Arte Mi Sia

Disclaimer: i personaggi citati nella storia, ad eccezione del pittore, non mi appartengono e non vengono usati a scopo di lucro. L’autrice scrive per piacere personale e non intende violare alcun copyright
Summary: Angelus, la sua famiglia e un pittore che delude le sue aspettative…
Pairing: Angelus-Dru (accennato)
Timeline: fine diciannovesimo secolo, non precisata
Raiting: pg13, per sicurezza su una scena accennata di tortura.

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Arte Mi Sia

La stanza in penombra odorava intensamente.

Era pervasa di quell’aroma un po’ aspro, un po’ solleticante di acqua ragia e vernice.

Le tele, alcune concluse, altre bianche occupavano quasi tutto lo spazio della grande sala dal soffitto altissimo aperto grazie a un largo lucernaio.

-L’emozione che si prova quando si entra nello studio di un artista è quasi stordente-

pensò lo straniero vestito di velluto.

Tutto quel fermento intellettuale, il piacere orgasmico della creazione, l’espressione e l’intensità che un dipinto era capace di trasmettere poteva spingere un uomo a contemplare lo stesso quadro per ore. A rivedere lo stesso quadro per infinite volte. E ogni volta trovarlo diverso.

"Quando ero soltanto un ragazzotto inesperto credevo che amare il bello mi mettesse al riparo dal pericolo di innamorarmi delle brutture.

E poi, mio buon amico, ho capito che di solito si tende a riconoscere il bello anche nelle sue varianti più infime!" disse lo straniero con la sua voce di fumo e violette accarezzandosi i baffi alla moda e sottili. L’altro, un uomo dall’apparenza semplice ma che ispirava soggezione per il suo atteggiamento distinto, accennò ad annuire col capo, chinato sul tavolo davanti a lui.

"vedete, mio caro, ho sempre avuto la capacità di ritrovare il genio. Posso vedere la fluidità delle vostre linee, perfino intuire il guizzo della creazione guardando appena uno dei vostri lavori…" disse ancora lo straniero accarezzando una strana specie di cornice di legno mantenuta in piedi su due aste e divisa in tanti quadrati da lunghi e sottili ferri tubolari.

La mano dell’uomo accarezzava la struttura con grazia solenne. Sembrava quasi trasparire rispetto dai suoi gesti accurati.

"curioso oggetto il Reticolo… in molti, fin dal seicento, lo usavano. Confesso che mi sorprende trovarlo qui, amico mio… è comico, non trovate?

L’uomo prima dipingeva accontentandosi di osservare i soggetti dallo spazio di un metro. Poi qualcuno deve essersi accorto che il mondo è un po’ più grande…"

Alla luce delle lunghe ombre del crepuscolo la figura dello straniero sembrava incredibilmente possente. Si muoveva con cura attenta a non sporcarsi tra i cartoni per lo spolvero e le tele ancora fresche sui cavalletti.

Ora si fermava ad osservare lo studio sanguigno di un volto, ora il tratto veloce dello schizzo di un muscolo.

"eh si, amare il bello mi pone irreparabilmente tra coloro che sanno riconoscere il talento." Disse piano scandendo bene, come se volesse accentuare per vezzo una sottile difficoltà della sua lingua ad accarezzare le sillabe difficili dell’italiano dell’Impero.

"e voi, mio buon amico, ne possedete molto" disse ancora rivolgendogli le spalle, estasiato nella contemplazione di un paesaggio di mare e nuvole e tempesta.

L’altro uomo, ancora annuì, con un cenno solerte e abbassando un poco il mento lievemente ingrigito.

"eppure…" disse cambiando tono, passando dalla sincerità ammirata di chi è cosciente di non poter fare altro che riconoscere un merito, alla melliflua inclinazione dello scherno "sono rimasto molto deluso della vostra poca cortesia… non vi avevo chiesto che un ritratto per la mia bambina e le sue bambole…"

L’altro uomo, a quelle parole, sembrò coprirsi di un velo sottile di sudore freddo. E un’impressione di timore mista a vergogna cadde sui suoi fieri lineamenti.

"… mi domando cosa può avervi spinto a rifiutare la mia richiesta…

la mia bambina è rimasta molto delusa. E io sono sempre irritato quando qualcuno delude la mia bambina. Del resto, se non sono questi i compiti di un padre… occuparsi dei propri figli. Fare in modo che tutti i loro desideri vengano soddisfatti, con il minore sacrificio possibile." Disse ancora lo straniero. Ma stavolta fece in modo di mantenere il suo viso alla luce pallida e innaturale delle candele, così che l’altro uomo seduto potesse vederlo.

"non è vero Dru? Non è vero bambina mia che è questo che fa un buon padre?"

E allora una fata fece il suo ingresso nello studio elegante.

Una fata dagli occhi viola e dal viso delicato.

Una fata con gli occhi gialli e due orrendi denti aguzzi sporgenti dalla bocca di rosa.

No!

Un mostro! Un abominio. Non una fata.

Un demone.

"papino… fammi giocare un po’ con questo cattivaccio…"

gli occhi dell’uomo si sbarrarono. "io…" tentò di dire

"oh, ma suvvià… non aggiungete altre parole mio buon amico! Abbiamo già detto tutto. In fondo tra gentiluomini ci si intende"

e l’altro uomo ammutolì all’istante, perché c’era una sotterranea linea retta di irritazione sotto la gentilezza di quell’ordine.

