di no.” “ma non saresti felice…” sussurrò lui con voce strozzata.

“sarei immensamente felice. E ringrazierei il cielo ogni giorno per la mia scelta. E ogni giorno la rimpiangerei…”

“e allora quando? Quando potremmo stare insieme?” chiese ancora lui. Un peso sul petto. Un dolore in ogni fibbra di sé.

Era così che si moriva?

“forse… un giorno… quando non potrò più combattere…”

“e sarai troppo vecchia. E potrai solo morire!!” lo ringhiò. Eppure la strinse più forte.

“combatti con me. Resta Spike. Non chiedermi di partire con te. Invece RIMANI.”

“questa non è la mia casa. La mia casa è l’inghilterra!” rispose con un’espressione che lei non gli aveva mai visto. E dalla passione con cui lo disse, quella doveva essere stata l’espressione di William. “allora forse è lì che dovresti tornare…”

“anche se questo mi spezzerebbe?”

“tu sei forte Spike! Tu potresti essere un eroe…”

e Spike rise. Disperatamente.

“ma come fai rossa? Come ci riesci? Sollevare un vampiro in paradiso e poi scagliarlo nella disperazione più nera…”

e lei gli accarezzò in punta di dita il bel profilo aristocratico.

“temo sia un fattore genetico…

Spike… non piangere…”

E la voce di lei si era fatta sussurro di miele e sentimento.

“posso provarci rossa. Posso provare per te ad essere un eroe.

Ma non lasciarmi solo…”

“non ti lascerò mai solo. Anche se resteremo separati.”

“NO!”

e si staccò da lei Spike. Dal suo corpo morbido che odorava di lui.

“SI, invece. Tutti gli eroi devono trovare se stessi, sai? E poi TORNARE dalle loro donne.”

E lo raggiunse. E gli abbracciò le spalle.

“guardami Spike. Io ti amo. E questo” disse prendendogli piano la mano e portandosela sul cuore “questo non mente.”

“lo so. È solo… che FA male.

e domani… farà male. Di più.”

“oh, lo so.” E stavolta furono gli occhi di lei a non trattenere più le lacrime.

“ma questo…” Gli disse lei, convinta. Spostandogli la mano dal cuore al segno dei denti. “questo ci legherà. Per sempre.” “certo. Perché è MIO.”

“e allora non avere paura di perdermi. Non avere paura di fare la cosa giusta…”

e Spike si ricordò in un istante di tutti i motivi per cui aveva scelto di amare lei: Willow Rosemberg.

Così Willow lo rivide: il suo adorato sorriso alla Spike.

Il vampiro rideva. E non sembrava più sul punto di frantumarsi…

“Tu sei l’unica cosa della mia vita vecchia di secoli che porterò con me quando andrò via.”

“ma poi TORNERAI.”

“tornerò. Tornerò per te. E sarò un CAMPIONE!”

E Willow pianse. E poi rise. “sai Spike? Detesto fare la cosa giusta!”

“tesoro… abbiamo ancora un po’ di tempo per dimenticarci della santità e giocare a fare i ragazzacci cattivi…”

“ah, si?”

Non le rispose lui. E la baciò. E le strinse le braccia attorno al corpo.

E la amò con tutto se stesso.


-Il cerchio si chiude. Sempre.-




FINE.




“All the good things must come to an end”


“Fuoco e ghiaccio” è finita.

E vorrei spendere due parole per ringraziare tutti quelli che l’hanno apprezzata nonostante i miei ritardi, i miei ripensamenti e le mie fobie.

Non sapevo che fare, perciò ho temporeggiato! Non volevo finirla, poi volevo rimaneggiarla, poi riprenderla daccapo. Per un po’ ho pensato davvero che l’avrei fatto… ma la mia sorella maggiore mi faceva notare che difficilmente i progetti buttati giù di getto poi vengono corretti a posteriori razionalmente…

E perciò ecco qua.

Ho scritto un finale facendo del mio meglio per mantenermi in tema coi personaggi (non del tutto in character), con la story line che ho creato e soprattutto col mio stile che si è modificato incredibilmente rispetto ai primi capitoli.

Infatti sono convinta che se dovessi cominciare a scriverla adesso, verrebe fuori molto diversa!

Questa storia è nata in sordina, mi ha portato un sacco di soddisfazioni e in egual misura grattacapi… ma è un pezzo importante dei miei ricordi di scrittrice. E ci sarò sempre legata.


Un grazie di cuore alle mie “Bloody girls” Morry, Lau, Sere, Spuffy, Raffina… perché se ho scritto è stato soprattutto per voi! Alle ragazze che mi hanno sempre commentato nei forum da Cordy e Stellina.

Uno o più mozzichi riconoscenti alla vampira Carmilla, che ha imprecato, insistito, minacciato, organizzato fallimentari (mea culpa) Round Robin, tutto pur di vedere una fine di questa ff. E che ho portato sull’orlo della disperazione tanto che in una delle nostre chilometriche telefonate mi disse “la finirei io (fic-writer mercenaria) se tu me lo chiedessi!”

Ancora, grazie alla disponibilità e agli incoraggiamenti di Franca e Rogiari. E di Franz (che ha letto e garbatamente commentato che la fic era troppo mielosa per i suoi gusti e che preferiva le mie ff più maschie!)

Grazie a Margot che mi ha ospitato, spronato, sfottuto (“Pedi, io prima o poi almeno una delle tue ff vorrei vederla finita…”) e che ha elucubrato con me e suggerito il modo per chiudere la questione Angelus-Connor-Cordy.


Spero che questo non suoni incredibilmente retorico. Però ci tenevo a dirvi quanto è bello sapere di riuscire a comunicarvi qualcosa, a farvi sognare, a farvi immaginare le scene che descrivo.

Mi ripagate di tutte le emozioni che tesso e cucio (e imbastisco) per voi.

Perciò ancora una volta grazie!


Insomma… per un po’ riuscirò a starmene tranquillina…

Ma so che la pacchia durerà poco, e che le minacce riprenderanno!!

Infondo c’è ancora “Bring me a cloud” da finire… ^_-


Vi voglio bene.


Pedi.