E fu allora che la donna dagli occhi dorati e viola si avvicinò e gli si sedette sulle ginocchia. Accarezzando le strette fasce di garza che gli immobilizzavano le mani ai braccioli della poltrona.

"oh!" esclamò delusa "paparino ti ha legato vero? Mio povero pulcino ingrigito…

tu vorresti che io ti permettessi di andartene, che mi mostrassi misericordiosa… i tuoi occhi me lo dicono. E sai cosa altro mi dicono? Che hai paura del mio papà. Shh." Sussurrò allungandosi come una gatta fino a sfiorare il suo orecchio con fare complice e seduttivo. "Puoi stare tranquillo. Lui lo sa già. E si sta divertendo un mondo!" rise.

"Dru. Non spaventare il nostro amico tesoro."

E la donna mise un broncio che sarebbe stato adorabile se solo non fosse stato rovinato da quei denti troppo sporgenti.

"ma paparino… perché non posso giocarci?" chiese carezzando i capelli ispidi color antracite.

Lo straniero le scivolò davanti porgendole una mano per farla alzare e poi baciandogliela.

"perché paparino non ha piacere di privarsi di una cosa bella.

E vedi tesoro, questo nostro fortunato amico è un creatore di cose belle"

"non lo posso nemmeno assaggiare?" chiese ancora la donna sussurrando sulla bocca del suo amante prima di baciarlo "per favore?"

"Dru, bambina, ho detto no."

E gli occhi della donna si dilatarono un poco, per la sorpresa. "ma non gli faremo niente? Lui è stato tanto cattivo…"

E fu allora che il sudore freddo che aveva imperlato la fronte e le tempie dell’uomo parve inzuppare, dietro la schiena, la camicia di flanella, mentre un sano terrore prendeva il posto dell’incerta paura.

Lo straniero aveva sorriso.

Ed era uno di quei sorrisi che l’artista avrebbe tanto voluto avere la possibilità di riprodurre su una delle sue tele. In uno di quei quadri sulle torture medievali che andavano tanto di moda… sarebbe stato perfetto sulla bocca del carnefice.

La donna con lo straniero sorrise deliziata. "ho capito, ho capito!" esclamò tutta infantilmente felice "paparino vuole mantenerlo in vita per far durare più a lungo la punizione!"

"brava colomba. Nessuno mi capisce come te.

Ma adesso vai"

Fu pochi istanti dopo che scese il buio.

Quando l’uomo riprese i sensi tremò, aspettandosi inaudite scariche di dolore. Che non vennero.

Mosse cautamente le spalle intorpidite. Le cosce, i piedi.

Roteò il collo e si accorse di essere stato liberato.

Ecco quando arrivarono i crampi.

Dolori terribili. Lancinanti.

Insopportabili.

Alle dita. Le sue lunghe dita di artista, callose e macchiate. Le dita della sua mano elegante sanguinavano.

Provò a muovere le ossa delle falangi. E il dolore, se possibile, aumentò.

Nonostante lo stordimento che lo portava sull’orlo dell’incoscienza, ebbe il riflesso di irrigidirsi appena sentì di nuovo la sua voce.

"mi sono detto…" disse lo straniero pulendosi le mani rosse con uno straccio di camoscio "quale potrebbe essere la sofferenza più grande da infliggere ad un pittore? Bruciarlo vivo assieme alle sue tele? Accecarlo con l’acqua ragia? Sventrarlo con i suoi stessi pennelli?

O ma suvvia andiamo… che volgarità! E poi, sebbene mi abbiano sempre apprezzato per il mio stile fantasioso, stavolta la risposta era molto più che banale." Sussurrò chinandosi sulla sua spalla, facendogli sentire il suo alito di morte e impedendogli di scorgerlo. "in fondo tu ed io amico mio lo sappiamo bene. Un pittore può morire senza dipingere…

Non moriresti tu senza poter dipingere?"

E l’uomo aprì un poco la bocca come per dire qualsiasi cosa.

"no! No mio caro. Non trovate scortese interrompermi?"

e l’altro uomo si rassegnò alla mercè dello straniero.

"In fondo, pensavo… cosa c’è di più doloroso di essere costretto all’inattività per un pittore dalle dita spezzate?" chiese retoricamente accarezzando appena le dita dalle inclinazioni innaturali.

Rise ai gemiti del suo ospite.

"in confidenza" sussurrò " non è nel mio stile, ma volete sapere in quanti punti vi ho spezzato le vostre lunghe e piccole dita? Anche con le tecniche evolute di questi tempi moderni difficilmente si potrà far qualcosa…" aggiunse con aria sofferta. "oh, ma non temete. Potrete ancora tenere in mano il pennello!" e l’altro uomo sussultò per l’orrore

"perché in fondo mi sono chiesto… cosa c’è di più doloroso di non poter dipingere? Non sarà forse essere costretti a dipingere, con le dita spezzate? E odiare quell’attività che avevamo tanto amato?"

E quel sorriso, lo stesso sorriso lieve, accennato, sbilenco del quadro di Giuditta che uccide Oloferne, impudico, persisteva.

"vi aspetto nel mio maniero per il ritratto che vi avevo chiesto mio buon amico. Ci tratterremo, io e la mia famiglia, qui in campagna, per altre due settimane.

Mi aspetto di essere soddisfatto!" disse allontanandosi dalla figura esausta.

Scomparendo tra i fantasmi. Come se non fosse mai esistito.